Anniversario della nascita di un garibaldino "contro"
AMILCARE CIPRIANI
Descritto da Tanini uno storico che seguì le sue vicende
Cenni biografici della vita di Amilcare Cipriani
Giulio Tanini
1920
E chi è Amilcare Cipriani, mi domanderà il primo dei miei due lettori? Se sei Italiano, amico mio, butta via questo libro, non mi disonorare col tuo sguardo interrogativo su queste pagine oneste; tu non sei uno spirito che meriti di leggere ciò che sto per scrivere, perchè - vedi, - io devo sfogare tutta l'anima mia parlando d'uno di quegli uomini che vengono di stampo garibaldino, che hanno fatto, per la civiltá latina, più di quello che farebbero dieci filosofi con cento libri dottrinari! Cipriani è un garibaldino, un rivoluzionario, un socialista, un anarchico.... ma che dico? niente di attributi a Cipriani, perchè è la rappresentazione pura dell'Italiano eroico, cavalleresco, generoso, giusto, integro, ideale e ribelle a tutte le ingiustizie; simbolo di quell'uomo umano che trionferà dopo secoli di lotte e di prove e di ribellioni. Esempio vivente di ciò che furono i nostri volontari delle guerre del Risorgimento, egli fu un milite dell'Ideale mazziniano-garibaldino: prima l'Italia (e disertore due volte), appartenne alla legione fatata di quelle camicie rosse che videro Milazzo, il Volturno, Aspromonte.... erano i tempi che i giovani non facevano all'amore con una dama ricca per sposarla; s'inebriavano di un amore più puro: con la Morte, - per l' Italia - anzi erano veramente innamorati d'una figura vaga, ideale, personificata in lei: e sposavano, pieni di gioia, la maliarda dagli occhi ingemmati: Italia e Morte, erano le due passioni fuse in una, che trascinavano la gioventù italica su' campi di Lombardia, in Sicilia, in Terra di Lavoro, a Roma per Bezzecca, per aver Mentana, a morire...
Nel 59, quindicenne appena (è nato il 41), scappa di casa per fare pedinquae rebus, da Rimini, una buona scorpacciata di chilometri e provar le gambe; giunto co' piedi gonfi e affamato a Torino, all'ufficio de' volontari, lo rifiutano; ma ha sentito dire che ad Asti è più facile ingaggiarsi; eccolo anche là: è arruolato nel 7° fanteria, Caporale a San Martino e portato all’ Ordine del giorno; dopo la pace di Villafranca, a Tortona dov'é condannato alla vita di quartiere, si mette a studiare... Guai a codesti uomini che gli nasce la voglia di sapere, di conoscere il mondo, di non esser ciuchi, e che, non essendo nati da genitori con di molti fogli da mille, o stufi (come Cipriani) di star sotto la fèrula d'un prete, vogliono allontanarsi dai volgari e dagl'idioti; saranno - col tempo - de' grandi infelici, e tutte le cose anderanno loro a rovescio; predestinati - per dir così - dall'infanzia, tra la fame, le lotte, le ingiustizie difendendo gli umili, diverranno martiri e simboli: e Amilcare Cipriani è un simbolo; il simbolo perfetto dell'autodidatta, del ribelle, del martire e dell'eroe. Tutto per gli altri, cuore, braccio, fegato: nulla per sè.
Era la primavera italica: Garibaldi (veggente solitario e poeta, ma, più che poeta, eroe creato da Natura per redimere gli schiavi del mondo; Garibaldi, che aveva lasciato nella lontana America il nome italiano temuto; che sulle pietre di Roma, aveva tenuto un giuramento di redenzione da fare impallidire papi e tiranni; Garibaldi, sentiva la voce della nobile, sventuratissima Sicilia: toccato colla sua vanga lucente il negrigno scoglio di Caprera, radunava a sè i leoncelli di Sant'Antonio, del Vascello, di Varese, di San Fermo, e, la notte del 5 al 6 maggio salpava àncora per Marsala.... Amilcare Cipriani, arrivava a Genova ventiquattr'ore dopo che il Piemonte e il Lombardo erano spariti dall'orizzonte e il dolore di Cipriani fu ben amaro. Eccolo da Medici e via, con la seconda spedizione ... ma disertore del regio esercito!
