Il I marzo del 1921 a Kronstadt la rivoluzione russa riappariva in superficie, per la
quarta volta in quindici anni. Non più solo contro lo zar, né contro i conciliatori, ma
sempre per il socialismo e questa volta contro il potere bolscevico. Cogliere quello
che accadde a Kronstadt non è possibile senza riferirsi all’esperienza concreta vissuta
nella tumultuosa isola del Golfo di Finlandia. Concepita dagli zar come isola
fortificata per presidiare un attacco dal mare alla capitale, essa avrebbe finito per
rappresentare l’avanguardia della rivoluzione in un crescendo vorticoso.
All’appuntamento del 1905 i marinai della fortezza sono presenti, ma il loro
ammutinamento nel crogiolo della prima rivoluzione russa non rappresenta ancora
alcuna particolarità rispetto ad altri avvenuti in tutta la flotta, tra cui quello
famosissimo dell’incrociatore Polùmkin: è pienamente inserita nella corrente
rivoluzionaria con tutte le immaturità di quel primo tentativo. Ma il soffocamento
della rivoluzione porta con sé a capo della guarnigione dell’isola l’ammiraglio Viren,
con il compito di ripristinare l’ordine tra i marinai e gli abitanti dell’isola imponendo
una disciplina severissima e odiosa. Confidando nella capacità del suo ammiraglio di
“ridurre alla ragione” i più riottosi e recalcitranti, lo zar farà trasferire a Kronstadt
molti soldati distintisi tra i rivoluzionari, al fine di punirli e piegarli. La mossa si
sarebbe rivelata decisamente improvvida: sotto la cortina della disciplina apparente si
diffondevano e confrontavano idee di cambiamento radicale, che al momento critico
sarebbero germogliate nel processo rivoluzionario. Nel ‘17, infatti, quello di
Kronstadt fu tra i primi soviet a costituirsi, distinguendosi da subito per le posizioni
molto radicali. In prima fila nelle drammatiche giornate di luglio, determinati contro
il tentativo reazionario di Kornilov in settembre, pienamente coinvolti nella
rivoluzione di Ottobre, i marinai di Kronstadt si guadagnarono così da Trotsky
l’appellativo di “onore e gloria” della rivoluzione. Eppure non è lecito pensare a
Kronstadt in ogni circostanza e su ogni questione come ad un fiore all’occhiello
bolscevico, ché anzi vi furono ragioni di differenza e di attrito molto importanti. Nel
giugno del ‘17 il soviet di Kronstadt proclama l’indipendenza della cittadella, certo
segnalando così la propria diversità dall’allora ancora troppo moderato soviet di
Pietrogrado, ma soprattutto riflettendo una spinta anticentralista e federativa che
provocò un certo imbarazzo tra i bolscevichi della cittadella e critiche da quelli della
capitale; dopo l’Ottobre a Kronstadt continua a funzionare e si rafforzò una rete di

