La verità sulle foibe. Di Marco Ottanelli
"Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani". Benito Mussolini, 1920
Cosa sono, le foibe? Cioè, quale episodio della storia evocano?
In poche ed essenziali parole, sono le foibe (caverne e aperture carsiche del terreno) il luogo in cui, a fine guerra mondiale, furono uccisi e gettati, spesso dopo umiliazioni e tormenti, moltissimi italiani. Gli eccidi ebbero due momenti: il primo, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, quando si scatenarono vendette e rancori mai sopiti dopo 20 anni di italianizzazione forzata; il secondo, molto più grave per numero delle vittime, nella primavera del ’45, quando le truppe titine occuparono la Venezia Giulia, la Dalmazia, Trieste e parte del Friuli.
Le origini antiche di un odio feroce Sia nella Serenissima Repubblica Veneta, sia nell’Impero Austro-Ungarico, il concetto di nazionalità era tanto sfumato quanto poco “etnico”. È solo dopo la prima guerra mondiale, cioè quando i nazionalismi si affermano fino a sfociare nei razzismi di Stato, che il Regno di Italia comincia una politica di italianizzazione forzata delle “terre irredente”. Da ogni regione, piovono funzionari e impiegati pubblici, che sostituiscono i locali. La lingua ufficiale, anzi, obbligatoria, diventa l’italiano, e dialetti e lingue dei popoli presenti sul territorio sono vietati, proibiti. Se l’effetto di tale norma è assai violento nelle città della costa, dove comunque gli “italiani” erano in maggioranza o assai numerosi, e dove bi e trilinguismo erano la norma, è nelle zone rurali e nell’interno che gli slavi (sloveni, croati, dalmati, cici), in gran parte contadini poco alfabetizzati, si ritrovano ad essere stranieri in patria. Le durissime condizioni imposte dal Regno si fanno ancora più rigide ed intolleranti con il fascismo. Tra gli episodi da ricordare: la chiusura del liceo classico di Pisino, dell'istituto magistrale femminile di Pisino e del ginnasio di Volosca (1918), la chiusura delle scuole elementari slovene e croate, e il confino di alcuni esponenti Sloveni e Croati in Sardegna e in altre località italiane. A ciò si aggiungevano le violenze fasciste non contrastate dalle autorità, come gli incendi delle sedi associative a Pola e a Trieste. In Istria l'uso dello sloveno e del croato nell'amministrazione e nei tribunali era stato limitato già durante l'occupazione (1918-1920). Nel marzo 1923 il prefetto della Venezia Giulia vietò l'uso dello sloveno e del croato nell'amministrazione, mentre per decreto regio il loro uso nei tribunali fu vietato il 15 ottobre 1925. Il colpo definitivo al sistema scolastico sloveno e croato in Istria arrivò il 1 ottobre 1923 con la riforma scolastica del ministro Gentile. L'attività delle società e delle associazioni croate e slovene era stata vietata già durante l'occupazione, ma poi specialmente con l'entrata in vigore della Legge sulle associazioni (1925), Legge sulle manifestazioni pubbliche (1926) e Legge sull'ordine pubblico (1926). Nel 1927 fu il turno del cambiamento dei cognomi (la toponomastica era già stata italianizzata nel 1923). Così vennero italianizzati quasi tutti i cognomi sloveni e croati. Un vero atto di brutalità verso le identità personali. (Non dobbiamo dimenticarci che tali provvedimenti vennero presi anche a Zara e Fiume, città “extraterritoriali” che furono annesse a forza dopo la prima guerra mondiale.)
Le leggi razziali antiebraiche e genetiche del 1938 (che seguono le meno famose, meno organiche, ma altrettanto famigerate leggi razziali del ’36-’37 emanate nei confronti dei popoli di pelle nera, e altri “coloniali”) dividono ancor più la cittadinanza in due categorie, gli “italiani puri” e gli inferiori. Duramente colpita, in particolare, la numerosa e antica comunità ebraica di Trieste, da sempre città cosmopolita e multiculturale.
La seconda guerra mondiale
La ignobile aggressione alla Grecia obbliga i comandi italiani in difficoltà a chiedere l’intervento della Germania, mettendo così fine alla illusione della “guerra parallela”. Nel 1941, dopo un criminale bombardamento su Belgrado, che viene rasa al suolo, Tedeschi, Ungheresi e Italiani invadono la Jugoslavia, occupandola completamente in poche settimane.
All’Italia spettano: l’intera costa dalmata, parte del Montenegro, quasi l’intera Slovenia e la Croazia, sotto forma di protettorato.
