DA NOTIZIE RADICALI

.Piero Verni
Ancora sangue sul tetto del mondo
14-03-2012
Piero Verni, che i lettori più assidui di “Notizie Radicali” conoscono per l’attenzione e la passione con cui segue e informa sulle questioni tibetane, si trova attualmente a New York, per seguire da vicino lo sciopero della fame organizzato di fronte al Palazzo di Vetro dell’ONU dal “Tibetan Youth Congress”. Verni assicura una sorta di “diario” di questo sciopero della fame, e non solo per dare notizie aggiornate e in tempo reale di cosa accade, ma soprattutto per offrire a quanti sostengono la causa del Tibet uno spazio comune di riflessione, confronto e dialogo. Verni ci fa inoltre sapere che sul canale You Tube della Breish Productions può trovare dei contributi video (in bassa risoluzione, perché vengono inviati con una connessione non velocissima dall’albergo in cui si trova) dal presidio di questo Indefinite Hunger Strike per il Tibet.

New York, 17 giorno

Un frammento di resistenza tibetana si trova qui, di fronte all’elegante sagoma del Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Si tratta dell’Indefinite Fast for Tibet cominciato il 22 febbraio e giunto oggi al 17° giorno. Un evento di estrema importanza, un’azione politica forte e determinata con cui il mondo dell’esilio tibetano intende esprimere la sua concreta e visibile solidarietà alla resistenza in Tibet e ai bagliori terribili ed eroici delle torce umane che continuano ad accendersi sul Tetto del Mondo.
Ho trovato i tre digiunatori molto debilitati nel fisico, soprattutto Shingza Rinpoche che ha perso oltre dieci chili, ma assolutamente decisi ad andare avanti fino a quando l’ONU non avrà risposto alle loro domande, in particolare a quella relativa all’invio di una commissione di inchiesta in Tibet per appurare cosa stia succedendo. E proprio ieri, finalmente, l’ONU per la prima volta ha dato segnale di aver ricevuto la petizione dei digiunatori e dichiarato che la sta esaminando. E questa determinazione la si può leggere anche nelle dichiarazioni che sia il TYC sia Shingza Rinpoche hanno rilasciato ieri e che pubblico in calce come commenti. In entrambi i documenti emerge la determinazione ad andare avanti e si chiede al governo tibetano in esilio di abbandonare la infruttuosa politica della Via di Mezzo per tornare a lottare per l’indipendenza del Tibet. Già perché questo sciopero della fame se da una parte rivolge precise richieste alle Nazione Unite dall’altra implicitamente interroga anche Dharamsala. Che dovrebbe riflettere una buona volta sul clamoroso fallimento della Via di Mezzo e a trarne le dovute conseguenze.
La mia impressione è che le fiamme che ardono sotto i cieli del Tibet abbiano scosso profondamente il mondo dell’esilio tibetano e stiano segnando un punto di non ritorno per quanto riguarda la lotta dei profughi. Mentre raccoglievo una sua breve intervista per il canale You Tube della Breizh Productions vedevo negli occhi di questo giovane lama una compassionevole volontà di andare avanti sulla sua strada costi quel che costi. Non a caso in rete e anche nei discorsi di alcuni giovani tibetani comincia ad affiorare il ricordo del supremo sacrificio del militante irlandese Bobby Sands e dei suoi tredici compagni dell’IRA, che dopo un lunghissimo sciopero della fame, tra il maggio e il luglio 1981 si lasciarono morire nel famigerato Blocco H del carcere di Maze.
Se questo è vero, e credo proprio lo sia, tutti coloro che hanno a cuore la causa del Tibet dovranno stringersi con forza intorno a questi tre combattenti per la libertà e moltiplicare le iniziative per costringere l’ONU ad ascoltare una buona volta le ragioni del popolo tibetano. Del resto le richieste dei digiunatori sono assolutamente plausibili e del tutto in linea con quelli che dovrebbero essere i compiti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. In particolare mi sembra ragionevole l’idea che dopo 26 immolazioni con il fuoco e la rigida chiusura dei territori tibetani, l’ONU debba inviare una commissione per verificare cosa stia succedendo sul Tetto del Mondo.
Sono molti i tibetani e sostenitori della causa del Tibet che vengono quotidianamente qui a portare la loro solidarietà ai digiunatori. Un entusiasmo particolare ha suscitato ieri la visita di Richard Gere che è venuto a rendere omaggio ai militanti del TYC insieme al lama Ratoe Khoungla Rinpoche. Ovviamente la presenza del noto attore e amico del Tibet ha fatto accendere su questo digiuno molti riflettori mediatici che prima erano rimasti spenti.
Quindi l’interesse per questa protesta si allarga e un segno di quanto questa azione cominci a dare fastidio a Pechino è il fatto che da diversi giorni il sito del TYC è sotto attacco e consultabile con difficoltà.
Insomma qui a New York, in queste fredde giornate di fine inverno, si sta giocando una partita importante per il futuro del Tibet. Sarebbe bene che nessuno la perdesse di vista.

