Firenze



La liberazione di Firenze



Forse non molti sanno che nel generale disfacimento del nostro esercito succeduto all’8 settembre 1943, tra i pochi reparti che si opposero con le armi alle truppe tedesche sul territorio nazionale ce ne fu uno, composto di paracadutisti della Nembo, di bersaglieri e di fanti, che il 9 settembre, sul passo della Futa, nodo nevralgico della futura Linea Gotica, impose con la forza la chiusura del locale radiofaro della Luftwaffe, catturando il presidio germanico. Naturalmente il giorno seguente la reazione tedesca non si fece attendere grazie all’arrivo di rinforzi da Bologna, Panzer compresi. Gli scontri che ne seguirono per l’intera giornata e che videro passare il valico da una parte all’altra dei contendenti consentirono ai tedeschi di riprendere la posizione, a prezzo però di perdite di uomini e mezzi; gli italiani, invece, inferiori di numero e di certo peggio equipaggiati, riuscirono a ripiegare con ordine anche con l’aiuto dei civili del luogo, per poi dissolversi su imposizione del Comando di Piazza di Firenze. È anche questo un piccolo ma significativo episodio della nascita di una nuova coscienza patriottica, che registrerà, meno di un anno dopo, un’altra tappa importante con la liberazione di Firenze.
La liberazione del capoluogo toscano costituì un fatto nuovo nella Campagna militare d’Italia e nella guerra di Liberazione, perché Firenze fu la prima città d’Italia a darsi un governo autonomo, nominato dal CTLN già l’11 agosto 1944, e nella parte della città a nord dell’Arno le formazioni partigiane, soprattutto la divisione garibaldina Arno e le brigate Rosselli del Partito d’Azione, sostennero per almeno due giorni, fino al 13 agosto, tutto il peso dello scontro con le truppe tedesche in lenta ritirata verso i monti dell’Appennino e la Linea Verde. Dopo l’inizio della costruzione delle fortificazioni, alla fine del mese di maggio 1944, il comando germanico aveva deciso di ribattezzare la Linea Gotica in Linea Verde per motivi di carattere simbolico-propagandistico.
Da un punto di vista strettamente militare, e non solo, Firenze rappresenta anche un esempio paradigmatico della strategia condotta dai tedeschi da un lato e dagli alleati sul fronte opposto. La pervicace, soprattutto feroce, ma anche ottusa strategia del maresciallo Kesselring, messa in atto dalla Linea Gustav in poi e fondata su una lenta ritirata e sulla contesa, palmo a palmo, del territorio nazionale, con il surplus di un’azione terroristica preventiva fatta di sanguinose rappresaglie sulla popolazione civile o di stragi di intere comunità per non avere problemi nelle immediate retrovie del fronte, trovò puntuale applicazione anche in provincia di Firenze.
Già prima della fine di agosto, quando il quartier generale di Hitler approvò il ripiegamento del fronte dalle colline a nord di Firenze alla Linea Verde, erano proseguite operazioni antiguerriglia che, soprattutto nella primavera 1944, non avevano alcun rapporto con il pericolo effettivo rappresentato in quel periodo dai partigiani; anche se formazioni di patrioti operavano con successo soprattutto nella zona del monte Giovi, cioè nella fascia preappennica sovrastante il Mugello e la val di Sieve e sul monte Morello, immediatamente a nord di Firenze e di Sesto Fiorentino.
