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PATTI LATERANENSI
I COLLOQUI - LE TRATTATIVE - LA FIRMA
(Qui il testo originale, integrale, definitivo, del "Trattato")
Le estenuanti trattative che sfociarono nei Patti Lateranensi tra Italia e Vaticano siglati in data 11 febbraio 1929 erano durate trenta mesi. I primi contatti furono infatti avviati nell'agosto 1926, con tutta la cautela dei preliminari ufficiosi, ma con una buona disposizione di Mussolini a definire il discorso conciliatore.
In precedenza - prima, durante e dopo la guerra- si erano registrate alcune speranze, ma vennero subito vanificate.
Una accesa discussione si registrò nel 1921, quando la "questione romana" fu riaperta dalla stampa romana (dal Messaggero). Intervennero quasi tutti i giornali italiani, ed anche quelli stranieri. Tutti gli interventi dettero luogo a vivaci discussioni intorno alle relazioni tra lo Stato italiano e la S. Sede.
Tutte le discussioni fatte (gli articoli, con interventi dell'Osservatre Romano", sono riassunte in un link dedicato. (vedi "RAPPORTI CHIESA E STATO IN ITALIA")
Soltanto a partire dalla metà degli Anni Venti il balletto diplomatico riprende con decisione da entrambe le parti, ma i protagonisti delle trattative segrete nella Roma ignara e indifferente non sono - come si potrebbe ritenere - il Pontefice e il Re, e neppure il cardinale Sostituto e Mussolini firmatari poi degli accordi, bensì due tenaci funzionari che in questi trenta mesi mostrano di possedere equilibrio e pazienza in dosi sovrumane. Sono l'avvocato nobile Francesco Pacelli in rappresentanza vaticana e il consigliere di Stato professore Domenico Barone delegato italiano.
II nobile FRANCESCO PACELLI appartiene ad una famiglia che gode fiducia da sempre nella città leonina. Suo padre Filippo ha esercitato a lungo le funzioni di avvocato concistoriale; suo fratello EUGENIO - futuro PIO XII - lavora negli ambienti curiali fin dall'ordinazione sacerdotale ed ha concluso da poco un concordato con la Baviera (1925), mentre sta trattando analoghi patti con la Prussia e con il Baden (ne siglerà poi un altro nel '33 con la Germania).
Nato a Roma nel 1874 Francesco Pacelli viene considerato un esperto di diritto delle acque pubbliche, prima della trattativa concordataria. Per la sua opera otterrà poi il titolo di marchese, e più tardi la famiglia può fregiarsi dell'investitura principesca vaticana.
Il professore DOMENICO BARONE è un funzionario che si è messo in evidenza più volte per la serietà e la capacità. Proviene da una modesta famiglia di Napoli, dove nasce nel 1879, ma sin dal 1902 vince il concorso di magistratura e nel 1919 entra nel Consiglio di Stato. Con il Fascismo diventa membro della cosiddetta Commissione dei Diciotto (creata per studiare alcune riforme costituzionali, tra cui l'inserimento delle corporazioni nel Parlamento) e cura la principale relazione sui «Rapporti tra potere esecutivo e potere legale». Al momento dell'incarico per i contatti conciliatori, su incarico del ministro Alfredo Rocco, sta studiando la revisione dei codici. Non riesce a vedere maturare i frutti del suo mastodontico lavoro di preparazione perché la morte lo raggiunge a soli 49 anni, a poco più di un mese dalla conclusione della trattativa.
Mussolini fin dal 1925 (ma anche fin dal 1921) ha mostrato alcuni segni di benevolenza verso la Chiesa (tra cui, apprezzata, la riammissione del Crocifisso nelle aule scolastiche) e a sua volta il Pontefice non ha mancato occasioni per pronunciarsi in modo distensivo verso l'Italia.