New York, 18 giorno
Una mattina assolata ma fredda. Del tutto dimentica della primavera ormai imminente e spazzata da folate di vento gelide che arrivano direttamente dal fiume Hudson. Il Palazzo di Vetro si staglia nitido contro un cielo cobalto mentre il presidio dei digiunatori si appresta a vivere il suo 18° giorno.
A partire dalle nove gruppi di tibetani di ogni età e condizione sociale iniziano ad arrivare al presidio per rendere omaggio ai tre digiunatori, sdraiati e infagottati dentro ai loro sacchi a pelo per difendersi dal vento e dalla temperatura rigida che nemmeno i raggi del sole riescono a far salire. E‘ una continua processione di ragazzi, uomini, laici, monaci, donne che arrivano con le loro kata (sciarpe cerimoniali) in mano, si inchinano davanti ad ognuno dei digiunatori e lasciano in segno di omaggio le sciarpe sul collo dei tre uomini impegnati in questa non violenta prova di forza con il carrozzone burocratico dell’ONU. Si inchinano a mani giunte, scambiano con i tre qualche parola e poi procedono oltre. Quasi tutti hanno le lacrime agli occhi e la commozione dipinta sui volti. In diversi si fermano al presidio ma quando la gente all’interno del perimetro ha superato la sessantina, arrivano due poliziotti in borghese a ricordare che il numero delle persone che stazionano qui non può superare le trenta. Quindi i responsabili del TYC sono costretti a chiedere alla gente di allontanarsi dopo essere venuta a salutare i tre digiunatori. A questo proposito vorrei dire due parole sul comportamento della polizia di NY. Mi hanno detto che i primi giorni è stato piuttosto burbero ai limiti della brutalità. Poi è cambiato anche grazie al grande numero di “complaints” arrivati sul sito della persona incaricata dall’amministrazione comunale di prendere nota delle proteste contro il comportamento della polizia in città. Adesso non posso dire che l’atteggiamento dei poliziotti sia cordiale ma certo è meglio di prima.
Verso le undici è previsto l’arrivo della tradizionale manifestazione che commemora l’insurrezione di Lhasa del 1959 in una piazza a poche decine di metri da qui dove si terranno i discorsi conclusivi e una rappresentazione teatrale di un gruppo artistico tibetano. Gli organizzatori hanno invitato i digiunatori a presenziare e così Shingza Rinpoche, Dorje Gyalpo e Yeshi Tenzin vengono messi sulle sedie a rotelle e portati nella piazza e fatti sedere sotto il palco.
Verso le 12 arriva la manifestazione. E’ davvero imponente. Pochissimi occidentali ma una vera marea di tibetani. A occhio dovrebbero essere più di quattromila. Forse cinquemila. Sono arrivati da tutti gli Stati Uniti. Una distesa di bandiere tibetane e cartelli che chiedono la libertà per il Tibet. Vengono vendute delle magliette verdi con Pö Rangzen (Indipendenza per il Tibet) scritto in tibetano che i manifestanti indossano sopra cappotti e giacche. I ritratti dei 26 martiri immolatosi con il fuoco sono portati in processione da un gruppo di donne. Gli slogans chiedono tutti la libertà per il Paese delle Nevi. Da tempo non vedevo una manifestazione così dura e determinata.
Poco dopo mezzogiorno sale sul palco Lobsang Nyantak, il rappresentante dell’Amministrazione Tibetana in Esilio per USA e Canada, che legge il discorso del nuovo Kalon Tripa Lobsang Sangay. Dal 1960 è la prima volta che il 10 marzo il Dalai Lama non rilascia un suo statement e per uno come il sottoscritto che ha partecipano a decine di queste commemorazioni, la cosa fa un certo effetto.
Dopo la lettura del discorso del Kalon Tripa, non ho capito bene se il fatto era programmato o meno, gli organizzatori chiedono a Shingza Rinpoche di intervenire. Il giovane lama, nonostante le condizioni di salute (ha perso 12 chili dall’inizio del digiuno), riesce a parlare e a farsi sentire distintamente aiutato dal microfono che amplifica la sua esile voce. Ma se la voce è esile il contenuto delle sue parole è forte e chiaro. Spiega le ragioni della protesta in corso. Chiede ai tibetani di rimanere uniti e combattere per l’indipendenza del Tibet, di non lasciar perdere la speranza e termina ribadendo la assoluta determinazione dei tre digiunatori ad andare avanti con la loro protesta fino a quando l’ONU non avrà dato delle risposte convincenti.
Un uragano di applausi segna la fine del discorso di Shingza Rinpoche. E a questo punto vengono invitati a salire sul palco una serie di leader che si battono per l’indipendenza del Tibet. Nella concitazione del momento non sono riuscito a comprendere quanto la cosa fosse prevista o invece sia stata decisa all’ultimo momento. Fatto sta che dopo Rinpoche parlano (prima in tibetano poi in inglese) Tsewang Ringzin, il carismatico presidente del Tibetan Youth Congress, e a seguire lo scrittore e attivista Jamyan Norbu (evidentemente molto amato qui negli USA a giudicare dagli applausi ricevuti) e il poeta Tenzin Tsundue, anche lui molto impegnato nella lotta politica per l’indipendenza del Tibet. Tutti i discorsi sono a lungo applauditi e spesso interrotti dal grido ritmato e ripetuto di Pö Ranzen, Pö Rangzen.
Dopo il discorso di Tsundue, è il turno di Lhamo Tso, moglie del filmmaker Dhondup Wangchen arrestato e condannato nel 2009 a sei anni di carcere per aver girato e prodotto il documentario “Leaving Fear Behind”. Anche quello di questa giovane donna è un discorso intenso, reso ancor più drammatico dalle lacrime che sovente le incrinano la voce e la costringono a interrompersi.
Terminata questa commovente testimonianza i tre digiunatori e il gruppo di persone che li accudiscono tornano al presidio davanti al Palazzo delle Nazioni Unite mentre la folla, in un silenzio commosso, fa ala al loro passaggio e si inchina a mani giunte in segno di devozione.

