«Quel tragico giovedì in cui sul monte Serra morirono i miei amici»




Esattamente 35 anni fa, sulle pendici del Monte Serra nel territorio del Comune di Calci, si schiantava il C 130 H Hercules dell'allora 46° Aerobrigata di Pisa. Morirono 38 allievi dell'Accademia Navale, l'ufficiale accompagnatore e cinque membri dell'equipaggio. Partito dall'aeroporto di S.Giusto, l'apparecchio, dopo aver effettuato una incomprensibile virata a sinistra, imboccò la vallata del Serra, rivelatasi fatale per il volo a bassa quota e la scarsa visibilità. Sulle cause la Procura archiviò il caso. Alle esequie,il 5 marzo 1977, partecipò, oltre ad una folla immensa, anche il presidente della Repubblica Giovanni Leone. «La straordinaria partecipazione al lutto d'intere città o comunità, di fabbriche e scuole, ha un significato profondo che merita d' essere sottolineato - scriveva proprio quel giorno su Il Telegrafo, il giornalista Angiolo Berti - perché ci offre la misura di quanto tale patrimonio sia veramente addentro anche al sentimento di chi operi lontano dal mondo militare e risponda ad un'effettiva e comune esigenza di comprensione». Questa «spietata decimazione di ragazzi meno che ventenni» - sono sempre sue parole - vuole ricordare ai "più grandi" «i rischi che comporta la scelta dello stato militare e quindi la necessità d'una contropartita diversa, che non sia soltanto materiale, ma anche morale». (g.u.b.) di Gian Ugo Berti wLIVORNO Quel 3 marzo di trentacinque anni fa era un giovedì. Per gli allievi un giorno particolare, perché la possibilità d' uscire qualche ora in franchigia dava fin dal mattino un sapore diverso, quasi di festa. Pino, uno dei tanti del primo Corso, anche per questo non aveva avuto problemi ad anticipare la sveglia e andarsi ad allenare con una lunga sgroppata sul viale a mare, in vista delle gare di atletica leggera. Anzi. Si sentiva in forma e pregustava già la meritata libera uscita. Una mattinata proseguita tranquilla, con il solito copione delle lezioni, l'assemblea sul Piazzale, il pranzo, il corroborante e caldo caffè in sala ricreazione nel consueto assalto al bancone. Per lui un primo pomeriggio di studio, per l'amico Michele invece il programmato volo d'addestramento a Pisa, con altri 37 allievi, fra cui Roberto,il capo del Corso. Lui, l'aveva già fatto la settimana precedente, una semplice formalità. Un saluto quindi prima di lasciarsi, incrociandosi sulle scale: «Ci vediamo stasera», un cenno della mano e via. Fu il loro ultimo saluto. Il destino, di lì a poco, sarebbe giunto implacabile a separarli per sempre. La notizia dello schianto del “Vega 10” sul Monte Serra, in cui morriono 44 persone (di cui 38 accademisti) arrivò in Accademia pochi minuti dopo le 15,10. «È un'ora che rivedo ogni giorno ancora sul quadrante dell' orologio – ricorda oggi Pino – ma non fummo subito informati nel dettaglio della dimensione della tragedia. Solo dell'incidente. Fu poi il comandante, Franco D'Agostino, non senza emozione a fornirci altri particolari. Fu bloccata la franchigia e ci vennero consegnati dieci gettoni telefonici ciascuno, con l'ordine di chiamare le famiglie e rassicurarle personalmente della nostra incolumità». L'allievo Pino è oggi l'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, comandante dell'Accademia Navale. «Rinnovare quei ricordi – conclude – è angosciante. Il volto di Michele è sempre davanti a me. Con il suo nome ho chiamato il primo dei miei tre figli, che oggi ha 24 anni ». I ricordi di quella tragedia si fanno confusi per l’ex allievo Pino che ora è diventato comandante: quei giovani ragazzi erano da mesi a contatto di gomito 24 ore al giorno. «Nessuno parlava, nessuno piangeva. Troppo forte – racconta – l'impatto emotivo. Eravamo tutti amici, avevamo già fraternizzato fin dall'epoca della spivolatura, quando avevamo fatto istintivamente corpo nel tradizionale confronto cameratesco con gli anziani. Tutte le premesse per costruire il giusto spirito di corso che ci avrebbe sorretto ed accompagnato nel futuro». «Rivivo le ore successive con immagini che mi passano automaticamente davanti agli occhi, sfumate ma incancellabili. Le bare sul piazzale, la veglia per l'intera notte ed il giorno seguente, i funerali, l'immensa folla che voleva testimoniare assieme al Capo dello Stato il tributo di affetto ai nostri compagni, alle famiglie ed a noi. Infine la scelta del Comando per una breve licenza, a staccare la spina ed a voltare pagina». «Una pausa importante che poteva incidere non poco sull'animo di ciascuno. Un rischio inevitabile. Ricordo invece che tutti ritornammo a Livorno ancor più convinti della nostra scelta. Se la leggenda dice che lo spirito di corpo degli allievi si materializza nella crociera d'addestramento a bordo dell’”Amerigo Vespucci” – prosegue – devo dire che per noi quell'esperienza ci aveva ulteriormente maturato e reso consapevoli d'un cammino comune». «Fu la sosta nel porto di Helsinki in Finlandia – sottolinea ancora Pino – forse perché la più a nord nel lungo viaggio, a far scattare quelle decisioni che, in un attimo, fanno di un gruppo di tanti allievi, un solo Corso. All'unanimità decidemmo di scegliere il nome "Invicti" e l'urlo, con una frase in finlandese che significa "Non vi dimenticheremo mai". Il nostro stemma raffigura la metà di una lira per indicare l'aereo Vega 10 su cui morirono gli amici, la prua di una nave vichinga in omaggio al Paese ospitante, una sciabola capovolta dedicata all'equipaggio dell'apparecchio ed al nostro ufficiale accompagnatore, Emilio Attramini, certo fra i sottordini alla classe il più vicino a noi, non cattivo né sanguigno, ma pacato e semplice: un gentiluomo, un signore». Oggi, una lapide con i nomi delle vittime è visibile nella cappella. «La cerimonia sul Monte Serra è un momento irrinunciabile per essere loro vicino nel ricordo e rivedere i volti dei parenti e degli amici. Ma la giornata di tutti noi è legata ad immagini e pensieri che vivono oltre la morte, ciascuno portando nel cuore una ferita mai richiusa». ©RIPRODUZIONE RISERVATA Gian Ugo Berti

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