La Rivoluzione del Neolitico

Liberazioni Associazione Culturale Antispecista
Enrico (Renato Antonio) Giannetto è professore ordinario di ‘Storia della Fisica’: è docente di ‘Storia del Pensiero Scientifico’ presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bergamo e di ‘Epistemologia della Complessità’ presso il ‘Centro di Ricerche sull’Antropologia e l’Epistemologia della Complessità’ (CE.R.CO.). Le sue ricerche, che hanno spaziato dalla fisica teorica delle particelle elementari alla cosmologia quantistica, dalla logica matematica alla filosofia e alla storia della scienza, sono ora concentrate soprattutto sulla storia delle rivoluzioni che hanno mutato profondamente le scienze fisiche dall’Ottocento al Novecento (fisica del caos, relatività, fisica dei quanti), e si muovono nell’ambito di una più ampia storia delle culture, in una prospettiva teoretica in cui si intrecciano mitologia, storia delle religioni, antropologia, filosofia, scienze umane e naturali.
Enrico Giannetto
La Rivoluzione Neolitica

Cercare di essere vegan, animalisti, anti-specisti, cercare di delineare un'etica non-specista, implica una riflessione profonda sulle origini di tutta una serie di modi di pensare e di vivere che sono antropologicamente ed etnicamente determinati da radici profonde. Bisogna rendersi conto di quanto le nostre attuali società post-industriali siano ancora uno sviluppo, seppure attraverso discontinuità radicali, della cosiddetta "rivoluzione neolitica"; bisogna essere consapevoli di quanta e quale violenza sia insita nell'agricoltura.
Svolta epocale dell'umanità, della relazione fra uomo e natura, della forma di vita umana si avrà intorno al 10.000 a. C. con la rivoluzione neolitica, caratterizzata soprattutto dall'origine dell'agricoltura e dalla zootecnia d'allevamento, come prima forma di dominio sistematico e di sfruttamento della terra e di altri animali da parte dell'uomo. [1] L'origine dell'agricoltura e dell'allevamento, che sostituiscono la raccolta e la caccia come fonti principali di sostentamento, sembra associata a dei rituali di offerte vegetali o di sacrifici animali alle divinità, ed è quindi strettamente connessa alla trasformazione della religione in culto sistematico e sacrificale (la parola culto è anche etimologicamente connessa all'agricoltura). Nasce una prima forma di casta sacerdotale nella declinazione della religione a culto di spazi-terreni e di tempi in cui si manifesta il sacro (sia sacerdote che sacro sono termini legati ai sacrifici) Il cibo non è più dato dalla natura, dalla terra all'uomo direttamente, ma è mediato dal, e apparentemente "frutto" del lavoro dell'uomo. D'altra parte, proprio per il dominio tecnico della terra, l'uomo ha schiavizzato alcuni animali, come i buoi e altri, differenti da etnia a etnia, coinvolgendoli nella fatica e nel peccato del lavoro agricolo: senza tale ulteriore assoggettamento e sfruttamento di altri animali, l'uomo da solo non sarebbe riuscito a dominare la terra. E allo stesso modo, ha sfruttato alcuni animali nella funzione di guardia per gli allevamenti. I riti sacrificali sono connessi a particolari configurazioni astronomiche e apparentemente legittimati da una lotta fra potenze animali che è proiettata dall'uomo sulla volta celeste. [2]
Corrispondentemente mutano natura anche le pratiche simboliche umane non più meramente evocative degli dèi celesti: i simboli diventano "sostituti sacrificali", indicano azioni rituali sacrificali e vengono usati anche in relazione a realtà terrestri: il nuovo rapporto di dominio sistematico dell'uomo nei confronti della natura e degli altri viventi implica una declinazione delle pratiche simboliche a progetti di tali dominio, che, prima ancora di concretizzarsi, passa per una fase simbolica. Ecco l'origine della cultura, delle culture propriamente dette: la cultura, etimologicamente connessa con l'agricoltura e il culto, non è altro che la "coltivazione" sistematica di idee-progetti di dominio della natura, non è altro che la controparte ideale delle pratiche di dominio agriculturale della terra, della natura. Dall'agricoltura sorge una forma di vita meno nomade e più stanziale, deriva un processo di lenta "urbanizzazione", di formazione di una civitas: ecco l'origine della civiltà, delle civiltà propriamente dette. Nasce la proprietà privata, dei terreni e degli animali d'allevamento, nasce l'accumulo dei beni e una prima strutturazione economica e politica delle società in gerarchie di potere, nasce il diritto. Mentre la donna precedentemente giocava un certo ruolo nella raccolta del cibo, viene invece ad essere messa in secondo piano o quasi esclusa dalle pratiche agricole, e si passa da un periodo di religione matriarcale in cui era preminente la potenza generatrice della donna madre specchio-simbolo della potenza generatrice della madre natura celeste (identificata essenzialmente dalla Via Lattea) ad un altro in cui prevale un archetipo maschile correlato alla potenza produttrice del lavoro dell'uomo che sottomette insieme la terra, la natura e la donna. [3] La vita dell'uomo incentrata sul dominio della terra comporta un passaggio a divinità puramente terrestri non più mero specchio di divinità celesti e ad una religione patriarcale, e conseguentemente ad una organizzazione politica fondata sull'idea di una regalità maschile, simbolo terrestre di una regalità divina.