Durante il 1927, i colloqui si arenarono. Punto d'attrito fu la questione giovanile, già affiorata con la nascita dell'Opera Nazionale Balilla e riacutizzata con lo scioglimento dei gruppi sportivi e degli esploratori cattolici (Scouts). I Fascisti dissero chiaro e tondo che erano disposti a riconoscere l'Azione Cattolica Giovanile (forte di 200.00 iscritti) quale associazione di fatto, ma di non poter ammettere la concorrenza degli scouts ai Balilla.
Il contrasto coinvolse la stampa, che ignorando le delicate trattative per la "Questione romana", si buttò (come nel 1921) a capofitto nello scambiare con i giornali cattolici frecciate e articoli polemici.
A calmare le acque di questi attriti (e forse molti non capirono) giunse un "foglio d'ordini" del PNF (il n. 37 diramato il 20 ottobre); dichiarava che "nessun nodo vi fu mai nella storia che non sia stato sciolto o dalla forza o dalla pazienza o dalla saggezza".
Questa mossa arrivò a chi doveva arrivare, al di là del Tevere, per tranquillizzare le acque. Ma servì a Mussolini anche per chiudere la bocca a Giovanni Gentile che sul Corriere della Sera del 30 settembre aveva espresso il proprio laicismo con un articolo piuttosto duro: "La verità è che la famosa conciliazione, tanto vagheggiata da Cavour e da Crispi e dopo, è utopia; e se, come notava il Manzoni, ci sono utopie belle e utopie brutte, questa della conciliazione non è da mettersi tra le prime". Poi il filosofo rincarò la dose: "La conciliazione giuridica sarebbe sì la fine di un dissidio ma sarebbe pure il principio di nuovi dissidi e nuove lotte sullo stesso terreno su cui oggi si svolgono non sempre cordialmente i rapporti tra la Chiesa e gli Stati fuori d'Italia...Nessuna amicizia più travagliata di quella degli amici che hanno qualcosa da dividere!".
Seguirono con un fitto calendario altri incontri, nella massima segretezza, come leggeremo nel discorso alla Camera di Mussolini. Fin quando si giunse alla fatidica data del 11 febbraio del 1929.
"Lunedì prossimo, 11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, avrà luogo la firma dei patti che sanciranno la Conciliazione fra la Chiesa e lo Stato italiano dopo quasi settant'anni di « guerra fredda ».
Questa fu la clamorosa notizia che cominciò a circolare la sera del 7 febbraio 1929; che raggiunse le redazioni dei giornali, ma né il Vaticano né il Governo italiano la confermò. Ed infatti, Mussolini che era stato informato della notizia mise il veto alla pubblicazione. Ci fu perfino una smentita il giorno 8, ma il 10 la notizia era nuovamente nelle redazioni, confermando che il giorno dopo sarebbe avvenuto lo storico evento.
(Si seppe poi in seguito che era stato il cardinale Gasparri ad inviare queste notizie)
Molti corsero in Vaticano perchè si confermasse la notizia, e vollero perfino vedere se c'erano preparativi nella sala dei Papi. Nulla. Giornalisti di tutte le testate e quasi centomila romani stazionarono il giorno 11 a Piazza S. Pietro; ma fino a mezzogiorno non accadde nulla; poi arrivò la notizia.
Infatti, la firma dei patti era avvenuta regolarmente, ma nel palazzo di San Giovanni in Laterano. Presenti nessun giornalista. E tuttavia probabile che il segreto sia stato voluto soprattutto da Mussolini per la ragione che, fino all'ultimo momento, le trattative rischiarono spesso di essere interrotte. Mentre la scelta del luogo è possibile supporre sia stata dal Vaticano dettata da motivi storico-religiosi: il palazzo Laterano, infatti, è quello più legato, fra tutti gli edifici romani, alla storia della Chiesa. Lì ci furono onorate le prime cerimonie sotto l'imperatore Costantino; lì i primi riti ufficiali; lì vennero celebrati alcuni Concilii ecumenici di fondamentale importanza, tra i quali quello del 1215, che stabilì il primato del pontefice romano. E lì, per un millennio, ebbe la sua sede il papato. Furono forse anche ragioni polemiche a suggerire la scelta: nella basilica del Laterano sulle mura del complesso erano ancora visibili i segni delle cannonate sparate dagli italiani nel 1870, in occasione della presa di Roma.