La Slovenia viene annessa, e diventa la provincia di Lubiana. La Croazia diventa un regno “indipendente”, con primo ministro Ante Pavelic, un fascista feroce e sanguinario, amico di vecchia data di Mussolini, e come Re un cugino di Vittorio Emanuele III, Aimone di Aosta. Il partito fascista e razzista croato, gli Ustascia, formato da fanatici religiosi (cattolici) e nazionalisti, appoggiati dal vescovo di Zagabria e primate di Croazia Stepinac, intraprendono fin da subito una opera di pulizia etnica nei confronti di Serbi e altre minoranze, spesso spalleggiati dalle truppe italiane.
L’intera Jugoslavia diventa territorio di stragi e di crudeltà. Alla fine della guerra, sarà uno dei paesi che avrà pagato il più alto tributo di morti, da calcolarsi in circa 1 milione e mezzo di persone su 16 milioni di abitanti (si pensi che i caduti italiani tra civili e militari, fra battaglie e bombardamenti, repressioni e fucilazioni, non supera le 300 mila unità su 45 milioni di abitanti).
In particolare, sono da attribuirsi alla responsabilità diretta delle truppe di occupazione italiana almeno 250 mila morti, che le fonti serbe però portano ad un totale di 300 mila.
Di questi, i morti in combattimento sono una parte esigua, perché la stragrande maggioranza delle vittime fu dovuta a vere e proprie stragi e repressioni, a saccheggi e a brutalità. In particolare, è da ricordare il ruolo della II Armata Italiana, sotto il comando del generale Roatta.
La situazione è differenziata nei diversi territori: le peggiori e più inumane condizioni si verificarono nella Jugoslavia meridionale, dove si aprì una vera e propria caccia al serbo. Vere e proprie spedizioni italo-croate partivano alla volta dei villaggi e delle cittadine serbe, dove, in un’orgia di violenze di ogni tipo, centinaia di uomini, donne e bambini venivano torturati e uccisi. I villaggi jugoslavi distrutti dagli italiani sono non meno di 250, ai quali vanno aggiunti quelli distrutti in collaborazione con i tedeschi o con altre milizie dell’Asse. 250 Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema in cui i colpevoli, i macellai, eravamo noi. Gli episodi di efferatezza e di crudeltà non si contano, e le mutilazioni, gli stupri, gli accecamenti erano all’ordine del giorno. Il comandante partigiano cattolico Edvard Kocbek così descriveva un'offensiva sferrata dall'esercito italiano nell'agosto del 1942: "I villaggi bruciano, i campi di grano e i frutteti sono stati devastati dal nemico, le donne e i bambini strillano, quasi in ogni villaggio degli ostaggi vengono passati per le armi, centinaia di persone vengono trascinate nei campi di prigionia, i bovini muggiscono e vanno vagando per i boschi. La cosa più sconvolgente è che questi orrori non vengono perpetrati da un'accozzaglia di primitivi come al tempo delle invasioni turche, ma dai gioviali soldati del civile esercito italiano, comandati da freddi ufficiali che impugnano fruste per cani... ". Spesso i partigiani slavi, o gli indifesi abitanti delle campagne, erano bruciati vivi (su roghi di fascine, o chiusi nelle chiese ortodosse, che furono distrutte – in questo modo- in gran numero). Le deportazioni della “inferiore razza serba” furono massicce, e decine di migliaia di ex soldati o di cittadini serbi fu avviata ai campi di sterminio tedeschi o a quello della Risiera di San Sabba, a Trieste, assieme con ebrei ed altre minoranze.
In Croazia, nel “regno indipendente”, l’opera delle truppe italiane fu di supporto e affiancamento alle milizie ustascia, mentre nelle coste e isole annesse, la repressione della II armata fu assai più pianificata e scientifica. Stessa cosa in Slovenia, che, entrata a far parte del territorio nazionale, doveva essere completamente assimilata.