Esito di questa stessa "rivoluzione neolitica" sarà anche l'origine della scrittura come sistema in cui i simboli, ormai non più di valore meramente religioso o estetico ma di valore d'uso e di scambio pratico, saranno stilizzati in segni che diventeranno via via più arbitrari nel perdere il loro valore iconico di immagini, in lettere alfabetiche che pur avendo una loro origine astrale legata a figure di costellazioni [4] si ordineranno poi in sequenze arbitrarie lineari e subordinate ai fonemi: la scrittura, tranne alcune eccezioni come quella cinese e quella geroglifica egizia, sarà alfabetico-fonetica e lineare. [5] Tra i Sumeri della Mesopotamia la scrittura fonetico-alfabetica venne usata verso la fine del quarto millennio a. C., in relazione al sorgere della civiltà urbana verso il 3500 a. C. (e pressocché nello stesso periodo tra gli Egiziani). Almeno dal 3000 a. C. si conservarono campioni di pesi e di misure, e le prime cifre sumeriche risalgono ad un periodo compreso tra il 3300 e il 2850 a. C. Ed è alle culture sumero-accadica ed egizia che bisogna far risalire l'origine della civiltà classica greca. [6]
A quattrocentomila anni fa risalirebbe invece la "scoperta" della "tecnica" del fuoco (presso i Sinantropi della Cina) anche se il suo uso diffuso effettivo avvenne molto più tardi, almeno verso il 2500 a. C., neolitico evoluto. Il fuoco permise all'uomo di dominare definitivamente gli altri animali, di vivere al di fuori delle caverne, di osservare molto di più il cielo e di cambiare quindi "forma di vita": il fuoco come "tecnica" a disposizione dell'uomo permise una "rivoluzione" nel mondo animale e il dominio pressoché assoluto dell'uomo. Già l'homo habilis, differenziandosi dai parantropi, passò, circa 2,3 milioni d'anni fa, dall'iniziale regime dietetico vegetariano ad uno carnivoro, [7] probabilmente, oltre che per necessità di sopravvivenza, già per la 'credenza' di poter cosí inglobare e assorbire in sé la potenza "divina" celeste corrispondente all'animale mangiato. Poi, l'uso sistematico del fuoco nel neolitico e per suo mezzo il dominio sugli animali portarono a poco a poco ad una sostituzione graduale delle divinità animali celesti, e in particolare della grande madre celeste ("grande vacca celeste") legata alla Via Lattea: il fuoco fu associato soltanto al sole e legato appunto a una divinità solare maschile-patriarcale predominante a cui si sacrificarono gli animali in contraccambio del "dono" del fuoco e in corrispondenza al sorgere del sole, all'equinozio di primavera, in una certa epoca precessionale che dura circa 2300 anni (nel periodo di 26.000 anni circa del moto precessionale, il sole passa attraverso tutti i dodici segni-costellazioni dello zodiaco, e circa ogni 2300 anni all'equinozio di primavera sorge in una costellazione diversa, in una certa costellazione-animale che ne è oscurato o bruciato (il sacrificio del toro sarebbe stato legato a un periodo che ha origine circa 4600 anni a. C., quando il sole all'equinozio di primavera sorgeva nella costellazione del toro; l'idea del capro espiatorio sarebbe legata all'epoca in cui il sole all'equinozio di primavera sorgeva nella costellazione dell'ariete, da circa 2300 anni prima di Cristo all'anno della nascita di Gesù; il simbolo del pesce per indicare Gesù il Cristo, che con il suo "sacrificio" ha posto fine ai sacrifici animali e all'usare o mangiare carne, pesce o derivati animali, bandendoli come immorali, è anche collegato al fatto che il sole sorgeva nella costellazione dei pesci. Il cristianesimo è l'ultima ribellione contro i modi di vita inaugurati dalla rivoluzione neolitica). [8]
Questo determinò una sorta di "rivoluzione copernicana" ante litteram nella mitologia e nell'esperienza umana del mondo. Successivamente, questo si associò anche alla relegazione esclusivamente terrestre ed 'infera' delle primitive divinità femmili-matriarcali. Si originò già all'interno della mitologia una proto-astronomia o proto-fisica del cielo o della luce, dei movimenti regolari degli astri-dèi basata sul numero, quantitativa e legata ad una "divinazione" astrologica (le costellazioni furono inventate dai Sumeri intorno al 2000 a. C.), di carattere 'elio-centrico'. Lo sviluppo di una tale astronomia quantitativa, di una fisica del cielo basata sull'"oggettività" del numero fu alla fine determinante per l'abbandono nel mondo greco, nel VI sec. a. C., del "paradigma" del mythos in favore del logos come rapporto-misura (estensione metaforica del numero), ad esso contrapposto come sapere certo, incontrovertibile e "oggettivo", ovvero come espressione del mondo stesso, e non più "poietico": il mito fu abbandonato come rappresentazione o copertura "ideologica" – potremmo dire in termini moderni – come descrizione "fantastica" troppo legata ai desideri "soggettivi", umani.