Furono così molto pochi i privilegiati testimoni dello storico avvenimento.
Mussolini vi giunse alle 11 precise. Ad attenderlo trovò monsignor Ercole, l'avvocato Francesco Pacelli e monsignor Borgoncini Duca, il primo nunzio apostolico presso il Quirinale.
Mussolini apparve un po' agitato e imbarazzato; sa che la componente anticlericale, in seno al partito fascista è forte, e sa pure che il suo passato contraddice il solenne atto che ora si accinge a compiere.
Con lui c'è il ministro della Giustizia Alfredo Rocco (che ha seguito le trattative dal punto di vista giuridico in veste di consigliere segreto del capo del governo), il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Francesco Giunta, e il sottosegretario agli Esteri, Dino Grandi
Il cardinale segretario di Stato Gasparri li attende in cima alle scale, attorniato da uno stuolo di monsignori. Indossa una tonaca rossa; Mussolini si china nel saluto e il cardinale accoglie il capo del governo con queste parole: «Eccellenza, alla vigilia dell'anniversario dell'incoronazione del Santo Padre e ai primi vespri della Madonna di Lourdes, le do' il benvenuto nella casa parrocchiale del Papa ».
Mussolini, non essendo preparato ad un saluto di tal genere, non sa che cosa rispondere, sono tutti imbarazzati, tranne gli ecclesiastici che si muovono nei saloni soddisfatti e a loro agio. Mussolini nel vedere lo splendore del palazzo ammira la grandiosità dell'edificio e chiede: « È magnifico. Chi ha avuto l'idea di fare la firma in questo palazzo? ». Nessuno risponde ma l'avvocato Pacelli si china per rivendicarne il merito. Dunque è stato lui a suggerire l'idea a Pio XI, che proprio in quella stessa Basilica è stato consacrato sacerdote nel lontano 20 dicembre 1879.
Nella « Sala dei Papi» o « del Concistoro » è stato preparato un gran tavolo coperto da un tappeto. Al centro del tavolo siedono Gasparri e Mussolini. Alla destra del cardinale prendono posto monsignor Borgoncini Duca, monsignor Pizzardo e l'avvocato Pacelli; alla sinistra di Mussolini il ministro Rocco e poi Giunta e Grandi. Davanti a Gasparri ed a Mussolini i tecnici dell'Istituto LUCE hanno piazzato una macchina da presa. Appena la vede, Mussolini si volta verso Alessandro Sardi, responsabile del « LUCE » e gli dice: « Prima di pubblicare devi farmi vedere... L'avvenimento è troppo importante!».
Prima di cominciare la cerimonia, mentre già le delegazioni sono in piedi intorno al tavolo, il cardinale Gasparri invita Mussolini ad appartarsi con lui. Tutti si guardano con apprensione, chiedendosi se non ci sia qualche ripensamento all'ultimo minuto, ma presto vedono Mussolini assentire sorridendo e il cardinale che lo ringrazia.
Prima viene firmato il Trattato, quindi il Concordato, poi gli allegati e le mappe predisposte sul tavolo. Alla fine Mussolini prende la parola parlando di fossati colmati e di incomprensioni risolte. Anche Gasparri pronuncia poche parole commosse: per lui, come per il Duce, quel giorno segna il coronamento di un lungo sogno. Intanto il capo dell'ufficio stampa dal portone del palazzo esce ad annuncia a due giornalisti presenti che avevano fiutato l'evento e alla folla che nel frattempo è aumentata, l'avvenuta firma dei Patti Lateranensi.
A mezzogiorno è tutto finito. Andandosene, dopo i saluti, Mussolini ordina di diramare la notizia della Conciliazione alla Stefani: ha già disposto che i giornali escano in edizione straordinaria, ovviamente fa lui i titoli, e cosa deve essere messo in risalto (vedi sopra la prima pagina del giornale).
