Brigate Rosse e sequestro Moro


Questa è una delle fotografie allegate ai comunicati delle Brigate Rosse relativi al sequestro Moro.
Lo statista democristiano veniva fotografato con la pagina di un quotidiano come prova del fatto che fosse ancora vivo. E’ un’immagine che venne diffusa non solo in Italia, ma in tutto il mondo e divenne poi uno dei simboli degli anni di piombo nel nostro paese.

Il contesto: il rapimento Moro
16 marzo 1978: alle 9 del mattino Aldo Moro viene rapito fuori della sua abitazione a Roma, in via Fani da un commando delle Brigate Rosse di cui fanno parte Prospero Gallinari, Valerio Morucci, Raffaele Fiore, Franco Bonisoli oltre a Mario Moretti, Alessio Casimirri, Alvaro Loiacono, Barbara Balzerani, Bruno Seghetti e Rita Algranati. I cinque agenti della scorta vengono uccisi. Si tratta di Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Jozzino.
Secondo quanto dichiarato in fase processuale da Morucci, Moro viene subito trasferito nell’appartamento di via Montalcini 8, sempre a Roma, unica prigione per tutti i 55 giorni del sequestro.
Il Ministro dell’Interno Francesco Cossiga, subito dopo il rapimento, costituisce un comitato tecnico-operativo per coordinare le ricerche e le operazioni delle forze di polizia e sicurezza. I componenti di tale struttura risulteranno successivamente tutti iscritti alla Loggia P2 di Licio Gelli. Viene inoltre istituito un ‘gruppo ristretto’.
18 marzo: comunicato n. 1. Le Brigate Rosse spiegano i motivi del sequestro e annunciano l’inizio del processo ad Aldo Moro.
”Chi è ALDO MORO è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il "teorico" e lo "stratega" indiscusso di quel regime democristiano che da trent'anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la DC è stata artefice nel nostro paese, dalle politiche sanguinarie degli anni '50, alla svolta del "centro-sinistra" fino ai giorni nostri con "l'accordo a sei", ha avuto in ALDO MORO il padrino politico e l'esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste.
(…) Sia chiaro quindi che con la cattura di ALDO MORO, ed il processo al quale verrà sottoposto dal Tribunale del Popolo, non intendiamo "chiudere la partita" né tanto meno sbandierare un "simbolo", ma sviluppare una parola d'ordine su cui tutto il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo si sta già misurando, renderlo più forte, più maturo, più incisivo e organizzato”.
21 marzo: il Governo promulga delle norme di emergenza antiterrorismo
25 marzo: comunicato n. 2. Il processo è iniziato.
29 marzo: comunicato n. 3 insieme al quale le BR rendono pubblica la prima lettera scritta da Moro a Cossiga, nella quale chiede di trattare. Inoltre le BR fanno recapitare altre due lettere: una alla moglie Eleonora e l’altra a Rana, amico di Moro.
30 marzo: le forze politiche affermano la linea della fermezza. Non tratteranno con i rapitori.
2 aprile: da Bologna arriva l’indicazione che Moro viene tenuto in ostaggio a Gradoli. Si cerca tanto nel paesino del viterbese, quanto a via Gradoli (a Roma), senza alcun risultato.
4 aprile: comunicato n. 4 e lettera di Moro a Zaccagnini nella quale chiede di trattare con i suoi rapitori. Solo una piccola parte della DC accoglie il suo appello e Fanfani prende contatti con Craxi che condivideva la stessa linea.
10 aprile: comunicato n. 5 nel quale viene reso noto parte dell’interrogatorio a Moro.
15 aprile: comunicato n. 6. Il processo è finito. Le Brigate Rosse condannano Moro a morte.
20 aprile: comunicato n. 7. Le BR danno un ultimatum di 40 ore: o scambio di prigionieri o uccisione di Moro. Craxi rompe il muro della fermezza, mentre la DC e il PCI confermano la loro linea intransigente.
22 aprile: Paolo VI chiede la liberazione di Aldo Moro senza condizioni.
24 aprile: comunicato n. 8 e lettera di Moro a Zaccagnini e alla DC.
26 aprile: Craxi propone i nomi di 3 brigatisti per lo scambio.
3 maggio: non tutti i BR sono d’accordo sull’esecuzione di Moro.
5 maggio: comunicato n. 9.
”Compagni, la battaglia iniziata il 16 marzo con la cattura di Aldo Moro è giunta alla sua conclusione. Dopo l'interrogatorio ed il Processo Popolare al quale è stato sottoposto, il Presidente della Democrazia Cristiana è stato condannato a morte. A quanti tra i suoi compari della DC, del governo e dei suoi complici che lo sostengono, chiedevano il rilascio, abbiamo fornito una possibilità, l'unica praticabile, ma nello stesso tempo concreta e reale: per la libertà di Aldo Moro, uno dei massimi responsabili di questi trent'anni di lurido regime democristiano, la libertà per tredici Combattenti Comunisti imprigionati nei lager dello Stato imperialista.
LA LIBERTÀ' QUINDI IN CAMBIO DELLA LIBERTÀ' (…)”.
Nella lettera alla moglie, Moro scrive “siamo, credo, al momento conclusivo”.
9 maggio: con una telefonata viene segnalato che il corpo senza vita dell’on. Moro era stato lasciato a Roma, in via Caetani (tra Piazza del Gesù, sede della DC, e via Botteghe Oscure, sede del PCI) nel portabagagli di una R4: a sparare è stato Mario Moretti.
Molti anni dopo, nel 2001, furono resi noti i verbali della direzione di partito della Democrazia cristiana tenuta il 9 maggio dai quali emerge – contro qualsiasi ipotesi circa la possibilità di un’apertura in extremis alla trattativa con le BR – che il destino di Moro era ormai deciso e accettato dai vertici della DC. Neppure Fanfani avrebbe rilanciato la linea della trattativa.

I processi principali relativi al caso Moro sono stati quattro. Il primo, che unificava il Moro-uno e Moro-bis si è concluso in Cassazione nel novembre del 1985 con 22 ergastoli; il Moro-Ter si è finito nel maggio 1993 (20 ergastoli), il Moro-Quater nel maggio 1997

G P: da Treccani.it

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