Nel 1926 armarono la mano dell'inglese Violet Gibson, a Roma
MUSSOLINI E CHURCHILL ATTENTARONO AL "DUCE"
Forse una messa in scena per trarne vantaggi politici. Troppi lati oscuri per una donna che non spiegò mai il gesto . Rinchiusa in un manicomio britannico non ne uscirà fino alla morte, 29 anni dopo. Era figlia di un diplomatico. Il silenzio del Governo inglese e lo strano comportamento della famiglia. Il giallo delle due pistole.
PONTEDERA – Mussolini e Churchill avrebbero organizzato l'attentato al Duce del 7 aprile 1926,armando la mano dell'inglese Violet Gibson ( da soli due metri mancò il bersaglio). Due gli scopi:Mussolini avrebbe avuto un grosso ritorno di popolarità ed immagine in Italia come Capo del Governo, in una fase ancora iniziale del Fascismo, Churchill rafforzava così il proprio ruolo in chiave anti – bolscevica (la Russia di Lenin incuteva timore all'Europa).
E' uno strano percorso quello che supporta un'ipotesi sempre più credibile, basato su tanti lati oscuri, ma soprattutto contrari ad ogni logica dei normali rapporti diplomatici internazionali, di vita sociale e politica del momento, dei compiti della Polizia e della Magistratura. Uno di quegli eventi,insomma, di cui potremmo avere una risposta più concreta soltanto all'apertura di carteggi,tutt'ora riservati,dopo ben 84 anni. In una parola, prende consistenza una gigantesca messa in scena o,se preferite in chiave critica,storicamente una farsa.
Il perimetro della vicenda è tanto semplice quanto inverosimile. Una donna inglese cinquantenne di ottima famiglia, che non parla italiano, arriva a Roma con l'intento di sparare al Capo del Governo. Riesce a giungere accanto a lui,pur contornato da un imponente servizio di sicurezza. Spara, poi l'arma al secondo colpo s'inceppa. Viene presa dalle Camicie Nere e difesa dalla folla inferocita. Portata in Commissariato è interrogata da un funzionario che non capisce l'inglese, tenuta per un anno in una clinica psichiatrica romana, senza che si muovano i canali diplomatici, si facciano vivi i familiari e, d'improvviso, in tutta fretta rimpatriata ed internata in un manicomio inglese, dove morirà 29 anni dopo, senza mai spiegare le ragioni del gesto. Chiederà invano di essere scarcerata con due lettere a Churchill e ad Elisabetta II.
Anche all'uomo della strada, pare impossibile che possa aver agito da sola ( appena cinque mesi prima,il deputato socialista Tito Zaniboni venne scoperto grazie ad un infiltrato della Polizia,mentre preparava un attentato a Mussolini e condannato a 30 anni di reclusione. Ovvero, i servizi segreti dello Stato italiano erano in grado di controllare la situazione.
Fu scelta – Più verisimilmente "viene" scelta ( da chi, forse si scoprirà nel 2025 all'apertura degli archivi, ritardata inspiegabilmente dopo i trascorsi 50 anni canonici dall'evento). E' figlia di un Lord Protettore ed imparentata con la Corona d'Inghilterra. Ha una personalità fragile,emotiva,autolesionista. E' attratta dalla situazione italiana e segue con particolare attenzione le vicende cruente degli oppositori al Regime. Secondo i parenti appare sconvolta, nel giugno del 1924,dalla vicenda di Matteotti. Ad un amico rivela "Sono pronta a fare qualcosa di grande per Dio e la sua Chiesa". Una personalità dunque complessa ed introversa secondo chi la conosce.
A Roma,sola e confusa – Nessuno la controlla. A Roma, licenzia la governante che l'accompagna. Alloggia in un convento di suore. Alterna periodi di tranquillità, a periodi in cui è confusa,affabulante, talvolta depressa. Tenta il suicidio con una pistola portata da Londra. L'arma viene sequestrata, ma se ne procura una seconda con cui sparerà al Duce ( chi gliela fornisce, se non parla italiano e certamente si trova sotto controllo da parte delle Autorità?). Appare a tratti ossessionata da una missione da compiere e,in parallelo,dall'immagine del Dittatore italiano. Esprime spesso pensieri deliranti rispetto alla sua missione ed al Duce, ma nessuno le presta attenzione.
E la farsa continua – Piccola di statura,vestita dimessamente,quel giorno stringe fra le mani una borsetta ed insieme un velo nero. Avanza lentamente fra la folla, verso Mussolini, nessuno la ferma, fra le tante Camicie Nere che lo circondano. Estrae la pistola, spara. Appena un graffio al naso ( "Sono un miracolato!",dirà poi il Duce). Ha il tempo di riprovarci, ma l'arma s'inceppa. Soltanto allora viene portata via.
Fotomontaggio maldestro – Una foto, diffusa nelle ore successive, ritrae una vistosa nuvola di fumo davanti a Mussolini, nel momento del colpo. Troppo,in verità. L'ipotesi tecnica plausibile è che sia caricata a salve ( lei inconsapevole,trattandosi di un attentato premeditato). Per di più non si trovano i bossoli e l'arma misteriosamente scompare.