Gli occupanti italiani costruirono campi di concentramento che, seppur non scientificamente predisposti allo sterminio, furono la causa di migliaia di morti e di infinite sofferenze. Tutti conosciamo Auschwitz e Buchenwald, ma decenni di censure ci hanno impedito di sapere che noi, italiani, costruimmo e gestimmo i leger di Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, Rab (isola di Arbe). Furono creati campi anche in Italia, per esempio a Gonars (Udine), a Monigo (Treviso), a Renicci di Anghiari (Arezzo) e a Padova. Secondo stime rapportate nel volume dell'A.N.P.P.I.A. Pericolosi nelle contingenze belliche, i fascisti internarono quasi 30.000 sloveni e croati, uomini, donne e bambini. In Slovenia, già dall’ottobre del 1941, il tribunale speciale pronuncia le prime condanne a morte, il mese dopo entra in funzione il tribunale di guerra. La lotta contro i partigiani, che diventano una realtà in continua espansione, si sviluppa nel quadro di una strategia politico-operativa rivolta alla colonizzazione di quei territori. Con l’intervento diretto dei comandi militari italiani la politica della violenza si esercita nelle più svariate forme: iniziano le esecuzioni sommarie sul posto, incendi di paesi, deportazioni di massa, esecuzioni di ostaggi, rappresaglie sulle popolazioni a scopo intimidatorio e punitivo, saccheggiamento dei beni, setacciamento sistematico delle città, rastrellamenti… prende corpo il progetto di deportazione di massa, con il trasferimento forzato degli abitanti di Lubiana, progetto che i comandi discutono con Mussolini in un incontro a Gorizia il 31 luglio 1942 . In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta in data 8 settembre 1942 (N. 08906), viene proposta, addirittura, la deportazione della intera popolazione slovena.
STRALCIO DELLE COMUNICAZIONI VERBALI FATTE DALL'ECC. ROATTA
NELLA RIUNIONE DI FIUME DEL GIORNO 23-5-1942
"Il DUCE è assai seccato della situazione in Slovenia perchè Lubiana è provincia italiana. /.../
Anche il Duce ha detto di ricordarsi che la miglior situazione si fa quando il nemico è morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario. /.../
L'Ecc. Roatta esprime il suo pensiero nei riguardi del sistema da usare per risolvere la situazione in Slovenia:
1) - Chiudere la frontiera con la provincia di Fiume e con la Croazia, specialmente nella zona di Gorjanci. /... /
2) - Ad oriente del vecchio confine sgombrare tutta la regione per una zona di una profondità variabile (3-4 km.). In tale zona sarebbe interdetta qualsiasi circolazione tranne che sulle ferrovie e sulle strade di grande comunicazione. Apposite pattuglie in servizio di vigilanza aprirebbero senz'altro il fuoco contro chiunque.
Il Duce concorda nel concetto di internare molta gente - anche 20-30.000 persone.
Si può quindi estendere il criterio di internamento a determinate categorie di persone. Ad esempio: studenti. L'azione però deve essere fatta bene cioè con forze che limitino le evasioni. /.../
Il C. d'A. in base alle direttive suesposte dovrà compilare uno studio, da presentare entro 3-4 giorni, dal quale risulti:
1) - zone da sgomberare dalla popolazione, indicando l'entità della popolazione da internare, suddivisa in famiglie (per categorie);
2) - quali altri provvedimenti sono ritenuti necessari;
3) - intenzioni operative nei vari stadi della situazione.
/.../
Ricordarsi che tutti i provvedimenti di sgombero di gente, li dovremo fare di nostra iniziativa senza guardare in faccia nessuno.
Solo per quel che riguarda la piccola Slovenia, nei lager italiani morirono 13.606 sloveni e croati. Nel lager di Arbe (sull’isola di Rab) ne morirono dai 1.500 ai 2.500 circa. I civili e partigiani “fucilati sul posto”, cioè durante azioni belliche, furono non meno di 2.500. 1.500 invece i fucilati civili trattenuti come ostaggi, uccisi cioè mesi dopo il loro internamento, per stanare le bande partigiane o per vendetta contro azioni verso i nostri militari. I morti per sevizie, torture, o bruciati vivi arrivano ad un totale documentato di 187. Ripetiamo: questo solo nella “provincia di Lubiana”, dove più numerose sono le documentazioni giuntaci.
S L O V E N I !
- Al momento dell'annessione, l'Italia vittoriosa vi ha dato condizioni estremamente umane e favorevoli.
Dipendeva da voi, ed unicamente da voi, di vivere in un'oasi di pace.
- Invece molti di voi hanno impugnato le armi contro le autorità e le truppe italiane.
- Queste, per un alto senso di civiltà ed umanità, si sono limitate all'azione militare, evitando misure che gravassero sul'insieme della popolazione ed ostacolassero la normale vita economica del paese.
