Portella della Ginestra:una strage di stato

1 maggio. Portella della Ginestra: una strage di Stato Correva l’anno 1947, una strage organizzata dalle forze dell’ordine, probabilmente la madre delle stragi di Stato. -R.C.- 1 maggio 2012- Morirono tanti contadini che con le loro famiglie stavano celebrando la festa del primo maggio. La polizia raggiunse i manifestanti attraverso le mulattiere che costituivano le uniche vie d’accesso. Quindi quando Giuliano ed i suoi cominciarono a sparare sulla folla e sugli oratori, le vie di fuga erano bloccate, alla fine si contarono 11 morti e cinquanta feriti. C’era molta gente a Portella della Ginestra quel primo maggio 1947, gente arrivata da San Cipirrello, da San Giuseppe Jato, da Piana degli Albanesi. C’era fermento nelle campagne, dove le camere del lavoro guidavano le occupazioni dei campi incolti di proprietà dei latifondisti. I decreti Segni e Gullo consentivano ai contadini, associati in cooperative, di farli propri e renderli produttivi. I proprietari terrieri erano ovviamente restii ad accettare supinamente gli eventi e trovarono appoggio nella Democrazia Cristiana palermitana. Nel Paese il clima politico era instabile. Era stata ufficializzata la legge Truman, per arginare l’influenza sovietica, ma ugualmente i partiti di Nenni e Togliatti avevano conquistato città importanti come Genova e Torino. In Sicilia il Psi ed il Pci vinsero le regionali del 1947. Le tensioni sfociarono nella strage di Portella delle Ginestre. Si cercò di capire: secondo il parlamentare comunista Girolamo Li Causi e per i comandi dei carabinieri, si trattò di una rappresaglia di mafia “E’ un’ipotesi, ma in quella zona comanda Giuliano”. Di diversa opinione l’ispettore di pubblica sicurezza Ettore Messana. La politica intanto prese posizione. Portella fu tema di discussione della Costituente, i morti vennero commemorati da Bernardo Mattarella. Si assicurò, senza peraltro chiarirne i motivi, che l’eccidio non poteva essere politico. Con il paravento del banditismo mafioso furono assalite le sezioni comuniste di Partinico, Carini, Cinisi, San Giuseppe Jato e Monreale, si registrarono morti e decine di feriti. Vennero ritrovati volantini a firma di Salvatore Giuliano, ma chiaramente redatti da altri, inneggianti al Fronte antibolscevico, con sede a Palermo. Ma se mai fu così, chi ordinò al bandito di Montelepre di guidare l’agguato stragista di Portella? In quel periodo i servizi segreti italiani erano coordinati in maniera informale dall’americano James Angleton, che aveva in Scelba, anticomunista viscerale, il suo primo e privilegiato interlocutore. I primi incontri tra Giuliano ed il comando statunitense risalivano al 1944, incontri che si intensificarono due anni dopo, come testimoniavano alcune lettere dello stesso Giuliano indirizzate al maggiore Michael Stern “Non credeti tali (testuale nda) di poter lottare anch’io con quei vili rossi, vi prego di venire a prendere accordi qua, che io stesso la illustrerò”. L’intelligence americana aveva fatto sapere che in caso di vittoria delle sinistre, sarebbe stata usata la forza. Partite di armi giunsero alle sezioni della Democrazia Cristiana ed ai cospiratori del sedicente Fronte antibolscevico. Ricorda Francesco Cossiga “Alla vigilia del 18 aprile ero armato fino ai denti. Eravamo riforniti di bombe a mano dai carabinieri. Prefetture, poste, telefoni, acquedotti e gas, in caso di golpe rosso, non dovevano finire in mano ai comunisti”. In Sicilia venne aggiornato il patto con Salvatore Giuliano, che firmava sui quotidiani, pubblicati senza commento, ma pubblicati, proclami filo atlantici e consigliava di far convergere i voti su Bernardo Mattarella. Dopo il 18 aprile 1947 lo scenario mutò, il pericolo rosso si allontanava. Le forze alleate di occupazione vennero sostituite dalla NATO, andavano sanate le ferite provocate da Giuliano, in particolare quella di Portella delle Ginestre, pericolosa per una politica vistosamente compromessa. Ovviamente il bandito non fu d’accordo e rivolgendosi ai parlamentari Dc, lanciò minacce con una lettera scritta all’Unità “nelle nostre zone non si è votato che per voi, noi abbiamo mantenuto le nostre promesse, adesso mantenete le vostre". Giuliano vantava un memoriale con nomi e lettere compromettenti, quindi prima di eliminarlo, andava fatta un’-opera di bonifica-: furono arrestate sua madre e sua sorella. Ciro Verdiani, uomo dei servizi, ricevette l’incarico di avvicinare il bandito, di indurlo a consegnare il memoriale e di scriverne un altro che scagionasse completamente la politica. In cambio: benefici per i familiari in carcere e per il capobanda stesso. Giuliano non accettò, iniziando così una guerra con lo Stato culminata con l’eccidio di Bellolampo, in cui caddero sette carabinieri. Ancora il capobanda scriveva all’Unità, il 30 aprile 1950 “Scelba vuole farmi uccidere perché io lo tengo nell’incubo per le grandi responsabilità che possono distruggere tutta la sua carriera politica e financo la sua vita”. Intanto l’oscuro lavoro dei servizi procedeva, individuando in Gaspare Pisciotta, cugino e luogotenente del capomafia, un possibile alleato, gli fecero avere un salvacondotto a firma di Scelba. Salvatore Giuliano cedette, facendo recapitare ai magistrati di Viterbo un memoriale, nel quale ritrattava tutte le accuse mosse a Scelba. I giochi erano fatti ed il bandito era troppo pericoloso per continuare a vivere, una settimana dopo, nella notte tra il 4 ed il 5 luglio 1950, Pisciotta indicò alle forze dell’ordine il nascondiglio del suo capo, Salvatore Giuliano venne ucciso simulando uno scontro a fuoco, in realtà si trattò di un’esecuzione

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