comitati di palazzo, di officina, di unità militari e navali che, intrecciandosi con il
soviet, ne articolavano l’attività: dall’amministrazione delle case e delle officine, alla
iniziale socializzazione dell’orticoltura isolana, aspetti che suscitarono polemiche
durissime da parte della minoranze bolscevica in seno al soviet dì Kronstadt.
Il 1918 rappresenta un turning point: i bolscevichi nel volgere di tre mesi vedono la
loro rappresentanza al soviet locale passare da quasi la metà a meno di un terzo, a
vantaggio di altre organizzazioni rivoluzionarie (dai socialrivoluzionari di sinistra, ai
socialrivoluzionari massimalisti, agli anarchici, ai menscevichi internazionalisti).
Otterranno la maggioranza in seno al soviet alcuni mesi più tardi grazie alla
bolscevizzazione dei soviet, in virtù della quale vengono semplicemente espulse tutte
le componenti di opposizione. L’apparente ed effimera docilità di Kronstadt da allora
in poi fu dovuta al contraccolpo immediato della sconfitta della democrazia sovietica,
ma si combinò anche molto alla convinzione che le circostanze eccezionali della
guerra civile rendessero necessario mettere da parte dissidi e polemiche per far fronte
comune nella lotta alla controrivoluzione. Perciò la conclusione della guerra civile
all’inizio del ‘21 fu vista da importanti settori come la fine delle misure eccezionali
che il governo bolscevico aveva adottato e la possibile ripresa della democrazia
sovietica, d iure et de fàcto soppressa. Nella capitale pareva sempre più insop-
portabile il regime dei razionamenti, dei commissari e della Ceka e nel febbraio del
‘21 si verificarono scioperi in parecchie officine .Colpiti da queste notizie i marinai di
Kronstadt decidono l’invio nella capitale di una delegazione che raccolga
informazioni e riferisca. La delegazione trova una città ingessata dalla ripresa del
controllo da parte della Ceka, che palesemente presidia le fabbriche: gli operai
restano perlopiù silenziosi e intimiditi di fronte alle domande della delegazione; solo
uno denuncia la totale soppressione di libertà e il potere pervasivo dei commissari. Il
rapporto della delegazione di fronte agli equipaggi riuniti della Sebastopol e della
Petropavlovsk, le corazzate di stanza a Kronstadt, indignai marinai che alla fine
dell’assemblea approvano con due sole astensioni la risoluzione in quindici punti che
qui riproduciamo:
“Udito il rapporto dei rappresentanti dei marinai mandati a Pietrogrado
dall’assemblea generale degli equipaggi per accertare la situazione, noi chiediamo:
1.
che in considerazione del fatto che i Soviet attuali non esprimono la volontà
degli operai e dei contadini, si tengano immediatamente nuove elezioni a voto
segreto, con libertà di propaganda preliminare per tutti gli operai e i contadini
2.
libertà di parola e di stampa per gli operai e i contadini, per gli anarchici per i
partiti socialisti di sinistra;
3.
liberta di riunione per i sindacati e le associazioni contadine;
4. che sia convocata, non oltre il 10 marzo 1921, una conferenza apartitica di
lavoratori, di soldati dell’Armata rossa e di marinai di Pietrogrado. di Kronstadt e
della provincia di Pietrogrado:
5.
la liberazione di tutti i prigionieri politici dei partiti socialisti e di tutti gli
operai e contadini, soldati dell’Armata rossa e marinai imprigionati in relazione ai
moti della classe operaia e dei contadini;
l’elezione di una commissione incaricata di riesaminare i casi delle persone detenute

in carcere e nei campi di concentramento;
7.
l’abolizione di tutti gli uffici politici, perché nessun partito deve godere di
privilegi speciali nella propaganda delle sue idee e ricevere fondi dallo Stato per
questo scopo; invece di questi Uffici, si devono istituire commissioni culturali-
educative elette localmente e finanziate dallo Stato;
8.
l’abolizione immediata di tutti i blocchi stradali;
9.
la parificazione delle razioni di tutti i lavoratori, ad eccezione degli addetti a
lavori dannosi per la salute;
10. l’abolizione dei distaccamenti comunisti di combattimento in tutte le unità
militari e delle guardie comuniste in servizio nelle fabbriche e negli stabilimenti; se di
questi distaccamenti e guardie ci fosse bisogno, potrebbero essere scelti dalle
compagnie nelle unità militari e a discrezione degli operai nelle fabbriche e negli
stabilimenti;
11. che ai contadini sia dato il diritto e la libertà di usare la terra come meglio
credono e anche il diritto di avere il bestiame che sono in grado di mantenere e
custodire da soli, cioè senza l’uso di manodopera salariata;
12. chiediamo che tutte le unità militari e anche i compagni kursanly (gli allievi
ufficiali) approvino la nostra risoluzione;
13. chiediamo che a tutte le risoluzioni si dia ampia pubblicità sui giornali;
14. chiediamo la nomina di un ufficio itinerante di controllo;
15. chiediamo che sia consentita la libera produzione artigianale di chi lavora in
proprio.’’1