E' solo quando i rivoltosi sono trascesi ad orrendi delitti contro italiani isolati, contro vostri pacifici concittadini e persino contro donne e bambini, che le autorità italiane sono ricorse a misure di rappresaglia ed a qualche provvedimento restrittivo, di cui soffrite per causa dei rivoltosi
- Ora, poichè i rivoltosi continuano la serie di delitti, e poichè una parte della popolazione persiste nel favorire la ribellione, disponiano quanto segue:
1°) - A partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana:
- sono soppressi tutti i treni viaggiatori locali;
- è vietato a chiunque viaggiare sui treni in transito, tranne a chi è in possesso di passaporto per le altre provincie del regno e per l'estero;
- sono soppresse tutte le autocorriere;
- è vietato il movimento con qualsiasi mezzo di locomozione, fra centro abitato e centro abitato;
- è vietata la sosta ed il movimento, tranne che nei centri abitati, nello spazio di un chilometro dai due lati delle linee ferroviarie. (Sarà aperto senz'altro il fuoco sui contravventori);
- sono soppresse tutte le comunicazioni telefoniche e postali, urbane ed interurbane.
2°) - A partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana, saranno immediatamente passati per le armi:
- coloro che faranno comunque atti di ostilità alle autorità e truppe italiane;
- coloro che verranno trovati in possesso di armi, munizioni ed esplosivi;
- coloro che favoriranno comunque i rivoltosi;
- coloro che verranno trovati in possesso di passaporti, carte di identità e lasciapassare falsificati;
- i maschi validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento - senza giustificato motivo - nelle zone di combattimento.
3°) - A partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana, saranno rasi al suolo:
- gli edifizii da cui partiranno offese alle autorità e truppe italiane;
- gli edifizii in cui verranno trovate armi, munizioni, esplosivi e materiali bellici;
- le abitazioni in cui i proprietari abbiano dato volontariamente ospitalità ai rivoltosi.
- Sapendo che fra i rivoltosi si trovano individui che sono stati costretti a seguirli nei boschi, ed altri che si pentono di aver abbandonato le loro case e le loro famiglie, garantiamo salva la vita a coloro che, prima del combattimento, si presentino alle truppe italiane e consegnino loro le armi.
- Le popolazioni che si manterranno tranquille, e che avranno contegno corretto rispetto alle autorità e alle truppe italiane, non avranno nulla a temere, nè per le persone, nè per i loro beni.
gen. Roatta, Lubiana luglio 1942 - XX
Altrettanto duro, e crudele, è il campo di Gonas vicino Udine. Qua sono migliaia i bambini, soprattutto croati, lasciati a morire letteralmente di fame.
(A proposito di morte per fame, è da ricordare come una buona parte dei 100 mila greci deceduti sotto l’occupazione italiana, morì appunto di inedia, poiché, per mantenere i numerosissimi uomini del contingente di occupazione- al quale sono da includere anche i famosissimi reparti di Cefalonia e di Corfù- si procedette con una espoliazione totale delle risorse locali).
Nota del Generale Robotti
Al Capo di Stato Maggiore Galli,
chiarire bene il trattamento dei sospetti, perchè mi pare che su 73 sospetti non trovar modo di dare neppure un esempio è un po' troppo.
Cosa dicono le norme della 3° circolare, e quelle successive ?
Conclusione :
SI AMMAZZA TROPPO POCO !
Dopo l’otto settembre, ad una prima ritirata (precipitosa) delle truppe regie, subentrano i tedeschi e i repubblichini di Salò. I partigiani slavi (ai quali, è onesto e necessario dirlo, si sono uniti nel frattempo anche migliaia di soldati italiani) intensificano le loro azioni (è in questo senso istruttivo andare alle grotte di Postumia: si noterà che la prima grande caverna è completamente spoglia e annerita; essa infatti era un deposito di armi nazi-fascista che fu fatto esplodere dalla resistenza). Ciò provoca azioni sempre più feroci ed intense. Questa volta sono proprio i civili i primi obiettivi, e riprendono le deportazioni e le stragi, stavolta dirette dalle SS. Comandante delle SS era il triestino Odilo Globocnik, che si distinse per crudeltà. Se la Dalmazia e la Croazia sono ormai in mano ai partigiani jugoslavi (ricordiamo che la Jugoslavia è l’unico paese europeo che si liberò da solo dalla occupazione nazi-fascista), è nella Venezia Giulia e nella Slovenia che si concentrano le azioni militari.