Terminata la campagna di Sicilia e, nel giòlito sabaudo, amnistiato, (ma contro cuore, come si vedrà), fu rimandato al reggimento, quindi contro il brigantaggio. Nell'agosto del 62 Garibaldi ha gettato il fatidico grido dal Bosco della Ficuzza: "O Roma, O morte". - Cipriani lascia il fucile regio nella rastrelliera, ed eccolo dall'Eroe; i bersaglieri di Pallavicini fucilano il fondatore dell'Italia Nova, il creatore della unitá italica; i disertori dell'esercito debbono mettersi in salvo: Cipriani si dà, con altri, alla macchia: il maggiore Salomone, anche lui disertore, vedutosi inseguito, si getta in mare e vi resta dalla sera alla mattina. Cipriani che è due volte disertore, cerca una foresta vicino a Fantina, con Trasselli, Pantano, e altri internandosi nel bosco; ma una squadra di sette
Costantino Bianchi (di Lodi)
Giovanni Botteri (di Parma)
Ernesto Pensieri (di Pavia)
Carniglio Cerutti (di Venezia)
Giovanni Balestra (di Roma)
Della Monea (di Roma)
e Ulisse Grazioli,
sono fatti prigionieri e senza pur l'ombra di processo, fucilati; Cipriani, dall'alto d'un colle, ai colpi di fucile s'accorse dell'orrendo assassinio perpetrato dal maggior De Villata, degenere lombardo, subito premiato col grado di colonnello. Tanta fu l'efferatezza dell'infame, indegnissimo ufficiale del 47° regg. che uno dei poveri martiri - il Bianchi - respirava ancora e si sarebbe salvato. Il medico Levante corse dal maggiore a dargliene avviso e lo trovò che leggeva questa lettera trovata in una tasca del povero Bianchi: era della madre.
- "Costante, figlio mio, non credere no, che mi addolori tanto il saperti fra pericoli dai quali sta solo il buon Dio il camparti. Io vado superba di averti partorito ed allevato alla difesa dell'Italia nostra, e quando, il che spero tra breve, potrò stringerti al seno, quale madre sarà più felice di me? Ma intanto, anche nel furor della mischia, ricordati di esser pio e generoso, pensa che i tuoi nemici, gli stranieri che opprimono la nostra terra, hanno una madre che li ama, come io ti amo, e che ti aspetta com'io ti aspetto..." -
Ebbene? questa lettera, lo credereste? non impietosì lo sgherro; voltosi al dottore, non temè l'ira del mondo, non temè l'esecrazione dell'Italia, dei nepoti:... "Finitelo!" rispose.
Onta eterna - anatema eterno - sui responsabili assassini.
Stette, Cipriani molti giorni ancora fuggiasco col fratello suo nella montagna di Gibilrossa, poi riuscì a imbarcarsi per la Grecia; ma in vista del Pireo, la nave naufragava, e il fuggiasco é costretto a lottare molte ore col mare. Giunge finalmente a terra e lo troveremo ad Atene mentre, proprio allora, ferveva la rivolta! Si fa capo d'insorti; interrorito re Ottone e riparato al confine, Cipriani è costretto a veder cambiar re, ma non Governo. Lui rivoluzionario, non aiuterà, la nuova monarchia! Pedinato, arrestato, sfrattato, eccolo a Smirne e quindi ad Alessandria d'Egitto dove s'impiega come magazziniere. Ma questa vita, poteva confarsi al nostro Eroe, a questo secondo Garibaldi, a cui solamente manca la fortuna ? Troveremo Cipriani capo di squadriglie nella famosa spedizione dei Cento Leoni europei, verso le Sorgenti del Nilo. Ma la spedizione, o per competizion de' capi o non so che altro, cessa a un tratto, e Cipriani ritorna ad Alessandria a piedi, attraverso pericoli e privazioni tremende: basti dire che deve cibarsi di frutta e carne cruda, dissetandosi al Nilo, succhiando quell'acqua pestifera, vivajo d'ogni insetto, attraverso uno straccio. In Alessandria riprende il suo impiego di magazziniere, riallacciando la comunicazione, giammai interrotta, con Mazzini e anzi, col suo consenso, fonda la Società Italiana Democratica e la Sacra falange: scoppiato, frattanto, il colera, fonda un Comitato di Soccorso e assiste gli appestati; (Garibaldi ha fatto lo stesso a Marsiglia nel 36); ma dall'Italia si annunzia la guerra al Tedesco; eccolo fondatore della Legione Egiziana è acclamato Comandante della stessa; ma non vuole gradi, non sa cos'è l'ambizione.... scappa, e lo troviamo a Brescia nel 1° Batt. Volontari Italiani. Semplice milite però, perchè non ha voluto obbedire nemmeno alla preghiera di Garibaldi: si battè a Montesuello, a Lodrone, nel Cimitero di Condino, a Castello, e a Bezzecca. Antonio Mosto, il gran ligure comandante del leggendario manipolo dei Carabinieri Genovesi di Calatafini, lo propone per la medaglia al valore, tanto eroica era stata la condotta di questo leone di Romagna. Ma Cipriani - ricordiamolo - due volte disertore, è costretto a riprendere l'amara via dell'esilio. Torna verso l'Oriente; arriva a Candia; partecipa all'insurrezione contro i Turchi (questa è la prima volta!) alla Canèa, a Gàidaros, a Santa Rumeli, a Sfakia ove fa vedere chi sono i garibaldini! ed è appunto in questa occasione che conobbe il famoso Gustavo Flourens, il generale della Comune, che egli vedrà uccidere.... Ma non precorriamo la Storia; a suo tempo, vedrai - o lettore - passare dinanzi a te, figure sublimi d'eroi, di martiri, di pionieri della futura fede immortale dei popoli, i creatori di quella giustizia che non esiste finora: a suo tempo!