L’indomani, 1 marzo, la stessa risoluzione viene presentata discussa in un’assemblea
cittadina, cui prendono parte almeno 15.000 persone. Tra queste, accolti con gli onori
ufficiali, vi sono anche due inviati del partito bolscevico, i quali esprimono
immediatamente la contrapposizione del partito alle richieste dei marinai, rendendo
evidente che mancava qualsiasi volontà di mediazione. L’adozione a larghissima
maggioranza della mozione de marinai apre la strada alla conformazione di un
comitato rivoluzionario provvisorio, inizialmente di cinque componenti, poi allargata
a quindici per cooptazione. La quarta rivoluzione russa era cominciata. L’indomani la
cittadella è totalmente nelle mani degli insorti. Immediata, parte la campagna
bolscevica per isolar Kronstadt da Pietrogrado e dal resto dell’Unione: un profluvio c
menzogne si abbatte sugli insorti, mentre i loro familiari vengono arrestati e presi in
ostaggio. Disperatamente gli insorti, sulla stampa delle Izsvestija di Kronstadt e negli
appelli radio, smontano le accuse di essere al servizio della controrivoluzione,
rivendicano il carattere socialista delle loro rivendicazioni, spiegando che il loro
programma vuole l’autentico esprimersi del potere dei soviet, nella libertà e nella
difesa delle conquiste della rivoluzione. Ma non riescono ad estendere la loro
rivoluzione oltre la roccaforte, impediti a portare il loro messaggio al di fuori
dell’isola, a causa delle inconseguenze delle correnti rivoluzionarie, oltre che dello
strettissimo filtro bolscevico. Un fatto gravido di conseguenze negative, che

1 Pravda o Kronstadt, Praga, 1921, pp. 46-47.

renderanno più semplice la repressione che i bolscevichi stavano preparando. Nel
frattempo la situazione si fa di ora in ora più tesa. I bolscevichi paiono sempre più
determinati a reprimere: il loro statalismo non ammette critiche, né prevede di
relazionarsi a questa rivoluzione, per rintracciare in essa le energie per superarsi.
Altri bolscevichi, centinaia di abitanti e marinai di Kronstadt, nelle stesse ore
decidono di uscire dal partito in cui avevano creduto o vi restano schierandosi
apertamente con l’insurrezione. Il tentativo di mediazione degli anarchici Emma
Goldman e Berkman in queste condizioni è destinato a naufragare sul nascere. Il 7
marzo sotto il comando di Tuchaèevsky iniziano le operazioni militari contro
Kronstadt. Il X congresso bolscevico, che si riunisce in quei giorni, approverà
all’unanimità l’invio di un quarto dei delegati per contribuire ad espugnare la
fortezza. Ben 60.000 uomini fronteggeranno la cittadella rivoluzionaria cercando di
avanzare sul ghiaccio del golfo di Finlandia, incalzati da tergo dalle mitraglie della
Eeca indente a dilaniare i corpi di chi si ritirava. Con perdite gravissime e dopo
dodici giorni di reiterati attacchi le truppe governative irrompevano nella cittadella,
sparando casa per casa, massacrando chiunque, anche molti tra gli arresi cosi come
poi sarebbe accaduto ai familiari presi in ostaggi. Il resto lo avrebbero fatto i tribunali
e le sezioni della Eeca. I vincitori saranno minuziosamente attenti a cercare di
disperdere la memoria; il soviet della cittadella che aveva innalzato nel proprio
vessillo la consegna: “Tutto il potere a i soviet e non ai partiti” sarebbe stato sciolto,
per non essere mai più ricostituito, sostituito da una troika di commissari bolscevichi.