Chiunque si addentri nel centro montano dell’Istria, troverà il piccolo villaggio di Vodice (Vodizza, in Italiano). Esso si trova, in linea d’aria, a non più di 20 km dal confine friulano, e si presenta ancor oggi con macerie e abitazioni distrutte. Una lapide sul palazzo principale ricorda come, nel 1944, il paese fu attaccato dalle camice nere e dall’esercito repubblichino. Circa 400 vecchi donne e bambini furono massacrati. Immediatamente dopo, in una operazione combinata, intervenne la Luftwaffe, che rase al suolo l’abitato e bombardò anche i dintorni, per annientare gli scampati alla strage. Ciò che più impressiona, oltre ovviamente al carico di sangue e sofferenze che ci ricorda, è che Vodice-Vodizza, nel 1944, faceva parte della provincia di Pola, era cioè italiana, ed italiani erano i suoi abitanti, da ben 26 anni. La loro colpa? Quella di essere di etnia cicik, insomma, istriani non latini. Un crimine rimasto impunito. Un crimine rimasto sconosciuto. Uno dei tanti. Uno dei troppi.
I morti italiani
Come accennato all’inizio di questo scritto, non vogliano, ne potemmo, negare né sottovalutare le sofferenze degli italiani (e dei giuliani, istriani e dalmati di lingua e “etnia” italiana). Ricordando, sempre e comunque, che la guerra di aggressione la dichiarò Mussolini contro la Jugoslavia, e che quindi siamo stati noi i diretti responsabili della guerra e indiretti responsabili di ogni sua più tragica conseguenza, illustriamo quanto accadde nei due periodi (1943 e 1945) della “vendetta slava”.
Crollato il regime fascista, si verificò un fenomeno alquanto strano e significativo: le “terre irredente” vennero precipitosamente abbandonate. Le autorità civili (composte in gran parte da ferventi fascisti, quasi tutti meridionali) fuggirono verso le loro città di origine, lasciando una terra che evidentemente non avevano mai riconosciuta come loro, nella più totale anarchia. Le autorità militari consegnarono alle poche centinaia di tedeschi presenti non solo l’intera regione, ma anche migliaia di soldati e carabinieri, che furono in gran parte uccisi, internati, deportati in Germania. Questa vera e propria strage in conto terzi, commessa dai comandi dell’esercito e fascisti, dagli stessi comandi che si erano macchiati dei peggiori crimini di guerra, non è considerata da quella propaganda patriottarda che enumera martiri ed eroi, ma che sa sempre tacere sui nomi e le responsabilità. Le recenti scuse per il decennale silenzio sui fatti d’Istria, scuse porte da eminenti politici della cosiddetta sinistra, non hanno avuto in contropartita le scuse di coloro che, per vigliaccheria e incompetenza, consegnarono migliaia di giovani al lager e alla morte.
Dunque, settembre 1943: dopo decenni di repressione e violenze, i contadini croati e altri elementi insorgono contro tutto ciò che è “fascismo”, purtroppo spesso identificato con “Italia”. Come purtroppo accade sempre, quando odio attira e crea odio, gli orrori furono tanti, quanto terribili. Il leader del partito comunista sloveno, Kardelj, aveva dato la direttiva di "epurare non sulla base della nazionalità ma del fascismo", ma, quasi inevitabilmente, è l’elemento italiano che patisce le peggiori persecuzioni, anche a causa del fatto che i posti di potere, sia economico, che terriero, che di responsabilità, sono tutti occupati da italiani. Come illustra nei suoi lavori Giacomo Scotti, con il quale abbiamo condotto la trasmissione radiofonica di cui sopra, nel caos generale di quei mesi, furono circa 250-300 i fucilati e “infoibati” dai partigiani o dal popolo in rivolta. La stima più pessimistica, ma anche la meno verosimile, parla di 600 morti. Paradossalmente, furono contestualmente salvati e protetti, rifocillati e ospitati, migliaia e migliaia di soldati delle armate italiane allo sbando, poiché le violenze si scatenarono quasi esclusivamente verso i carabinieri, i gerarchi, le camicie nere. Ripetiamo: quasi esclusivamente. Molte furono le vittime tra i civili, donne, vecchi. Furono passati alle armi anche fascisti sloveni e croati (d’altronde, nella guerra partigiana di ogni parte d’Europa, tali tristi fatti erano all’ordine del giorno), mentre ben maggiore fu il numero di caduti tra i partigiani stessi negli scontri con l’esercito tedesco. Il quale, come accennato, riprese presto il controllo del territorio.
Altre vittime, ma non da ascriversi nel capitolo “Foibe”, furono fatte in Dalmazia, a Fiume, a Zara, nelle isole. Si può parlare di un totale generale di circa 2.000 persone. La propaganda di destra ha da sempre gonfiato tali cifre, fino a farle giungere alle decine di migliaia. E parliamo solo del 1943.