Dopo la guerra Candiota, Cipriani ritorna ad Alessandria d'Egitto e, per la seconda volta, è al suo posto di magazziniere, sempre nella stessa Casa di Commercio.
Qui si scrive la pagina più amara, più dolorosa, più infelice, più ingiusta della sua esistenza. Ma devo fare un po' d'ambiente, perchè il fatto che accadde al povero Cipriani coinvolge, disgraziatamente, quella parte d'italiani che pullulano sempre nelle grandi città estere, gente senza coscienza, briganti in abito civile, invidiosi, traditori o degenerati. Aveva, Cipriani, fino dal 1863 fondato una Società di Mutuo Soccorso, fra Italiani, il cui primario scopo, però, di intesa col grande Agitatore esule a Londra, era quello di tener pronti fondi e preparar armi e petti per le ulteriori battaglie contro i Tedeschi; fra quell'accozzaglia di falsi Italiani, Cipriani doveva cadere anima generosa, sincera, aperta a tutti gl'ideali, ignara (come tutte le grandi anime candide) dei lavori sotterranei degl'invidiosi, in una rete tesagli per rovinarlo. Una notte, la terribile notte del 12 settembre 1864, invitato a una ribotta preparata in suo onore da parecchi compatriotti, tra i quali certi Ciucci, Santini e Menicagli, accortosi che gli uomini tra i quali si trova (v'erano anche sei o sette Greci) denigravano il nome italiano, s'accomiata: ma costoro (che appunto cercavano pretesto per aizzarlo e rovinarlo) gli si fanno addosso per trattenerlo, e passando dalle parole alle minacce, lo colpiscono co' bastoni ferendolo alla fronte con una coltellata al basso ventre, poi a una mano.
Cipriani non ha mica della malva nelle vene! chi, trovandosi in simili circostanze, non metterebbe mano al coltello per salvar la propria vita? È un baleno: chi cadde cadde; inseguìto, acciuffato, mezzo morto, per istinto della propria conservazione credendo fossero gli stessi che lo volevano morto, menò, menò, alla cieca e sentì cadere... erano due poliziotti del Kedive. Intanto anche l'altro, l'Italiano era morto: Cipriani, per giustificarsi della disgrazia avvenuta per difesa personale, chiesto il consiglio da un avvocato e assicurato da questo che la giustizia, dato il caso della legittima difesa non poteva fargli nulla, fu però avvertito (anche i buoni non mancano) che il Consolato italiano non gli rilascerebbe il passaporto: era chiaro che il Governo Egiziano aveva già preso le sue misure e stava per mettergli le mani addosso, e in quei tempi, un Rumi (un cristiano, come li chiamano gli arabi per dispregio) uccisore di mussulmani (e in propria difesa disgraziatamente ne erano caduti due) andava al capestro. Cipriani, dunque, non se lo fece dire due volte: prese il mare e si recò a Londra, dove si mise a fare il fotografo.
Questa pagina della vita di Amilcare Cipriani - io credo, - fu la piú amara di tutte quante egli ne ebbe a passar poi nelle varie galere laddove lo vollero rinchiudere, come un leone pericoloso, le consorterie di tutti i governi coi quali, l'indomito ardente Romagnolo ebbe a che fare. E poi, anche perchè nell'animo generoso dell'eroico garibaldino, frizzava la ferita morale di aver dovuto uccidere, per salvar se stesso. I buoni, i veri uomini e gli amici coscienziosi, giusti, liberi nel pensiero e nel cuore dei preconcetti della società borghese non potevano ritenere, nè ritennero mai, che Cipriani avesse commesso un delitto: ma questo non avveniva con quelli che ne volevano la distruzione, morale e materiale; e non ci voleva meno di quella fortissima tempra di bronzo, e di quel carattere adamantino, per resistere, vincere, trionfare su sè, su gli altri, nel mondo e nella Storia. Verrà un giorno però, che gli sgherri e i lacchè della monarchia coglieranno la palla al balzo per tentar di annientare un uomo lo incateneranno, lo sotterreranno, lo condanneranno ai più duri tormenti, ai maltrattamenti più raffinati, gli toglieranno l'aria, la luce, la libertà, tenteranno, con ogni sevizia, di farlo sparire dalla faccia della terra, ma - novello Farinata, sorgerà più terribile, più dispettoso, più fulgido dal suo avello di Morte: sarà esule, vivrà doloroso fra gente non sua, mangerà uno scarso pane guadagnato frusto a frusto, ma la Storia se lo prenderà come simbolo di audacia, sì, di ribellione, sì, ma sempre per la giustizia, per l'invitto trionfo dell'onestà e dell'onore - Sarà un simbolo d'eterna ribellione.