New York, 19 giorno
Oggi, complice il giorno festivo, la situazione è molto più tranquilla di ieri. Sono però venuti due giornalisti indipendenti francesi che stanno producendo un video sulle proteste nel mondo contro il potere globale. Sono rimasti molto impressionati dalla compostezza e dalla determinazione dei tre digiunatori. Hanno detto che faranno di tutto per rendere noto al mondo cosa sta succedendo qui.
Già perché sarebbe bene che la pressione internazionale sull’ONU cominci a farsi sentire dal momento che i tre scioperanti iniziano a dare segni di cedimento fisico. Soprattutto Dorje Gyalpo, il più anziano dei tre (è nato il 5 marzo del 1953 nel Tibet meridionale), è di una debolezza impressionante e fatica persino a parlare. La sua voce è ormai ridotta ad un sussurro il più delle volte incomprensibile. Purtroppo dall’ONU, a parte una generica rassicurazione di “esaminare la pratica” di cui abbiamo dato notizia l’altro ieri, non viene alcuna risposta. Ho parlato pochi minuti fa con tutti e tre i digiunatori e sono sempre più decisi ad andare avanti in assenza di un risultato. Anche a costo di minare seriamente la loro saluto o peggio.
Quindi sarebbe bene che le organizzazioni internazionali di sostegno al Tibet facessero qualche cosa di significativo a favore di queste tre persone le quali, se non verrà una risposta positiva da parte delle Nazioni Unite (anche parziale rispetto alle richieste complessive), temo siano avviati a fare la medesima fine di Bobby Sands e degli altri tredici martiri irlandesi del blocco H della prigione di Maze.