Ben altro successe con l’occupazione titina di Trieste e della Venezia Giulia. Con il crollo della Germania, (che, ricordiamolo, si era annesso tutto il nord-est italiano strappandolo all’alleato di Salò), le formazioni jugoslave si gettarono in una corsa contro il tempo verso le coste adriatiche per impedire agli anglo-americani di prendere il controllo di quelle terre.
Giungono a Trieste, Gorizia, Fiume tra il 1° e il 3 maggio, e, per quaranta giorni circa, tengono sotto controllo –sotto occupazione- la fascia adriatica. In questi terribili quaranta giorni, si scatena una violenta epurazione. La volontà jugoslava è chiara: creare uno stato di fatto che preceda l’annessione. Le giunte del CNL partigiane vengono disarmate, destituite, in certi casi arrestate.
La “jugoslavizzazione”, il tentativo cioè di annessione, è reso chiaramente da questo dispaccio del partito comunista sloveno già nel 1944: “tenere preparato tutto l’apparato. Dappertutto, il più possibile, bandiere slovene e jugoslave. Ad eccezione di Trieste, non permettere in nessun caso manifestazioni italiane. Rinforzare l’Ozna (polizia politica, nda)”. Tutti coloro che possono essere considerati per un motivo o per l’altro, ostili, vengono arrestati, deportati, in parte uccisi. D'altronde, lo stesso stava accadendo in tutte le altre regioni della neonata repubblica titina, e non era una specifica anti-italiana. In quei giorni, dunque, si vive un clima di terrore. A Fiume i primi ad essere eliminati sono i fautori dello Stato Libero, coloro che negli anni a cavallo tra il 1919 e il 1925 si erano opposti alla annessione italiana; a Gorizia sono gli esponenti partigiani ad essere indicati come “concorrenziali” e fatti immediatamente prigionieri; ma è nella cruciale Trieste che si raggiunge l’apice: in città operano l’esercito popolare jugoslavo, l’Ozna, bande irregolari croate, serbe, slovene, (e anche italiane!), elementi del Partito Comunista… ognuno di questi elementi arresta, confisca, deporta, stupra, tortura, uccide “gli ustascia, i cetnici,gli appartenenti alle formazioni armate al servizio del nemico, i collaboratori, le spie, i delatori, i corrieri, tutti traditori della lotta popolare, tutti i disertori del popolo, tutti i demolitori dell’esercito popolare”. La situazione sfugge immediatamente di mano alle autorità militari e politiche jugoslave, che ammettono, fin dal 6 maggio: “ci sono stati arresti e fucilazioni arbitrarie. È necessario riprendere il controllo … l’Ozna si rifiuta di capire la situazione, e continua in arresti di massa…dobbiamo renderci conto che tali errori ci portano il danno maggiore” .
Le esecuzioni si susseguono a ritmo impressionante, e i cadaveri vengono gettati nelle foibe giuliane (la circostanza secondo la quale venivano infoibate anche persone vive legate a cadaveri è stata smentita da testimoni oculari, quali in parroco di Corgnale. Egli, che aveva dato l’estrema unzione ai disgraziati di Basovizza, dichiarò, con espressione un po’ burocratica, che le vittime erano “state fucilate in modo corretto prima di essere gettate dentro”. Ciò non esclude che, nel clima di violenza e sadismo, episodi come quello ipotizzato si siano verificati, anzi, quelli dei “sepolti vivi” sono stati casi crudeli e accertati, ma, comunque, sporadici). Chi non cade fucilato sul posto o nella mattanza carsica delle foibe, viene avviato verso inumani campi di prigionia, in particolare quello di Borovnica, alle porte di Lubiana. Fame, fatica, maltrattamenti… il destino atroce di tutti gli internati si abbatte sugli italiani d’Istria.
Le foibe localizzate con certezza: Basovizza, Corgnale, Opicina , Scadaicina , Casserova, Podubbo, Semich, Drenchia, Sesana e Orle, Vifia Orizi, Obrovo, Raspo, Brestovizza, Castelnuovo d'Istria, Cava di bauxite di Lindaro, Vescovado, Surani, Pucicchi, Treghelizza, Cava di Bauxite di Gallignana, Vines, Gropada, Gargaro o Podgomila, Zavni, Pinguente, Creogli , Cernovizza (più altre fosse e cave nell’arco tra Gorizia e Fiume)
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