Cipriani rimase a Londra lavorando come fotografo diversi anni, credo tre e, non è da maravigliare che seguisse le orme e fosse un sollecito milite del grande Genovese, con questo però, che l'anima di Cipriani era anarchica e socialista, e la repubblica, sí, era un passo, ma un passo soltanto a più rosse aurore, a giustizie più complete. Visse però sempre intimamente con Giuseppe Mazzini e anche ne fece il ritratto, bellissimo perchè aveva anima di poeta e d'artista, e lo scarso stipendio non riesciva a tarpare in quell'uomo fierissimo la voglia di lavorare e lavorar bene e con passione, privilegio sensibile delle vere grandi anime che anche sulle minime cose mettono il sigillo personale della bravura, dello zelo, della perfezione.
Arriviamo al 1870, anno in cui la propaganda mazziniana soffia con intenso ardore ne' cuori della gioventù italiana: scoppiano i moti delle bande nel Lucchese: Tito Strocchi, l'antico mio Maestro, del quale avró a riparlarne più innanzi, Pietrino Barsanti... sono pagine roventi di fede mazziniana, Cipriani varca la Manica per accorrere a' moti rivoluzionari, toscani, di Lombardia, di Romagna; ma la Francia l'arresta: è imputato di complotto (il complotto Blois-Cipriani contro Napoleone: espulso fugge a Lugano, poi torna a Londra, ma intanto scoppia la guerra e l'invasione prussiana, e detto addio alla compagna, Adolfina Rouet che gli aveva regalato una bella bambina - Fulvia, - vola a Parigi in difesa del popolo e dell'onore Francese. Scoppiata la rivoluzione e proclamata la Comune, Cipriani si dà anima e corpo al gran sogno. I disastri, le defezioni, i dolori di quella gran guerra sono noti: una dopo l'altra le fortezze del confine si danno ai Prussiani: il popolo è furente con Flourens, (l'antico suo compagno d'armi a Candia) Cipriani forma un corpo di 80 battaglioni della Guardia Nazionale. Jules Favre, Jules Ferry, i generali Trochu e Tamissier, arrestati, poi liberati, perchè la reazione guadagna terreno. Cipriani arrolatosi nel 1° batt. dei tiratori, riprende una trincea caduta in mano dei prussiani, combatte in altre venti battaglie, a Champigny, a Montretout, e così gagliardamente da venirgli offerta la croce della legion d'onore che egli ricusa con questa lettera: «Grazie dell'onore. Non accetto la croce: prima di tutto perchè l'accettarla sarebbe contrario alle mie idee, e poi perchè i garibaldini non accettano simili onori se non quando piantano le tende nel campo nemico.» Appena firmata la pace, essendosi dato a difendere l'elezione di Flourens, lo vogliono arrestare: fugge a Lione, raggiunge l'esercito dei Vosgi, ma Flourens lo richiama perchè le barricate sono sorte in Parigi, e ci vogliono gli uomini di bronzo di quello stampo.
Fatto comandante della Piazza Vendôme, poi colonnello di Stato Maggiore, con Flourens deve uscir di Parigi per combattere i Versagliesi, e l'infame Thiers. Bisogna leggere le pagine dello stesso Cipriani se si vuol sentire con quali animi e devozione i difensori della Comune sostennero fino all'ultimo sforzo l'onore di quell'idealità che, nei secoli, avrà mutato faccia alla terra e alla società.
