Un 8 settembre particolare


Parla un ventenne d’allora,impiegato all’Ufficio Tecnico della Marina Militare

QUELL’8 SETTEMBRE AD ANTIGNANO

 La voce registrata di Badoglio.” In noi, tutto crolla in un attimo”. “La guerra comincia ora”, ci dice un ufficiale

 

 

LIVORNO -  Per andare da Livorno a Pistoia saranno un’ottantina di chilometri. Oggi, in auto, grazie all’autostrada, ci si può impiegare meno di un’ora. Per Dario, ventenne impiegato civile e militarizzato all’Ufficio Tecnico delle Armi Navali ad Antignano, quel giorno ce ne sarebbero volute ben dodici. A Pistoia risiede la famiglia, non c’è motivo d ’andarla a trovare. E’ sfollata ed una bocca in meno da sfamare non è poca cosa. In fondo, sta bene a Livorno, godendosi la propria gioventù. Anche se i compagni sono un po’ qui, un po’ là a causa della guerra, s’è fatto altri amici, le serate trascorrono spensierate, compatibilmente con i tempi. Eppure lui, come tanti italiani, non lo sa, né può immaginarlo, anche se qualche avvisaglia s’ e’ già diffusa: qualcosa di grave sta per accadere. Sì, perché quell’ 8 settembre 1943 coglie tutti di sorpresa, quando alle 18,30 il nuovo capo del Governo, generale Badoglio, annuncia la resa.

 “La voce è sicura – racconta oggi – e sembra conferire gravità. Dico “sembra” perché più tardi sapremo che è registrata ed il Re è in fuga.” Sono trascorsi quasi 70 anni, ma rivivere quei momenti è sempre motivo d’emozione e dolore, perché tutto, ma proprio tutto, crolla nella mente, nel cuore, nella speranza di trovare un punto di riferimento. E più sei giovane, più aumenta il senso di vuoto. Il barometro della situazione lo dà subito il superiore in grado, un capitano di vascello. “Temo che la guerra stia davvero per cominciare.”

 Qualunque età uno abbia, comprensibili sono smarrimento e paura. “Torniamo ai posti di lavoro, ma non è più come prima. Attimi soltanto ed il destino cambia la vita. D’istinto scruto lo sguardo dei colleghi. Vedo occhi smarriti. Poco dopo il comandante convoca militari e civili. Parla di situazione insostenibile. Dal Comando Marina non giungono disposizioni per cui, di propria iniziativa, c’invita ad abbandonare l’ufficio. Teme che i tedeschi giungano da un momento all’altro e con diverse intenzioni.”

 E’ il caos. “Lo è per l’anziano impiegato, lo è per noi ragazzi. Sì, perché a vent’anni, guerra o non guerra, sei e pensi ancora in modo diverso dall’ adulto.” Ciascuno deve decidere fuori dagli schemi seguiti fino ad allora. “Sono crollati i punti di riferimento. L’ufficio chiude, lo Stato è in disfacimento e con esso le sue leggi, ora confuse e contraddittorie. La mia stessa cultura storico – politica è insufficiente ad affrontare una situazione in cui i valori inculcati dalla propaganda non valgono più. Tutto sta crollando in me ed attorno a me.”

 “Ho voglia di guardarmi intorno per non impazzire. C’è ancora un bel sole sul viale d’Antignano, eppure l’aria che respiro è opprimente. Avverto una minaccia. Passa una moto con due soldati tedeschi in tuta mimetica e fucile mitragliatore. Se ne vanno. Un fatto consueto fino a poco prima. Adesso il cuore mi batte in gola.” Ma è la legge della sopravvivenza o meglio dello stomaco a riportare alla realtà. “Devo trovare qualcosa da mangiare ed un posto dove dormire. Sì, perché uno dei motivi per cui mi trovo bene a Livorno è che dormo, col permesso del Comandante, in un ripostiglio dell’ufficio.”  

 La fortuna a volte cambia. “ Nella piazzetta, nell’unico bar, mi procuro una fetta di “toppone”, il castagnaccio alto due centimetri, senza pinoli e soprattutto ghiaccio stecchito. Non posso pretendere di più. Davanti all’ufficio c’è una palazzina abbandonata. Con un collega scavalchiamo il muro di cinta e trasportiamo due materassi e la mia bicicletta. Spacchiamo il vetro d’una finestra ed entriamo. Avrò perso tanti valori in cui credevo quel giorno, almeno mi sono adeguato alla situazione.” Cala la notte ,il sonno non viene e gli occhi fendono il buio.

 Gli interrogativi sono tanti:” Come distinguere il giusto dall’ingiusto, il bene dal male e, sopratutto, cosa farò domani? Che comportamento tenere nella vita di ogni giorno?” Il silenzio è rotto dal passaggio d’ una motocicletta ed il cuore ricomincia a pulsare forte. Brutto segno. Non c’è più niente di rassicurante. E mentre pensi ad una cosa, scatta il ricordo di un’altra più importante. “Torno a casa! ” Non si riflette sul come e quando. L’istintiva sensazione di  tranquillità dice d’ aver preso la decisione migliore.

