(Il giovane giornalista Angiolo Berti intervista Reder.Berti sulla sx di Reder.Foto archivio Fondazione Berti)



A TU PER TU CON REDER
Da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto, Angiolo segue quella scia di sangue e di orrore. Un destino che lo accompagnerà sempre in ogni tragico giorno della guerra. Quello che lo colpisce è capire perché qualcuno possa ordinare simili stragi e perché qualcunaltro le esegua ciecamente e cinicamente.
A guerra finita, Walter Reder è riconosciuto da tutti i testimoni nel corso dei sopraluoghi. Viene condannato a morte, poi la pena viene commutata in ergastolo. Trasferito in Austria,suo paese natale, viene messo in libertà da quel Governo dopo qualche anno. Morirà a Vienna nel 1991 all’età di 76 anni, portandosi dietro tanti segreti ed altrettanto odio.
“Potei scambiare con l’imputato alcune parole su quelle orribili vicende. Davanti ai giudici – ricorda ancora Berti su Il Tirreno - aveva ammesso praticamente tutto,addossando la responsabilità al “sistema”, quello nazista, aggiungendo che le reazioni contro i partigiani non potevano non essere spietate”.
“La risposta fu sempre facile da parte dei giudici, i quali misero sotto gli occhi di Reder gli elenchi dei massacrati per età (bambini o vecchi) e per sesso (donne). I nomi degli infanti e dei giovanissimi vennero letti uno ad uno,scanditi come colpi di pistola, in un silenzio agghiacciante”.
“ A Reder, il presidente del tribunale,trasferitosi per opportuni sopraluoghi nelle zone dei crimini,volle chiedere:” Perché il filo spinato (per legare i prigionieri),anziché la corda?” Nessuna risposta,neppure quando la domanda fu ripetuta. Ma il presidente non si dette per vinto:”Si rese conto che l’agonia di questi infelici durò alcune ore?” Ancora, un inspiegabile silenzio”.
Ma quello che appare incomprensibile ad ogni osservatore è voler considerare legittime le rappresaglie contro la popolazione. “Ma contro chi – si chiede ancora Angiolo – se nella zona i partigiani erano molto rari e le azioni contro i tedeschi si contavano sulle dita di una mano? Solo odio e ferocia,sull’esempio dei lager,dove i prigionieri venivano spinti a calci nelle camere a gas”.
Si giunge quindi alla conclusione del processo. “Avendo assistito all’interrogatorio,gomito a gomito con i giudici e l’imputato, non mi fu difficile alla fine rivolgergli alcune domande dirette. Naturale e sofferta la prima: “Ma perché tutto questo? Ciascuno di voi ha genitori,figli,sorelle, fratelli…” Silenzio. Nemmeno gli occhi parlarono. Poi,insistendo,la risposta finalmente venne:”Sono stati momenti brutti,da dimenticare”.Altra domanda:”Non è poco?Sotto gli occhi abbiamo centinaia e centinaia di persone massacrate”. Di rimando solo le braccia aperte,come a dire:”E’ il destino”. Replicai:”Maggiore Reder, ma il destino è voluto dagli uomini”.
Altra domanda:”Perché tanti innocenti? Non vi giungevano al cuore quelle grida?Ripetereste quello che avete fatto allora?” Prima un altro silenzio, poi appena udii un flebile:”No”. “Sente i pianti dei bambini? Che cosa le dice l’orrore di quella strage?” Ultima risposta del Maggiore:”Siamo stati travolti tutti. Io per primo”.
Nelle testimonianze di Angiolo,emerge sempre un messaggio. “Che cosa dire,anche oggi,ad oltre mezzo secolo di distanza?Qualsiasi risposta, almeno per chi abbia vissuto quei tempi,sarebbe insufficiente. Una sola riflessione,invece. Bisogna andare più spesso in quei luoghi e soprattutto portare i ragazzi delle scuole. C’è sempre troppo silenzio,oggi, dove ieri s’udivano le urla dei massacrati”.

Gian Ugo Berti riproduzione riservata

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