La battaglia di Monte Casale sul Mincio
LA BATTAGLIA DI MONTE CASALE
La battaglia di Monte Casale si svolse il 30 aprile 1945 nel territorio di Ponti sul Mincio (MN) ed è ritenuta uno degli ultimi scontri della seconda guerra mondiale in Italia. Fu combattuta dai partigiani della Brigata Italia (Vr) comandata da Enzo (Fiorenzo Olivieri), dai partigiani della Brigata Avesani comandati da Bruto assieme agli Arditi del IX reparto d'assalto che ebbero un sanguinoso scontro con un reparto tedesco della Flak (la contraerea) che si era asserragliato sulla cima di una collinetta posta vicino alla strada che collega Peschiera del Garda a Monzambano. Nello scontro, che durò dalla mattina fin verso sera, morirono 5 arditi, il soldato americano Robert Carlson, e 4 partigiani. Da allora, ogni anno l'amministrazione comunale di Ponti sul Mincio ricorda con una cerimonia di commemorazione il sanguinoso combattimento. Nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945 un forte reparto di tedeschi proveniente dalle difese sul Po e reduce dallo scontro con carri americani alla corte Podinare nel comune di Ceresara, arrivò in prossimità di Ponti sul Mincio. L’intenzione era quello di aspettare l'arrivo degli americani e di arrendersi a loro, e non ai partigiani per paura di rappresaglie, in quanto già le forze tedesche in pianura erano tagliate fuori dai collegamenti con i reparti germani a nord del lago di Garda in quanto già la 10a divisione da montagna americana aveva occupato il territorio. Il resto della colonna, un’ottantina di uomini, passò inosservato nei pressi del paese e poi salì sul Monte Casale dove, un anno prima, aveva condotto esercitazioni. Il primo gruppo fu subito attaccato dai partigiani di Monzambano e Castellaro che riuscirono ad avere la meglio e ridurlo prigioniero. Il secondo, attestato sul monte, venne via via segnalato dalle vedette partigiane ai vari distaccamenti. Già dal mattino i tedeschi dalla sommità cominciarono a sparare sulla strada di Monzambano per aprirsi un varco. Un colpo freddò l’ortolano Giuseppe Bompieri che accorso a una finestra voleva rendersi conto di cosa succedeva. Ormai le raffiche dalla collina si ripetevano costituendo una seria minaccia per tutti quelli che transitavano. In poche ore sotto il colle si concentrarono non solo le squadre della Scarpina, ma anche quelle di Ponti, Peschiera del Garda, Castelnuovo del Garda, Valeggio sul Mincio, Pozzolengo, Cavalcaselle, tutte appartenenti al Battaglione «G. Dusi» della Brigata «Avesani», il cui comandante era «Bruto» (Luigi Signori). Anche la Brigata «Italia» che operava nell’area di Valeggio inviò alcune sue pattuglie agli ordini dei comandanti Adalberto Baldi, Ezzelino Marangoni e Lorenzo Grassi. «Bruto» chiese varie volte, mediante megafono, la resa, ma in risposta ebbe soltanto raffiche di mitragliatrice. Vista la situazione difficile, si consultò allora con un soldato americano lì presente, tale Richard A. Carlson, artigliere inquadrato nella 10ª divisione da montagna Usa. L’americano si mise subito in contatto con gli Arditi della 104ª compagnia, IX reparto d’assalto del Gruppo di combattimento «Legnano», che stazionavano a Peschiera. Una trentina di questi al comando del capitano Agostino Migliaccio giunse prontamente sul posto con armi leggere e mortai. Al momento dell’arrivo i partigiani avevano già spostato un cannone dalla stazione di Monzambano per essere impiegato. Intanto nel corso delle prime scaramucce 15 militari tedeschi scesero dal monte e si consegnarono come prigionieri. Ma dalla cima, nonostante gli inviti alla resa – ora ci si era messo anche l’americano – si continuava a sparare. Fu a quel punto che Arditi e partigiani decisero, nonostante il grande rischio, di avanzare carponi, terrazza dopo terrazza, fino alla linea del filo spinato. Ormai era piena battaglia: crepitavano le armi automatiche, i mortai martellavano la cima e le granate del cannone investivano la casamatta della sommità. Alle 17.30, dopo un fuoco durato quattro ore, Monte Casale fu conquistato. Venne catturato il comandante, un giovane tenente, si dice delle SS, gravemente ferito, e poi il resto della compagnia. Nelle trincee furono rinvenuti otto tedeschi uccisi, fra cui quattro o cinque per mano dello stesso tenente perché avevano tentato di arrendersi. Qualcun altro morì altrove o per ferite o perché giustiziato in modo sommario dai partigiani. In totale una decina di caduti e 38-40 prigionieri.
Volevano solo arrendersi, come al solito c'e' sempre qualche furbo che deve credere il contrario, ma anche i furbi a volte muoiono!
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