Senza interprete – Suggestivo,se non ridicolo,pensare ad un interrogatorio così serrato per quanto successo, in cui nessuno dei due, commissario e attentatrice, capisce la lingua dell'altro,né viene chiamato un interprete. Il funzionario comunque viene presto gerarchicamente scavalcato e messo da parte.
Una famiglia davvero strana – Il fratello,con un telegramma a Mussolini del giorno successivo, chiede una perizia psichiatrica. Alla fine,saranno due ed,inoltre, due visite ginecologiche che la definiscono sterile (difficile pensare ad una correlazione clinica). La famiglia,da Londra, parla subito in dichiarazioni ufficiali di una condizione paranoica, ma nessuno viene a trovarla .
Come in un albergo – Viene reclusa in una casa di cura per alienati a Roma, usufruisce però di una camera singola e di un vitto speciale, ma non le viene somministrata alcuna terapia,nonostante la supposta diagnosi.
Via,prima del processo – Quando si sta per decidere la data del processo, pare su richiesta estemporanea della famiglia, la Gibson viene estradata in Inghilterra. Tutto avviene subito e nel massimo riserbo,assieme ad una sorella giunta appositamente a prenderla, circondata da un cordone invalicabile di infermiere e polizia.
Di notte,a Londra – Giunge nella capitale inglese a mezzanotte. Un medico,convocato d'urgenza, stabilisce la necessità del ricovero. Condotta in ospedale, viene lavata,vestita con la divisa delle recluse e(per la prima volta) fortemente sedata. Non ne uscirà più. Morirà nel 1956,undici anni dopo la scomparsa di Mussolini.
Due lettere – Inviò due lettere,nell'intento di essere scarcerata, a Winston Churchill,all'atto dell'entrata in guerra e l'altra alla regina Elisabetta II, nel momento della sua incoronazione. Ad entrambe,non ebbe risposta.
Eroina mancata – Domanda agghiacciante: se attentò alla vita di quel Mussolini,poi divenuto acerrimo nemico dell'Inghilterra, perché non venne considerata eroina nazionale? Forse,anche dopo anni,qualcuno non poteva permetterle di parlare – dato anche il suo ben conosciuto stato psichico –una volta uscita. Qualcuno che, pur se già terminato il conflitto mondiale,temeva i fantasmi del passato. Ma quale passato?Quello pro o contro Mussolini?
In un'interessante interpretazione sociologica, nell'ambito del recente convegno su "Gli attentati a Mussolini dal 1926 al 1932", promosso a Pontedera (Pisa) dalla Fondazione "Angiolo e Maria Teresa Berti", così si è espresso, Pippo Russo,docente universitario: "Il regime fascista,sotto il profilo della propaganda e della censura, fu una dittatura di tipo moderno, perché potè giovarsi dell'utilizzo massiccio dei mezzi di comunicazione di massa elettronici, attraverso cui era possibile costruire una narrazione del quotidiano sostitutiva della realtà. Rispetto a questo quadro della situazione, l'attentato al Duce costituisce una situazione di cortocircuito per la gigantesca macchina della manipolazione simbolica. In una parola,dovette gestire la contraddizione fra il mito dell'intoccabilità e sacralità del Capo e la necessità di dichiararne un senso di vulnerabilità per restaurare un clima di solidarietà e concordia popolare attorno al Dittatore minacciato".
Un convegno comunque a tutto campo che ha evidenziato altre matrici politiche ed altri percorsi. Relatore è stato lo storico, Giuseppe Galzerano, che ha delineato,in particolare, il contributo offerto durante il Ventennio,dagli anarchici italiani alla lotta contro il Fascismo.
Si è quindi parlato di Gino Lucetti,anarchico carrarino,che l'11 settembre 1926 attenta a Mussolini e la bomba rimbalza dall'auto del Duce e provoca il ferimento di otto persone. Poi quello di Michele Schirru che,nel 1931,viene dagli Stati Uniti ed è arrestato e fucilato solo per aver avuto intenzione di compiere il gesto e lo stesso accadrà,l'anno successivo,ad Angelo Sbardellotto,giovane bellunese che viene dal Belgio.
"Nessuno di loro – ha affermato Galzerano – era un sicario od era mosso da interessi politici personali ad occupare il potere, ma dei grandi idealisti che sacrificarono la loro libertà e la loro vita per dare al nostro Paese la libertà negatagli dal Regime. Con Schirru e Sbardellotto, per la prima volta nella storia dell'umanità e del mondo, verranno fucilati uomini che non hanno commesso alcun reato e delitto. Il loro è solo un delitto di pensiero. L'infamia del Fascismo arriva a tanto: a fucilare il pensiero. Nel processo contro Schirru verrà coinvolto - con una montatura giudiziaria,poi smontata totalmente in chiave storica – anche il pontederese Giuseppe Polidori che era ugualmente animato da ideali di libertà e giustizia sociale".
SUSANNA FRANCESCHI
(Fondazione "Berti")
Commenti
Posta un commento