Arrestato, dunque, e trascinato a Versailles (e nelle varie carceri gli fecero scontare con sofferenze inaudite i generosi entusiasmi) fatto il sommario processo, si condanna a morte. (Questa è la seconda condanna di morte!) per un caso straordinario; o che fossero stanchi di sangue o altro, di lì a poco gli commutano la pena in deportazione perpetua; e il 3 maggio del 1872, con altri sessanta compagni di sventura, imbarcato sur un pessimo bastimento eccolo - il nostro eroe - in viaggio per la Nuova Caledonia. Anche se io non avessi già, nelle pagine precedenti (sebbene sommariamente) tentato di dare un cenno di que' climi oceanici, ove il calore, gl'insetti, la scarsezza d'ogni civiltà, le zanzare, sono di per sè già un tormento inenarrabile; mi sarebbe impossibile dire, con parole e descriver con frasi, i martiri a cui fu dannato l'infelice durante otto anni eterni che vi trascorse. Lungo il viaggio, che durò un paio di mesi, Cipriani fu sottoposto alle più crudeli e feroci rappresaglie dall'infame Capitano (Riou de Kerprigeant) il quale, feroce imperialista e tutta roba dell'antico regime, non gli pareva vero d'aver fra le grinfie un Comunardo, anzi un Capo di Comunardi! - appena a bordo, quel vile sgherro si fa condurre Cipriani dinanzi dandoli di brigante... «Siete un vigliacco!» gli risputa in faccia il fiero romagnolo; soffocando d'ira, lo fa cacciare in fondo alla stiva e ve lo tiene per 45 giorni: incatenato mani e piedi, senz'aria, senza potersi movere in uno spazio a malapena capace per ricoverare un cane, affamato, assetato dovette (lo ha confessato lui stesso) beversi la propria orina e leccare le proprie catene per trovare un refrigerio al martirio; vietatogli il medico, l'infermeria, i medicinali, viene finalmente sbarcato malatissimo e posto all'infermeria, appena potendosi reggere in piedi, è cacciato in una capanna. In quell'inferno - unica speranza, l'evasione! ma il forzato che vuol evadere deve preparare i mezzi, denaro per corromper gli aguzzini..., Cipriani, a cui l'indomito carattere, per un nonnulla, per dignità, perchè è un leone e non un coniglio, basta poco per diventare un ribelle, a ogni più piccola protesta: in carcere! per sei, per diciotto mesi a morire o a consumarsi dai martirii: l'ultima volta fu condannato a 18 mesi di carcere duro, 3000 franchi di multa e dieci anni di sorveglianza. I 18 mesi gli furono commutati in lavori forzati, e sapete come li passò? spaccando pietre sulla strada, sotto la sferza del sole, la rabbia delle pioggie, la fame, la sete e l'ardente desiderio di vendicarsi degli uomini e della Societá cosidetta civile.
Infelice Cipriani! Qual altro eroe - dite, - quale altra figura, quale altro uomo troverete voi che abbia sofferto tanto per mantenere puro il carattere, saldo l'animo, integra la coscienza, ammirabile la serena visione della sua virtù non mai offuscata, ma sempre adamantina, romagnola, italiana?
Dopo tante torture, e poiché il tempo, tutto sana, anche, per Cipriani suonerà la campana della libertà! Della libertá? vediamo. Tornato a Parigi nell'80, il famoso Rochefort, quell'unico inarrivabile polemista dell’Intransigente (capace di scrivere in una colonna sola gli articoli piú maravigliosi ch'io abbia letto, brillanti e caustici, logici e inimitabili) lo saluta dal suo foglio, con queste parole; «Cipriani est la loyauté même. Il a pendant le siège risqué sa viedans dix combatts pour la defense de la France, qui n'est pas la patrie. La France, toujours génereuse, par dix ans de déportation à la Nouvelle Caledonie»
Passato in Svizzera (ove conobbe Cafiero), poi a Milano, si può immaginare con quanta adorazione l'eroico Romagnolo fosse fatto segno all'amore di tutti gl'italiani: venivano da tutte le provincie, specie dalla terra natale - dalla sua Rimini, ove l'altro suo fratello (ora divenuto cieco), vecchio garibaldino del 66 e d'Aspromonte anche lui - aveva conservato sempre accesa la sacra fiamma dell'ideale rivoluzionario. Cipriani è un vessillo, cento associazioni gli dànno l'incarico di rappresentarle al gran Congresso di Roma. Ma il giorno che doveva aver luogo, la polizia lo proibisce, e Cipriani lancia una protesta: "Agli oppressi d’Italia", e lascia Roma indignato: giunto a Rimini, uno stuolo di questurini l'arresta. Suo padre, che l'aspetta da 22 anni, ammalatissimo, dal crepacuore di non poter rivedere il figlio che sa trascinato colle manette a Milano, muore senza poterlo abbracciare! Da tutte le parti si grida: amnistiate i colpiti politici; a Cipriani viene detto e gli si scrive che fra pochi giorni sarà, finalmante, libero. Considera tu, o lettore, lo stato d'animo del grande rivoluzionario: da un momento all'altro potrà esser libero, godersi l'aria del suo dolce paese, dopo tanti e tanti anni d'avventure e di lotte: ma una disillusione, un'amarissima disillusione gli sta preparata. La porta del carcere s'apre, e il capo-secondino gli dice paternamente: Cipriani, vi vogliono giù!... Libertà,.. pensa Cipriani - invece era un mandato di cattura!
Il governo italiano, per sbarazzarsi di quest'incomodo e temibile cittadino, gli andava a rivangare il fatto Santini di 15 anni prima! E così, dopo un infamissimo, mendace, sbirresco processo in Ancona, il paterno governo d'Italia lo faceva dannare a 25 anni di galera. Invano tumultuò il popolo, la Romagna, in Comizi, in giornali, al Parlamento; invano uomini del Fôro d'altissimo grido (un Ceneri, un Pessina e dieci altri) interposero il diritto vero e l'interpretazione giusta del caso e della prescrizione: condannato, subí, come Cristo, la condanna; trangugiò, come Socrate, il veleno fino alla feccia; le catene di ferro che sublimarono uomini quali Colombo, Mazzini e Garibaldi, tornarono a stringere i polsi e i piedi dell'eroe del Volturno, di Bezzecca, della Comune. Non fu permessa la revisione del processo e l'esecuzione dei tre testimoni che sarebbero stati realmente i soli a salvarlo: Menicagli di Livorno, Ciucci (che credo pure Livornese).