La rivoluzione socialista si forgia

Veniva stroncato così dai bolscevichi l’ultimo tentativo della rivoluzione russa di
risollevarsi e di reagire al suo riflusso. Lo statalismo rivoluzionario dei bolscevichi
nella situazione di generale ripiegamento dell’ondata del 17, li aveva portati a
concepire solo se e nient’altro che sé quale garanzia di una vittoria rivoluzionaria,
proprio mentre non erano in grado, né volevano riconoscere la rivoluzione che
riemergeva, anzi, le si contrapponevano frontalmente. Quella di Kronstadt fu peraltro
una rivoluzione le cui caratteristiche vanno viste più da vicino. In essa si manifestò,
infatti, una spinta evidente al socialismo, esprimentesi nella chiara carica libertaria
che la contraddistinse. Qui si evince un nodo importante: la quarta rivoluzione russa
nel rivendicare il ‘potere ai soviet e non ai partiti” esprime l’impossibilità di
realizzare il socialismo, se le classi subalterne vengono espropriate della facoltà di
autogoverno. Questo elemento molto importante non casualmente verrà ignorato da
tutti i sostenitori di Lenin e Trotsky nelle decadi successive. Tuttavia la stessa
concezione di autogoverno degli insorti merita alcune brevi considerazioni. Tale era
la fiducia nella insostituibilità dei soviet che i rivoluzionari di Kronstadt vedevano in
essi il solo strumento possibile; tutto ciò che non fosse ritenuto sovietico doveva
essere spazzato via, anche contraddicendo l’esigenza democratica e libertaria che
animava la rivendicazione del soviet come forma di autogoverno: fortissima resterà la
rivendicazione dello scioglimento dell’Assemblea costituente, per eseguire il quale

Kronstadt aveva fornito una delegazione molto ampia e determinata. D’altra parte
l’elemento dell’autogoverno, per quanto caratteristico, è insufficiente per
l’edificazione di una società socialista, per il fatto che la socializzazione è l’elemento
conn0tante e fondamentale al contempo della affermazione delle basi di una civiltà
delle donne e degli uomini liberamente associati, ciò che per comodità chiamiamo
socialismo”2. Sebbene nella vita quotidiana della cittadella elementi iniziali di
socializzazione fossero presenti, ad esempio nella coltivazione degli orti urbani, in
quella fitta rete di comitati di caseggiato, di fabbrica e anche di unità militari, è
interessante notare come i 15 punti di Kronstadt non contengano in merito alla
socializzazione riferimenti di alcun tipo. Le rivendicazioni in campo sociale,
paradossalmente, si fermano molto più indietro di quanto non fosse stato larvalmente
praticato dai rivoluzionari isolani dal 17 in poi. Pare quasi che i protagonisti non
assegnassero alcuna importanza qualificante a una parte importante di ciò che, pur
contraddittoriamente, avevano iniziato a fare. Ma il paradosso apparente trova una
sua spiegazione nel fatto che se la rivoluzione di Kronstadt fu, da un lato, l’opposto di
ciò che la leadership bolscevica l’accusava di essere, cioè una controrivoluzione al
soldo dell’imperialismo, dall’altro, essa deve non solo la sua forza, ma anche i suoi
limiti proprio al fatto di essere stata parte integrante della rivoluzione russa. La
debolezza dell’idea di socialismo che emerge dalla rivoluzione di Kronstadt, per
quanto ben più avanzata ed affascinante di quella sostenuta con il terrore rosso dai
bolscevichi deriva, insomma, proprio dal fatto che quella rivoluzione germinava dalle
tensioni positive del 17, ma ne subiva anche la debolezza socialista3, o, detto in altri
termini, non aveva saputo andare oltre la richiesta di autogoverno per affermare e
praticare la centralità della socializzazione.
La rivoluzione di Kronstadt non fu un frutto improvvisato: il suo insorgere derivò
dalla vivace presenza e anche dallo scontro di varie componenti rivoluzionarie, che vi
si svilupparono a partire dal 1905. Il particolare concentrate di oppositori che si
ritrovarono nell’isola grazie alla miope mossa dello zarismo, citata all’inizio, creò a
Kronstadt condizioni particolari, che vanno lette per le loro implicazioni. Innanzi
tutto può stupire la contraddizione tra Kronstadt e altre cittadelle militari nelle
esperienze rivoluzionarie, poiché queste ultime mai sono state delle avanguardie nel
processo rivoluzionario, quanto piuttosto realtà di retroguardia; in generale, come ci
ricorda correttamente Rosa Luxemhurg, la disciplina militare, lungi dall’essere una
scuola di preparazione alla rivoluzione4, rappresenta al contrario un elemento di
diseducazione. Tuttavia proprio la presenza concentrata di avanguardie rivoluzionarie
nell’isola riuscì a rappresentare una controspinta formidabile alla barbarie della
disciplina militare e della guerra stessa. Non deve stupire allora il senso di differenza
dei marinai di Kronstadt che, già nel 17, deprecavano la maniera manesca degli