New York, 20 giorno
Oggi la primavera è finalmente scoppiata a New York e il vento gelido che sffiava su Manhattan fino a poche ore fa si è trasformato in una piacevole, tiepida, brezza. E con il miglioramento del clima sembrerebbe arrivata anche la prima buona notizia, per quanto non ancora confermata ufficialmente. Ho saputo da una fonte estremamente attendibile che il peggioramento della salute dei tre digiunatori e la crescente attenzione dei media verso questa protesta stanno creando non poco imbarazzo ai piani alti delle Nazioni Unite. In modo particolare alcuni componenti della Commissione per i Diritti Umani premerebbero perché si invii ai digiunatori almeno un segnale che le loro domande sono prese in seria considerazione. Come scrivevo ieri, la possibilità di trovarsi sul portone di casa e sotto i riflettori dei media uno o più Bobby Sands tibetani, non appare entusiasmante agli occhi della Presidenza delle Nazioni Unite. Vedremo nelle prossime ore se, ed eventualmente in che misura, queste indiscrezioni saranno confermate. Ma certo la breve e non ufficiale visita fatta questa mattina ai digiunatori da Ivan Simonovic, un collaboratore del Segretario Generale dell’ONU, sembrerebbe confermare un crescente disagio all’interno almeno di alcuni settori delle Nazioni Unite. Dopo la visita ai tre digiunatori Simonovic ha inoltre invitato nel suo ufficio il Presidente del Tibetan Youth Congress, Tsewang Ringzin, per discutere della situazione in Tibet e della continuazione dello sciopero della fame.
Tornando a questo 20° giorno di Hunger Strike c’è da segnalare la piacevole sorpresa di un gruppo di dissidenti cinesi che si sono raccolti a pochi metri dal presidio per protestare contro il regime cinese e l’oppressivo ruolo del Partito Comunista in Cina. In particolare i dimostranti chiedevano la liberazione dell’avvocato Zhisheng Gao arrestato tre anni fa per aver difeso un membro del gruppo spirituale Falun Dafa e poi scomparso nel gorgo del Laogai, il sistema concentrazionario di Pechino. L’aspetto interessante di questa presenza cinese di fronte al Palazzo di Vetro, è l’estrema simpatia che tutti i cinesi hanno dimostrato nei confronti dei digiunatori tibetani. Simpatia resa ancor più evidente da un prolungato coro di “Free Tibet! Free Tibet!” che l’intero gruppo ha scandito più volte prima di dare vita a una sorta di conferenza all’aperto in cui hanno esposto le ragioni della loro lotta. Non vorrei sembrare retorico ma vedere il responsabile di questo gruppo abbracciarsi con il Presidente del Tibetan Youth Congress e rendere omaggio ai digiunatori, è stato proprio un bello spettacolo.

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