1882 - 1888! sono due cifre mute; sei anni di patimenti fisici e morali per Cipriani che è temprato nel bronzo;
2703! un altro numero, che raccoglie in sé l'onta d'Italia; che getta il fango su la razza; che borchia d'infamia per l'eternità i bastardi degl'italiani tirati su per le sacrestie e negli uffici governativi, consorti, camorristi, mafiosi, sbirri, spie piene d'ogni sozzura.
V'erano anche i generosi però; una plejade di pubblicisti, d'avvocati, di letterati, di popolani, di operai, d'artigiani, che lo vogliono fuori. Comizi, societá operaie, poeti, con la parola e con la penna, Carducci a capo - Rapisardi, Aurelio Saffi, Andrea Costa, Bovio, Filopanti, Antonio Maffi, Antonio Fratti, Missori, Menotti in Italia; e all'estero il compagno di Cipriani, il Comunardo e Storiografo della Comune Benoit Malon, la Michel, Vaillant, il Comitato Elettorale di Rimini, di Ravenna, di Forlí, clamano a piena voce l'indulto per Cipriani. Ma il governo, che conosce l'uomo, che fa? subordina l'indulto, alla domanda di grazia, quanto dire, che Cipriani morrà in galera. È mai possibile che una coscienza ferrea come la sua, rinneghi tutto il passato, infranga il carattere cosí come (pur troppo) tanti e tanti lo infransero perchè l'aria, la luce, il sole, la libertà, la famiglia li seducono? famiglia, libertà, sole, luce, aria, la vita istessa insomma, periscano.... Cipriani ha per blasone "Frangar non Flectar" ma non per rettorica - o no! - per alta convinzione eroica, per essenza di tutto sè, strana condensazione (ma che dico?), fermento d'ogni ideale, d'ogni virtù, d'ogni sacrificio. Se Carducci scrive: "Diritto, umanità, richiedono che si provochi per Amilcare Cipriani l'azione di grazie" - Cipriani risponde - in furore - ...."Mi si mette fra il bagno e la libertá imbrigliata. Senza esitare, scelgo il bagno. Io mi sento più onorato, ora che sono perseguitato dal loro odio, che se fossi protetto dalla loro clemenza; voi curvate la testa, proponendomi una viltà?"
Vinse il popolo: cioè la paura che il governo ebbe della minaccia della sua collera....
Il 27 luglio 1888 Amilcare Cipriani escì libero, senz'aver piegato la spina: l'Italia si purgò (dico la mafiosa Italia) con voltar gli occhi da un'altra parte, fingendo di non vedere l’Onorevole e la buona Italia gli fece tali ricevimenti, una vera Apoteosi - meritata, povero Cipriani - che, io credo, rimettesse in salute sollecitamente il nobile e fiero amico. Lungo il percorso ferroviario, a tutte le stazioni laddove si fermava il treno, perfino ai passi a livello e alle stazioncine di transito, s'accalcavano plaudenti operai, contadini, popolani, soldati. Folle immense salutavano il fischio che annunziava il suo arrivo; moltitudini frenetiche gli mandavano saluti, fiori, baci al ripartire.
Così chiudevasi, e non poteva altrimenti, la quarta epoca della esistenza dell'indomito rivoluzionario, di colui che, giammai, mutò aspetto nè mosse collo nè piegò sua costa.
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Incomincia ora una vita nuova, ma sempre di combattimento, per il nostro eroe: un mese dopo d' esser uscito dal carcere, Cipriani tornò a Parigi e solo, poi assistito da Malon, Pichon e Millerand fondò l’Unione dei Popoli che ben presto doveva contare quindici mila Soci; lanciò un Manifesto e un giornale: Guerra alla Guerra. Trasformatasi quell'associazione nella Fratellanza Universale dei Popoli, lavorò potentemente a gettar le basi democratiche d'un'intesa di popoli per l'internazionale socialista. Era sorto intanto un ambizioso, un soldato audace: Boulanger - che voleva distruggere la Repubblica: il 1889, 1890 e 1891 trascorsero così per il Cipriani fra lotte sociali e miseria. Chiamato dagli amici al Congresso rivoluzionario di Capolago, giunto a Roma il 1° maggio e recatosi a presenziare il Comizio in Piazza Santa Croce in Gerusalemme, nella sommossa provocata dai questurini e anche dalle infocate parole dell'anarchico Galileo Palla, mentre Cipriani sta per parlare, alcuni carabinieri e guardie vengono accoltellate; la folla tenta disperdersi ma la gran piazza è circondata dalla truppa che carica i dimostranti: Cipriani, sceso dalla tribuna, tenta ricondurre la calma, ma un questurino, di nome Raco (lasciandolo all'eterna infamia) gli si caccia addosso e gli appunta la rivoltella... ma - la guardia cade pugnalata, e Cipriani vede un giovine, alto vigoroso, che gli dice At Salot! (ti saluto) e sparisce.