Prima della liberazione di Firenze, e subito dopo, anche nel territorio provinciale si ebbero eccidi e stragi di cui ricordiamo i più importanti e sanguinosi: il 13 aprile al Castagno d’Andrea, sotto il monte Falterona, nel comune di San Godenzo; il 20 giugno a Pian d’Albero, nel comune di Figline Valdarno; il 4 luglio presso la Fonte dei Seppi, sul monte Morello, nel comune di Sesto Fiorentino; tra il 10 e l’11 luglio a Padulivo, frazione del comune di Vicchio. Tra il 17 e il 18 luglio 43 persone furono massacrate a Crespino del Lamone, nel comune di Marradi e quindi in piena Linea Gotica, molto prima del ripiegamento tedesco. Nell’agosto l’azione repressiva, con l’arretramento del fronte, si intensificò: famoso è l’episodio della fucilazione di tre carabinieri a Fiesole, il 12 agosto, immolatisi per salvare la vita a dieci civili. Anche la piana fiorentina e altre zone non certo montuose furono colpite, a dimostrazione che il vero o primo obiettivo non erano i cosiddetti ribelli: il 13 agosto fu la volta di San Piero a Ponti, nel comune di Campi Bisenzio, fino alla strage del Padule di Fucecchio, la più cruenta, il 23 agosto, con 174 vittime civili. L’ultimo episodio di questa tragica serie si verificò nei pressi del passo della Consuma, fra la val di Sieve e il Casentino, dove vennero trucidati 25 civili tra il 25 e il 26 agosto.
A questa strategia da terra bruciata di Kesselring, che sul piano militare si rivelò quasi sempre inutile e inefficace, e all’atto pratico soltanto barbarica, britannici e americani si contrapposero con tattiche diverse, derivanti in parte anche dalla minore “potenza” in termini di uomini e mezzi dei primi rispetto ai secondi. Così l’VIII Armata britannica cercò sovente di operare con astuzia, attaccando il nemico dove meno se l’aspettava. Per raggiungere e impadronirsi di Firenze evitò di attraversare l’Arno in città, dove nella notte tra il 3 e il 4 agosto Kesselring, nell’intento di rallentare l’avanzata alleata, aveva fatto l’ultimo “regalo” ai fiorentini facendo saltare tutti i ponti sul fiume, eccetto Ponte Vecchio, salvato forse perché “caro” al pittore dilettante Hitler, ma a prezzo della distruzione dei quartieri medievali a sud e a nord dello stesso ponte. Gli inglesi erano entrati nell’Oltrarno fiorentino già all’alba del 4 agosto, ma preferirono varcare il fiume pochi giorni dopo, a monte verso Pontassieve e a valle nei pressi delle Signe. Allo stesso modo e su scala più ampia dal 25 agosto e durante il mese di settembre la stessa armata britannica avrebbe messo in atto l’aggiramento della Linea Gotica nella zona di Rimini.
Anche a nord di Firenze il mese di settembre conobbe i combattimenti più duri nella zona della Linea Gotica compresa nei territori dei comuni dell’Alto Mugello e vide coinvolta, per la parte alleata, soprattutto la V Armata americana. In questa zona si trovano i due passi principali verso l’Emilia: il passo della Futa, che porta a Bologna, e il passo del Giogo, posto circa 11 km più a est, sulla strada per Firenzuola e Imola. Gli ingegneri della Todt che avevano progettato la Linea Gotica avevano previsto l’attacco alleato sulla Futa, dove erano state realizzate le postazioni difensive più poderose e complesse, con sbarramenti di filo spinato, torrette corazzate interrate e quasi 5 km di fosso anticarro. Al Giogo erano state apprestate analoghe difese, anche se i comandi tedeschi ritenevano improbabile la possibilità di un attacco alleato. In compenso e come di consueto l’8 settembre fu ordinato ai paracadutisti a guardia del passo di difendere la posizione “fino all’ultimo uomo e fino all’ultima cartuccia”.
Nel frattempo gli americani misero in atto la loro abituale strategia: far precedere l’attacco delle truppe di terra da un intenso fuoco di artiglieria pesante e soprattutto da una serie di durissimi bombardamenti aerei, facilitati tra l’altro, già in quel periodo, dalla ormai ridotta possibilità di incontrare aerei nemici. Il 9 settembre vi fu un primo, pesante bombardamento contro le postazioni fortificate della Futa, anche per far credere che quello fosse l’obiettivo. Il 12 toccò a Firenzuola, ridotta al termine dell’incursione a un cumulo di macerie, e nei due giorni successivi fu bombardato il passo della Raticosa, più a nord della Futa, sulla stessa statale e quasi al confine con l’Emilia.