Renzi, della socializzazione, in Altrasinistra, n. 14, p. 37.
3 D.Renzi, Di un altro socialismo, in AA. VV., J1 libro rosso del socialismo,
Prospettiva Edizioni, Roma 1998.
4 Rosa Luxernburg, Problemi (li riorganizzazione della socialdemocrazia russa, in
Scritti politici, Editori Riuniti. Roma i970, pp. 223-224.

operai di Vyhorg nell’affrontare le differenze di opinione.
Varie correnti avevano lavorato per lunghi anni alla preparazione della rivoluzione
nella cittadella, dai bolscevichi, ai socialrivoluzionari di sinistra, agli anarchici, ai
menscevichi internazionalisti, ai socialrivoluzionari massimalisti. Questi ultimi
rappresentano un’anomalia, perché il loro radicamento, generalmente molto limitato,
è sicuramente profondo a Kronstadt. Il loro principale esponente, Anatoly Lamanov,
verrà più volte eletto delegato ai congressi panrussi dei soviet e dirigerà il giornale
del soviet locale, le Jzvestija di Kronstadt, conducendo il suo raggruppamento a risul-
tati molto importanti, arrivando nel 18 a essere la seconda organizzazione al soviet
locale, appena dietro i bolscevichi. Molto del programma dei 15 punti di Kronstadt
viene dalle posizioni di questo raggruppamento, mentre va ridimensionato il peso,
che un luogo comune vuole attribuire all’anarchismo, sulle posizioni di Kronstadt.
Infatti, se è vero che alcune rivendicazioni erano state già innalzate dagli anarchici, la
Kronstadt del 21 non si batteva contro lo Stato in quanto tale, ma per uno Stato nelle
mani dei lavoratori. Dei bolscevichi, poi, è bene ricordare che solo dopo la
bolscevizzazione dei soviet, nel luglio 19, essi sarebbero riusciti a divenire
maggioranza assoluta. In precedenza, infatti, per quanto fossero il gruppo più
numeroso, in più di una circostanza vennero messi in minoranza. Battaglie durissime
vennero combattute in seno al soviet proprio sugli elementi di larvale socializzazione
degli immobili e dei servizi urbani, che i bolscevichi osteggiarono costantemente, o
sulla denuncia da parte del soviet di Kronstadt della repressione degli anarchici
attuata nell’aprile del 18 dal soviet di Mosca, per non ricordare la proclamazione
della repubblica di Kronstadt nella primavera del 17. Insomma, posizioni distinte tra
correnti rivoluzionarie diverse si confrontarono e scontrarono a Kronstadt per anni,
mantenendo viva la prassi della discussione aperta tra i settori più ampli della società
civile che cercavano sempre spazi di libertà nonostante le chiusure bolsceviche. Il
concorrere di varie correnti che discutevano, proponevano e lottavano sulle strade che
la rivoluzione poteva seguire fu un elemento preparatorio decisivo per la quarta
rivoluzione.