È certo che la pratica scritturale dei numeri, la pratica aritmetica nel neolitico si sia trasformata da una parte in una procedura di divinazione astronomica e di previsione delle posizioni degli astri dèi nella volta celeste, utile per i culti sacrificali, e dall'altra parte in una procedura applicata alle realtà terrestri da dominare da parte dell'uomo, una procedura in cui non era importante distinguere a livello qualitativo gli esseri o i processi, ovvero quando questi sono stati assimilati a degli "oggetti" senza qualità individuali: oggetti-prede di allevamento o di coltura, e quindi oggetti-cibo di fagocitazione, e anche di caccia o di pesca; [9] la pretesa di "oggettività" del nuovo sapere "logico"sorto intorno al VI sec. a.C., si fonderà, altrettanto "ideologicamente" del sapere mitico, sul tentativo di legittimare questa riduzione della terra e degli altri viventi a "oggetti" di dominio dell'uomo. Così la pratica grafica di forme geometriche, la pratica geometrica si trasformò in una procedura da un lato di divinazione astronomica di traiettorie degli astri-dèi e dall'altro lato in una procedura di agrimensura, di misura di campi e terreni oggetti di coltivazione e di proprietà privata. I riti sacrificali, e i suoi derivati quali l'allevamento e l'agricoltura, e le ora connesse a questi caccia e pesca, sono i presupposti "tecnici" delle pratiche aritmetica e geometrica, legate al dominio dell'uomo sugli altri viventi uccisi o sfruttati e sulla terra-natura. E certamente tali pratiche aritmetica, geometrica e d'osservazione astronomica si sviluppano in relazione a società ormai complesse che regolano la loro vita religiosa con riti sacrificali effettuati su base astronomica, e che producono cibi, uccidendo e assoggettando individui di altre specie viventi in grandi quantità in relazione ai corrispondenti bisogni nutritivi.
Il tempo circolare, ciclico era ormai il tempo dei ritmi dell'agricoltura, del dominio della terra.
Forse, alla scrittura fonetico-alfabetica, affermatasi intorno al 3000 a. C., poi lineare, è da connettersi l'evento epocale più importante nella storia del pensiero umano: al pensiero per immagini multidimensionale non lineare e complesso che si estrinsecava nei primi simboli si sostituisce quasi totalmente un pensiero logico-verbale, linguistico, unidimensionale, lineare e sequenziale. Si tratta di una riduzione estrema della complessità del pensiero per immagini che resterà vivo solo in parte come sfondo ultimo su cui si fonda comunque il pensiero logico-verbale. [10] Il pensiero matematico geometrico e la scrittura matematica non-fonetica e in parte non-lineare attuali sono "residui" di quell'arcaico pensiero complesso. [11] Ed esito di ciò sarà il predominare di una cultura scritta su quell'orale nel mondo greco del VI sec. a.C. e il separarsi di un logos dal mythos con l'emergere di una nuova forma di sapere logico-filosofico, separato dalla religione, che si oppone al sapere mitico, nella sua ricerca di un fondamento fisso, stabile, certo e univoco del sapere: un sapere quello del logos basato ormai sulla scrittura lineare e non più su ideogrammi associati in maniera multidimensionale come il mythos. È questo il senso profondo dell'analisi di Parmenide fornita da Guido Calogero. [12] Le ricerche di Heidegger su "che cosa significa pensare", [13] concentrate su uno studio del significato del logos nel primo pensiero filosofico, mostrano la stretta connessione di questo con l'introduzione dell'agricoltura, laddove logos appare strettamente legato al campo semantico dell'atto di un cogliere i prodotti di un lavoro agricolo: il logos filosofico è già al suo nascere lo specchio ideologico di una tecnica, della tecnica agricola come prima forma sistematica di dominio della natura e degli altri viventi. Tale distacco della filosofia greca dal sapere mitico non implica comunque una sua autonomia, come sono in ogni caso evidenti le origini afro-asiatiche, sumero-accadiche ed egizie della civiltà classica greca come di tutta la cosiddetta civiltà occidentale, che dal XIX secolo aveva cercato invece di mascherare come suo unico fondamento 'puramente' e 'razzisticamente' indoeuropeo quella civiltà classica greca. [14]

Note
1. J. A. Mainetti, La rivoluzione di Pigmalione, in Prometheus 6, Antropologia e Cosmologia a confronto, a cura di P. Bisogno, F. Angeli, Milano 1988, pp. 80-92.