 “Alle prime luci dell’alba sono già in piedi, rinfrancato nell’animo e nel corpo. Per la verità, quel “toppone” va ancora su e giù nello stomaco, ma se  non altro ammorbidisce i morsi della fame. Possedere poi una bicicletta, in quei frangenti, è come vincere alla lotteria.” Inizia, dunque, il viaggio. “Lascio la palazzina, verso la stazione. Le strade sono quasi deserte, qualche raro passante e tante, troppe macerie. Ad un incrocio vedo lontana una pattuglia tedesca. Pedalo, con naturalezza, perché tornare indietro è pericoloso. Se s’insospettissero, mi prenderebbero .” Soldati che parlano fra loro e fumano, sono davvero pericolosi? “E’ strano, non lo so. Il disorientamento nasce dall’ansia  di conoscere chi sia l’amico od il nemico.”

 La fortuna cambia, stavolta in peggio. “Alla stazione, duramente colpita dai bombardamenti, non c’è treno che parta. Deh! E si comincia benino”, sussurro a me stesso, con quell’ironia livornese che mi dà la forza antica della mia città. Decido all’istante. Due vigorose pedalate e via, verso Pisa. Sono venti chilometri, ma davanti a quello scenario di distruzione è come avere la Torre Pendente  a portata di mano. Pedalo con energia,  mentre in  testa ronzano brutti pensieri  e non alzo gli occhi fino a quando non passo l’Arno.”

 Ma le disgrazie non vengono mai sole.  “A Pisa m’aspetta  una brutta sorpresa: la stazione è letteralmente distrutta. In altre occasioni avrei tirato giù tanti moccoli quanti non ne avevo tirati nella mia vita. Ed è ancora via, alla volta  di Lucca.” Se la strada è per fortuna ancora in pianura, devo però fare un’altra ventina di chilometri. “E chi se ne frega. L’importante è levarsi di torno alla svelta. Non si sa mai, i tedeschi avessero a ripensarci.”

  Di pedalata in pedalata, sorge il problema. “Ho fame, da sentirsi svenire ed il sole picchia. Sudo copiosamente e non vedo una fontanella. Anche se mi beccassero i tedeschi, che importanza avrebbe? Avrei chiesto loro dell’acqua, tanto meglio morire almeno dissetati.”

 E’ una fuga di massa in quelle ore. “Incontro un gruppo di giovani che camminano a passo svelto, in fila, lungo il bordo della strada. Sono soldati che si sono in parte liberati della divisa.” Dunque anche l’esercito è in disfacimento. “E mentre pedalo  rifletto al crollo totale d’una intera struttura che sembrava così fastosamente solida.” Il giudizio di Dario adesso va a ritroso. “Dopo anni, mi rendo conto di quanto fosse limitata la mia conoscenza. Lo sguardo non andava oltre un ristretto luogo e tempo.” Giovani in guerra, ma non ne sapevano nulla.

 “Come potevamo sapere che tutto era perduto? Che gli americani avevano superato lo stretto di Messina? Che i tedeschi stavano perdendo la battaglia di Kursk, ultima speranza di fermare l’avanzata russa?” Il viaggio è lungo, distrae dai pensieri. “ Sono stanco. Ma avverto l’aria di casa e pedalo più agilmente.” Tornano le domande. “Mi perdo nel tentativo di conoscere le cause della fragilità del nostro Paese, gli errori commessi un po’ da tanti, gli inganni perpetrati a danno di gente che voleva solo vivere in pace, le mistificazioni usate per condizionarci. Quel 10 giugno , a Roma ma anche a Livorno, con le piazze stracolme e la folla plaudente, è adesso l’immagine della follia.”

 I miracoli non vengono per caso. Arrivo a san Giuliano, poi Rigoli e Ripafratta. Qui incontro un sottufficiale della Marina Militare, che ho conosciuto sul lavoro nel porto a Livorno, anche lui in fuga. Due battute, uno scambio di saluti e d’incitamento( lui è molto più anziano di me) ed ancora Montuoro. Poi, Lucca. C’è finalmente un treno che parte alla volta di Pistoia.  “Carico la biciletta in vettura, mi aiutano alcuni ex-militari, anche loro in fuga.” E, di necessità, si fa virtù. Quel giovane impiegato rispettoso delle regole e delle buone maniere di 24 ore prima, non c’è più. C’è una persona che vuole salvarsi la vita. “Non pago il biglietto, né chiedo se posso caricare la biciletta. Ci mancherebbe anche questo. Se passa il controllore gliene dico quattro sulla ghigna. Oh, quell’omo, ‘un lo vede che spicinio hanno fatto! Per la cronaca giungo a Pistoia dopo il tramonto. Appena dodici ore di viaggio.”

 Dario l’ha narrata d’un fiato.  Ansima, respira profondo cercando di calmarsi. “Quello che condizionava tutti, era la sensazione della solitudine e non tanto fisica, quanto del vivere. Tutto permeava di solitudine: il silenzio delle strade, i rari passanti, quei primi soldati che s’allontanavano, ognuno verso una propria mèta, in silenzio, frettolosamente. Il mio piccolo problema esistenziale s’accumunava, si confondeva nel dramma di altri, presi dall’ansia della scelta e della paura. Come se ognuno fosse costretto ad affrontare una propria guerra, quella della sopravvivenza. Mai più guerre.”

GIAN UGO BERTI

 

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