Poi si allontana in macchina. Nello stesso tempo in piazza San Pietro la folla, diventata più numerosa, ha appreso la notizia quasi subito dall'Osservatore romano, che è stato il primo giornale ad uscire in edizione straordinaria. Il cardinale Gasparri aveva dato le opportune istruzioni. Aspettavano in tipografia solo l'avvenuta firma per andare in macchina. Gli altri quotidiani della capitale, invece, escono soltanto nel pomeriggio, giacché sono obbligati a riportare il comunicato della Stefani, con un ampio riassunto del Trattato e del Concordato. Che riportiamo in una sintesi.
"Il Trattato, premesso che le due parti contraenti « hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente », si apre riaffermando «il principio consacrato nell'articolo 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, per il quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato ». Riconosce « alla Santa Sede la piena proprietà e l'esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com'è attualmente costituito », creando così la Città del Vaticano, dichiara che nella medesima non potrà « esplicarsi alcuna ingerenza da parte del governo italiano e che non vi sarà altra autorità che quella della Santa Sede ». La piazza San Pietro, pur facendo parte del territorio della Città del Vaticano, continuerà ad essere normalmente aperta al pubblico e soggetta ai poteri della polizia delle autorità italiane. I confini della Città del Vaticano vengono indicati in una pianta allegata".
"Un altro articolo del Trattato stabilisce che lo Stato italiano provvederà a tutti i servizi pubblici nella Città del Vaticano, compresa una stazione ferroviaria, nonché « al collegamento, direttamente anche con gli altri Stati, dei servizi telegrafici, telefonici, radiotelegrafici, radiotelefonici e postali ». Vengono contemplati altresì ulteriori « accordi tra la Santa Sede e lo Stato italiano per la circolazione nel territorio di quest'ultimo dei veicoli terrestri e degli aeromobili della Città del Vaticano ». Inoltre si precisa che le persone aventi stabile residenza nella Città del Vaticano, sono soggette alla sovranità della Santa Sede. Vengono altresì fissate le franchigie di cui godranno, pur non risiedendo in detta città, « i dignitari della Chiesa, le persone appartenenti alla corte pontificia » e « i funzionari di ruolo dichiarati dalla Santa Sede indispensabili », come pure vengono stabilite le immunità territoriali delle basiliche patriarcali e di alcuni edifici situati fuori della Città del Vaticano, sedi di congregazioni nonché di uffici della amministrazione vaticana. «L'Italia riconosce alla Santa Sede il diritto di legazione attivo e passivo secondo le regole generali del diritto internazionale». «Le altre parti contraenti si impegnano a stabilire tra loro normali rapporti diplomatici, mediante accreditamento di un ambasciatore italiano presso la Santa Sede e di un Nunzio pontificio presso l'Italia, il quale sarà il decano del corpo diplomatico ai termini del diritto consuetudinario riconosciuto dal Congresso di Vienna con atto del 9 giugno 1815 ».
" Viene inoltre stabilito che: « I tesori d'arte e di scienza esistenti nella Città del Vaticano e nel Palazzo Lateranense rimarranno visibili agli studiosi ed ai visitatori ». Un altro articolo del Trattato precisa che: « A richiesta della Santa Sede e per delegazione che potrà essere data nei singoli casi o in modo permanente, l'Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano ». Oltre a ciò: « La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone che si fossero rifugiate nella Città del Vaticano, imputati di atti, commessi nel territorio italiano, che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati ».
"Si dichiara anche che la Santa Sede « vuole rimanere e rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli altri Stati ed ai congressi internazionali indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua potestà morale e spirituale. In conseguenza di ciò la Città del Vaticano sarà sempre ed in ogni caso considerata territorio neutrale ed inviolabile ».