Il generale Clark, comandante della V Armata, attaccò da terra il 10 settembre sulla direttrice del passo del Giogo con un corpo britannico sul fianco destro e uno americano sulla sinistra, verso la Futa, per mantenere la pressione su quel fronte. Giù a valle, lungo la Sieve, l’11 settembre la popolazione mugellana vide finalmente arrivare gli alleati, che quello stesso giorno occuparono San Piero a Sieve, Borgo San Lorenzo, Vicchio e Scarperia. Ma davanti a questi paesi si ergeva la catena appenninica, con le fortificazioni della Linea Gotica e le truppe tedesche disposte all’estremo sacrificio. Dalla mezzanotte del 12 settembre alla sera del 14 le tre alture antistanti il passo del Giogo, Monticelli, monte Altuzzo e monte Verruca, divennero teatro di aspri combattimenti con gravi perdite da parte degli americani, senza che l’obiettivo fosse raggiunto. Poco più a destra, maggior fortuna arrise agli inglesi che conquistarono Poggio Prefetto. Sulla base di quel successo Clark fece avanzare un reggimento di fanteria americano attraverso le posizioni britanniche, conquistando così Poggio Pratone, ancora più all’interno delle linee tedesche.
Anche sul Giogo gli avvenimenti volsero a favore degli americani. La strenua difesa tedesca, come da ordini ricevuti, aveva causato altissime perdite e l’appoggio dell’artiglieria e dei cacciabombardieri americani consentì all’alba del 17 settembre di conquistare la vetta dell’Altuzzo e il 18 le altre alture del Giogo. Come nelle battaglie di trincea della Grande Guerra, in sei giorni di combattimenti le perdite degli attaccanti risultarono oltre 2700, mentre quelle tedesche, anche se ignote, furono certamente più alte, oltre che per gli scontri diretti, per effetto dell’intenso fuoco di artiglieria diretto anche sulle immediate retrovie germaniche.
Superato l’ostacolo del Giogo la V Armata avanzò attraverso le ormai aggirate postazioni difensive della Futa. Due giorni dopo le prime unità di fanteria americane misero piede a Firenzuola, ma adesso il nuovo obiettivo era giù a valle, lungo il Santerno e verso Imola, per chiudere in trappola con l’aiuto dell’VIII Armata britannica proveniente dall’Adriatico la X Armata germanica lungo la via Emilia. L’ultima e decisiva fase dell’operazione non riuscì per l’arrivo del maltempo, che rese impraticabili le strade di accesso al fronte e i necessari rifornimenti. Così se a fine settembre 1944 tutta la provincia di Firenze era ormai liberata, la provincia di Bologna e tutta la Val Padana avrebbero dovuto attendere un altro lungo inverno prima della liberazione.
Un’ultima notazione va fatta riguardo al contributo di sangue versato sul nostro territorio soprattutto durante l’estate 1944. Delle stragi e degli eccidi di civili si è già detto. Ma anche le formazioni di patrioti pagarono un alto prezzo rispetto al numero dei combattenti, se si pensa che soltanto nella battaglia per la liberazione di Firenze perirono 205 partigiani, 400 furono i feriti, 18 i dispersi. Il contributo più alto, però, fu dato dagli eserciti in lotta. Non a caso in provincia di Firenze hanno sede tre grandi cimiteri di guerra. Quello britannico del Girone, lungo l’Arno, poco più a monte di Firenze, raccoglie le spoglie di 1600 soldati di Sua Maestà, tutti deceduti in operazioni di guerra a sud e a nord del capoluogo. Quello americano dei Falciani ne accoglie oltre 4402, ma si tratta di combattenti americani morti tra Roma e le Alpi, quindi in un’area molto più vasta. Il più toccante di tutti è comunque quello tedesco sul passo della Futa, che con i suoi circa 31000 morti è il più grande dei cimiteri di guerra tedeschi sparsi per la penisola, che complessivamente ne raccolgono oltre 107000. In grandissima parte si tratta di caduti tra la Lunigiana e l’Adriatico, lungo quella che i comandi tedeschi avevano chiamato Linea Verde, e in gran parte, come ex civili, comuni cittadini tedeschi, possono essere considerati anch’essi vittime della follia hitleriana e della ottusità degli alti comandi della Wehrmacht, capaci soltanto di obbedire supinamente alle direttive strategiche insensate di un caporale.


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