2. G. de Santillana & H. von Dechend, Hamlet's Mill. An essay on myth and the frame of time, 1969, tr. it. di A. Passi, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo , Adelphi, Milano 1983.
3. P. Rodriguez, Dios nació mujer, B. S. A., Barcelona 1999, tr. it. di A. Chiaradia, Dio è nato donna, Editori Riuniti, Roma 2000.
4. G. Sermonti, Il mito della Grande Madre, Mimesis, Milano 2002, pp. 89-106.
5. A. Leroi-Gourhan, Le geste et la parole: I. Techinque et langage; II. La mémoire et les rythmes, A. Michel, Paris 1964-65, tr. it. di F. Zannino, Il gesto e la parola, voll. I & II, Einaudi, Torino 1977, pp. 221-248.
6. M. Bernal, Black Athena. The Afroasiatic Roots of Classical Civilization, Free Association Book, London 1987, tr.it. di L. Fontana, Atena Nera, I-II, Pratiche Editrice, Parma-Milano 1991-1994; Giovanni Sembrano, Le origini della cultura europea I-IV, Olschki, Firenze 1984-1994.
7. J. L. Arsuaga, El del Neandertal collar, Temas de Hoy, Madrid 1999, tr. it. di L. Cortese, I primi pensatori e il mondo perduto di Neandertal, Feltrinelli, Milano 2001.
8. E. A. R. Giannetto, Saggi di storie del pensiero scientifico, Bergamo University Press, Sestante, Bergamo 2005, pp. 23-36.
9. A History of Technology, ed. by C. Singer, E. J. Holmyard, A. R. Hall & T. I. Williams, Clarendon Press, Oxford, vol I. 1954, tr. it, Storia della Tecnologia, vol. I, Tomi I-II, La preistoria e gli antichi imperi, Bollati Boringhieri, Torino 1961, 1966.
10. A. Leroi-Gourhan, Le geste et la parole: I. Techinque et langage; II. La mémoire et les rythmes, A. Michel, Paris 1964-65, tr. it. di F. Zannino, Il gesto e la parola, voll. I & II, Einaudi, Torino 1977, vol. I, cap. VI; G. Calogero (1942-1943), Lezioni di filosofia I-III, Einaudi, Torino 1960, vol. III, cap. XIV, pp. 164-178.
11. E. A. R. Giannetto, Saggi di storie del pensiero scientifico, Bergamo University Press, Sestante, Bergamo 2005, pp. 19-22.
12. G. Calogero, Parmenide e la genesi della logica classica, in Annali della Regia Scuola Normale Superiore di Pisa, serie II, v. 5 (1936), pp. 143-185; G. Calogero, Storia della logica antica, Laterza, Roma-Bari 1967.
13. M. Heidegger, Vorträge und Aufsätze, Neske, Pfullingen 1954, tr. it. di G. Vattimo, Cosa significa pensare?, Logos (Eraclito, frammento 50), La questione della tecnica, e Scienza e meditazione, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, pp. 85-95, 141-157, 5-27, 28-44; M. Heidegger (1954), Was ist Denken?, Niemeyer, Tubingen 1971, tr. it. di U. Ugazio e G. Vattimo, Che cosa significa pensare?, Sugarco, Milano 1988.
14. M. Bernal, Black Athena. The Afroasiatic Roots of Classical Civilization, Free Association Book, London 1987, tr.it. di L. Fontana, Atena Nera, I-II , Pratiche Editrice, Parma-Milano 1991-1994.

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