Nel fuggi fuggi, generale, Cipriani si salva in una casa, pedinato e arrestato, subisce un nuovo processo e vien condannato a 3 anni di reclusione: n'esce sul '94. Durante il processo, gli piantò sempre gli occhi addosso un giovine, bruno, alto, col famoso cappello alla romagnola: era quello che gli aveva salvato la vita! Chi sarà stato?
Tornato a Parigi nel 97, e scoppiata l'insurrezione di Creta, eccolo di nuovo in Grecia, Capo d’insorti e volontari, con un nucleo di altri eroici fratelli nostri. Durante una marcia, in un anfratto, sur un prato fiorito, sente Cipriani il pianto di una creaturina: avvicinatosi, scopre una bambina cieca abbandonata dalla madre - la prende in collo la rifocilla e per sentieri impervi, sotto il cocente sole d'estate, cerca dove poter rifugiare l'infelice creaturina finchè trovato il deputato di Làrissa gliela consegna; ma il brav'uomo cerca esimersi dicendo che ha 6 figli; però la moglie, commossa, la riceve dicendo saranno sette! A Domokos, combattendo Cipriani le ultime ore della gran battaglia, riceve una palla in una gamba che lo stramazza a terra; portato ad Atene e imbarcatosi per l'Italia, viene curato all'Istituto Rizzoli di Bologna, ma è costretto a camminar sulle grucce per vari anni. I suoi romagnoli, lo vorrebbero bensì deputato, ma egli non vuole assolutamente giurare. Esule piuttosto! E torna a Parigi in cerca di lavoro per campare: prima nel Petite Republique come redattore, poi, con le medesime retribuzioni, alla Humanité, il giornale socialista di Jean Jaurès.
A questo punto della vita di Amilcare Cipriani, si apre una pagina che ha del romantico; la passata esistenza del gran rivoluzionario (come s'è visto) per combattere i nemici della libertà e dell'umanità: ora vedremo Cipriani negli affetti familiari; uomo, padre.
Un bel giorno Cipriani riceve una lettera da un artista, un certo Jacques Wely, celebre per i suoi disegni satirici sui giornali parigini. Questa lettera gli comunica che egli crede d'aver per moglie Fulvia la sua figliola nata a Londra. Un fulmine a ciel sereno, perchè dopo quarant'anni aveva perduta di vista la madre e null'altro aveva più saputo della piccina. Dubitando di qualche astuto imbroglio preparatogli da nemici, si confida a persona fida e si assume il segreto incarico di verificare il vero. La sorte doveva sorridere ad Alfredo Talamini il noto corrispondente dell’Avanti! e di altri giornali socialisti; recatosi al villaggio in cui vive il disegnatore vide la signora e il marito: le fattezze di lei erano quelle di Cipriani! non v'è dubbio. Da trent'anni la povera signora mulinava tra sè e sè chi poteva mai essere quell'Amilcare Cipriani di cui parlavano tanto i giornali, come famoso comunardo, e rivoluzionario, dell'eterno ribelle contro tutte le oppressioni? E le pareva che quel mistero divenisse sempre più chiaro leggendo e rileggendo la sua fede di nascita: Fulvia, Lavinia, Itala, Roma! nata il 10 gennaio 1870, nomi che le aveva imposti il 9 marzo 1870 suo padre, il quale appariva ben chiaro. Amilcare Cipriani, e quello della madre Adolfina Cipriani nata Ruè, con la firma originale e l'indirizzo: 12 Oxford Market, Marylebone (Londra).
E si ricordava che, cresciuta, i vicini, per ischerzo, le davano della Comunarda! E quell'uomo che essa, ora, ardentemente voleva ritrovare, aveva passato una vita infernale, ma anche luminosa: garibaldino, condottiero, esule....
Il 26 giugno 1908, la figlia, accompagnata dal marito e da Talamini si presentava al padre, su a un 4° piano della rue Montmartre 142 a l’Humanité: l'incontro fu quanto mai si potrebbe dire terribile. Il padre, rivedeva dopo 38 anni, quella figlia che egli aveva baciata l'ultima volta la sera del 4 settembre partendo per difendere la Francia.
