TESTIMONE A SANT’ANNA DI STAZZEMA

“Che cosa è veramente successo intorno al 12 agosto in Versilia?” Questo si chiede il giovane giornalista venendo a conoscenza di voci che di là provenivano sempre più inquietanti. Angiolo conosce bene la gente di quelle parti. “Nel 1941-2, Lucca era infatti un punto d’incontro della realtà cattolica che sapeva guardare al domani. A Bologna,in particolare, si stampava a cura dell’Avvenire d’Italia,la testa Esare, della quale mi occupavo redazionalmente. Fu il collegamento di persone e sentimenti che mi avvicinò al mondo versiliese nei momenti più drammatici del conflitto.”
“Ma a suggellare tale conoscenza,nell’estate del 1944,ci fu al campo di Corticella,l’ondata di piena di rastrellati che riguardò lucchesi e soprattutto versiliesi. L’antico rapporto con la Diocesi mi aveva posto,per fortuna,dinanzi a volti noti e,passato il primo momento di sorpresa,mi fu possibile,sia pure con grande prudenza, prendere certe intese. Non pochi di questi rastrellati erano defluiti da Lucca alle Alpi Apuane e quindi furono protagonisti e spettatori – quei pochi s’intende che poterono uscire illesi – d’indimenticabili e tragiche vicende.”
“Le notizie dei massacri giunsero però anche a Salò,sede della Repubblica Sociale Italiana – si legge in un suo articolo dell’agosto 1996 de Il Tirreno – interessando prima di ogni altro il Sottosegretario agli Interni Giorgio Pini,giornalista e direttore de Il Resto del Carlino di Bologna. Pini ebbe non pochi dubbi,espressi anche alla Curia che prese contatti con lui. Che fare per conoscere,dunque,la verità?”
“Un passo ufficiale non fu ritenuto opportuno ( e la prova l’avemmo nel successivo settembre quando il Comando tedesco con un pubblico comunicato smentì addirittura la strage di Marzabotto). Allora Pini ritenne di saperne di più con un sopraluogo affidato in via strettamente privata al funzionario prefettizio Fantozzi, già in servizio da alcuni a Bologna. Lo stesso Pini chiese che Fantozzi fosse accompagnato, a titolo strettamente personale, da un giornalista de Il Resto del Carlino. La scelta cadde su Enrico Casabianca,già redattore capo a L’Avvenire d’Italia”.
“Anch’io venni avvicinato, tramite la Curia,da Pini. Mi chiese se volevo unirmi a Casabianca. Queste le condizioni: assoluto segreto e riferirgli soltanto oralmente ( Berti è di parola e ne scriverà soltanto mezzo secolo più tardi). Tutta la ricognizione avrebbe dovuto svolgersi dalla mattina alla sera, utilizzando un piccolo autocarro della divisione Monterosa (che faceva parte della Rsi),il cui autista sovente si recava in Versilia e dunque era pratico dei luoghi”.
“Non fummo testimoni degli eccidi compiuti almeno tre settimane prima,ma vedemmo soprattutto non pochi di quei massacri,soprattutto donne,ragazzi e vecchi. Il rientro fu celere,con appena due fermate per il controllo dei documenti. Fra noi,nessuna parola. Il colloquio con Pini fu penoso:”E’ una tragedia orrenda della quale tutti noi dobbiamo vergognarci”.
“Nell’immediato dopoguerra, quando ai primi di maggio del 1945,Pini venne interrogato presso l’Ufficio politico della Questura di Bologna,una breve conversazione con lui (era sconvolto per l’assassinio del figliolo,un ragazzo ad opera di partigiani sconosciuti del Modenese),me ne fece sapere di più. Anche a Salò,a quanto pare,s’ignoravano le proporzioni di quella tragedia e di quella della stessa Marzabotto. Mussolini, mi raccontò Pini,gli disse:”E’ una punizione terribile per tutti noi”.
“Gli eccidi vennero ricordati nell’autunno del 1951, quando il Tribunale militare del capoluogo emiliano potè documentare che il “Monco” (Walter Reder,comandante del 16° battaglione, della 16° divisione Reichsfhurer) aveva personalmente diretto un vero e proprio piano di sterminio. Una tecnica che s’imparava nelle scuole militari naziste:annientamento di uomini ed animali, incendio di case e stalle”.

Gian Ugo Berti riproduzione riservata

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