Kronstadt insegna

Interrogarsi sul lascito di Kronstadt è molto importante per chi vuole mantenere viva
e rafforzare la prospettiva del socialismo come primo passo per l’autoemancipazione.
Non casualmente i vecchi marxisti rivoluzionari, e segnatamente i trotskisti nella crisi
che li attanaglia, continuano a non voler imparare dagli eventi di quel drammatico
1921. Viceversa il nuovo marxismo rivoluzionario continua a cercare di estrarre
lezioni vive dalle rivoluzioni, sia per la positiva sia per la negativa. In effetti, grazie
in primo luogo al contributo di Dario Renzi, la posizione del nuovo marxismo
rivoluzionario su Kronstadt, è assolutamente controcorrente rispetto alle posizioni
classiche invalse nel marxismo rivoluzionario. La pochezza, sotto tutti i profili, di chi
continua a ripetere che la repressione di Kronstadt fu una tragica necessità” si

evidenzia ancor più per contrasto con il giudizio solidale con gli insorti che viene
dalla corrente del nuovo marxismo rivoluzionario. Due insegnamenti in particolare ci
vengono offerti a questo proposito) dal giudizio di Dario Renzi: se come speriamo di
essere riusciti a dimostrare quella di Kronstadt fu una rivoluzione socialista, allora la
sua repressione ad opera dei bolscevichi fu un crimine contro il socialismo e la
rivoluzione, e, se la repressione avvenne in nome e nell’interesse del mantenimento
del potere da parte dei bolscevichi, allora da essa possiamo estrarre fondamentali
ragioni per la critica della politica, anche di quella rivoluzionaria Queste
caratterizzazioni critiche sono la base sulla quale è possibile cogliere insegnamenti a
positivo, per saper estrarre dalla rivoluzione di Kronstadt il suo contributo al
socialismo, così come i suoi limiti.
La proclamazione della repubblica di Kronstadt nella primavera del ‘17 non fu un
escamotage per prendere le distanze dal soviet di Pietrogrado, allora orientato su
posizioni moderate; che vi fosse anche questo può essere, ma non era l’elemento
preponderante. Quella scelta rappresentava qualcosa di più profondo, cioè una
tensione anticentralista e federativa che è al contempo espressione della diffidenza
verso un’eccessiva concentrazione di potere nell’apparato centrale dello Stato; in
questo senso da quella scelta di Kronstadt possiamo estrarre una tensione
antistatalista che la rivoluzione socialista deve assumere al fine di disarticolare e
rendere più leggero possibile lo Stato, perché possa essere uno Stato-non Stato) che
non si estingua semplicemente all’estinguersi delle classi, ma sia invece, pena la
ricostruzione di classi o ceti dominanti per tramite dello Stato, predisposto ad
estinguersi al più presto possibile, facendosi assorbire dalla società civile.

Un altro aspetto da sottolineare è il valore della preparazione della rivoluzione. Molti
storiografi della rivoluzione di Kronstadt5, nello smentire le accuse bolsceviche
secondo cui gli insorti sarebbero stati al servizio della reazione o avrebbero svolto un
ruolo obiettivamente reazionario, insistono troppo nell’affermare il carattere
spontaneo della rivoluzione di Kronstadt. Tale affermazione rischia di essere o
un’ovvietà o un’inesattezza. Infatti, da un lato, nessuno può stabilire l’inizio della
rivoluzione, se non le masse che decidono di mobilitarsi per la propria liberazione

Commenti

  1. Questo scritto è di Federico Gattolin. Il titolo è "Bagliori di socialismo". Sarebbe corretto citarlo.

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