Ho letto, che appena il padre vide il certificato inglese in tutta regola, rivoltosi a' coniugi disse: - "Mah! sapete che sono restato povero?" - e la figlia Fulvia rispose: "lo sapevamo, babbo!" e allora un raggio di sole, un sorriso risplendette negli occhi e sulle labbra del povero esule. Nell'inventario dei valori umani, variano le passioni, i giudizi, a seconda delle circostanze - direi quasi, dell'ora e del minuto; finchè la storia si sovrappone col suo verdetto, giusto talvolta, falso tal altra: e essi anche per Cipriani, la Storia, puntando il dito sulle sfere delle ore, dei minuti e dei secondi di quell'esistenza, pare finalmente che gli assegni una tregua al patire, che gli dia un respiro ai colpi di ventura.
La vita di Cipriani, da quel tempo, scorse tra l’Humanité e la cameretta (modesta e poverissima d'ogni comodità, meno che ricchissima di libri e opuscoli d'ogni genere). L'Italia lo chiama deputato e lo vuole a sè; ma... hanno voglia di eleggerlo a Roma, a Milano.... Cipriani non giura, dunque non farà da comparsa fra i cinquecento e tanti camerieri del re (come li chiamava Garibaldi) e, invano, s'illudono gli ambiziosi di ogni partito, di poterlo trarre a loro per sventolarlo come un orifiamma e come un simbolo; Amilcare Cipriani - il rosso leon di Romagna, se in Italia fosse venuto sarebbe solo per aprir scuole di fierezza e d'indomito carattere. Ma quali saranno li scolari? questi, che io ho sentito, or' è poco gridare W il re, W la guerra, o quelli che avendo gridato fino a ieri W la rivoluzione, hanno finito per gridare: «se si va contro l'Austria combatto anche sotto il re?» La rivoluzione! Cipriani sì, che l'ha predicata e fatta, la rivoluzione!
Quì pongo fine alla rapida biografia di Amilcare Cipriani, non senza aggiungere che mi ero dimenticato un episodio quasi altrettanto bello d'una battaglia combattuta e vinta: una nobile e vecchia amica sua, ammiratrice sincera, giunta in punto di morte, gli lasciò cinquantamila lire: ma anche contro le insistenze delle figlie, gentili amiche sue, Cipriani ricusò, ne vi fu verso ch'egli volesse accettare un soldo: alle istanze amorose delle buone amiche, sapete cosa accettò? una poltrona consunta che aveva appartenuto alla filantropica amica sua.
Eccovi l'uomo - o giovani: - eccovi uno di quegl'Italiani che illustrano tutta una nazione: fra dieci anni, il nome di Cipriani sarà come quello d'uno dei più nobili eroi, portato simbolo d'incorruttibilità, di patriottismo e d'amore veramente umano. Felici coloro che lo conobbero; più felici coloro che poterono seguirlo, imitarlo, venerarlo.
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Amilcare Cipriani si spense il martedì sera del 22 maggio 1918 in una Casa di Salute dove era ricoverato. Il vecchio leone, scomparso completamente dai Boulevards di cui era una delle figure caratteristiche, aveva finito per ritirarsi dalla vita, solitario e dimenticato dai suoi compagni rivoluzionari. Fino all'ultimo, il rivoluzionario romagnolo conservò la fede patriottica, Comunistica, socialista, internazionale e la fiducia nella vittoria del nostro paese.
Trascrivo qui una lettera, preziosa per noi - uomini di rosso cuore, e fidenti nella evoluzione imperterrita dell'ideale più ardente: l'Internazionale comunista. Poche parole, ma che condensano tutta la grand'anima del Maestro, del Simbolo:
"Egregio Amico,
"Grazie sentitissime per il bel libro, che gentilmente mi inviaste, e per la bellissima dedica che con molto compiacimento vi faceste per me.
"L'ho percorso, è bello.
"Lo leggerò ancora e sempre, onde pregustarne tutte le bellezze e vivervi i miei anni giovanili, ormai tramontati da un pezzo.
"Sarà un gran sollievo per la mia vecchiezza, leggere le prodezze dei giovani ed il loro sacrifizio, che se frutta a un trono, ed a un indegno governo, copre di gloria l'Italia nostra, sempre bella, sempre grande, sempre gloriosa, e pur sempre serva!
"Stringendovi amichevolmente le due mani, mi dico il vostro sempre:
A. Cipriani
IL TESTAMENTO
Le sue ultime volontà, le sue ultime voci furono quelle che per tutta la vita lunghissima è dedicata tutta alla libertà dei fratelli del mondo, furono queste:
"Quando sarò morto verrete sulla bara a darmi la notizia che Trento e Trieste saranno libere, che Metz e Trasburgo, la Colonia intera, l'America... Verrete a dirmi che tutti questi giovani non sono morti invano, e che non vi sono più popoli oppressi sulla terra. Verrete a dirmi che non vi sono più imperatori nè re a Vienna nè a Berlino: che il mondo è davvero in marcia, questa volta verso la Pace e la Giustizia Internazionale."
pubblicato da Susanna Berti Franceschi
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