"Segue una dichiarazione finale:
« La Santa Sede ritiene che con gli accordi, i quali sono oggi sottoscritti, le viene assicurato adeguatamente quanto le occorre per provvedere con la dovuta libertà ed indipendenza al governo pastorale della diocesi di Roma e della Chiesa cattolica in Italia e nel mondo; dichiara definitivamente ed irrevocabilmente compiuta e quindi eliminata la questione romana e riconosce il Regno d'Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con Roma capitale dello Stato italiano. Alla sua volta l'Italia riconosce lo Stato della Città del Vaticano sotto la sovranità del Sommo Pontefice. È abrogata la legge 13 maggio 1871 n. 214 e qualunque altra disposizione contraria al presente Trattato ». I punti essenziali dei 45 articoli del Concordato vengono così riassunti dall'agenzia Stefani:
« Anzitutto una dichiarazione per cui in considerazione del carattere sacro di Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico, il governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto con detto carattere.
"Seguono alcune clausole concernenti il libero esercizio del ministero pastorale da parte degli ordinari e degli altri membri del clero, i giorni festivi stabiliti dalla Chiesa e riconosciuti dallo Stato, il funzionamento dell'assistenza spirituale presso le Forze Armate dello Stato, come pure la revisione della circoscrizione delle diocesi, allo scopo di renderla possibilmente corrispondente a quella delle province dello Stato.
"La nuova disciplina del matrimonio religioso
" Viene quindi stabilita la procedura per la nomina degli arcivescovi e dei vescovi in conformità con i più recenti concordati stipulati dalla Santa Sede con altri Stati, nonché il giuramento dei vescovi secondo la formula del concordato con la Polonia.
"Seguono alcuni importanti articoli, coi quali si riforma la legislazione ecclesiastica italiana in armonia col Trattato riconoscendo tra l'altro la personalità giuridica delle congregazioni religiose e la libera gestione dei beni della Chiesa, salvo le vigenti disposizioni delle leggi civili concernenti gli acquisti dei corpi morali. Di particolare importanza è l'articolo che concerne il matrimonio, secondo il quale "lo Stato italiano, volendo ridonare all'istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili. Le pubblicazioni del matrimonio come sopra saranno effettuate, oltre che nella Chiesa parrocchiale, anche nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione il parroco spiegherà ai coniugi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e redigerà l'atto di matrimonio, del quale entro cinque giorni trasmetterà copia integrale al Comune affinché venga trascritto nei registri dello Stato Civile.
"Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici. I provvedimenti e le sentenze relative quando siano divenute definitive, saranno portate al supremo tribunale della Segnatura il quale controllerà che siano state rispettate le norme del diritto canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti. I detti provvedimenti e sentenze definitive coi relativi decreti del supremo tribunale della Segnatura saranno trasmessi alla corte d'appello dello Stato competente per territorio, la quale, con ordinanze emesse in camera di consiglio li renderà esecutivi agli effetti civili ed ordinerà che siano annotati nei registri dello Stato civile a margine dell'atto di matrimonio. Quanto alle cause di separazione personale, la Santa Sede consente che siano giudicate dall'autorità giudiziaria civile».
"Secondo altre disposizioni l'Italia consente che l'insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un altro sviluppo ulteriore nelle scuole medie, secondo programmi da stabilire d'accordo fra la Santa Sede e lo Stato.
"Notevole anche la clausola, secondo la quale lo Stato riconosce le organizzazioni dipendenti dall'Azione Cattolica Italiana, in quanto esse, siccome la Santa Sede ha disposto, svolgono la loro attività al di fuori di ogni partito politico e sotto la immediata dipendenza della gerarchia della Chiesa per la diffusione ed attuazione dei principi cattolici. Verso la fine del Concordato è stabilito che, se in avvenire sorgesse qualche difficoltà sull'interpretazione del medesimo, la Santa Sede e l'Italia procederanno di comune intelligenza ad una amichevole soluzione.
"Secondo la convenzione finanziaria l'Italia si obbliga a versare e la Santa Sede dichiara di accettare, a definitiva sistemazione dei suoi rapporti finanziari con l'Italia, in dipendenza degli avvenimenti del 1870, la somma di lire italiane 750 milioni ed a consegnare tanto consolidato italiano 5% al portatore del valore nominale di italiane lire 1 miliardo, somma che in valoreè, nel suo complesso, di molto inferiore a quella che tutt'oggi lo Stato avrebbe dovuto sborsare alla Santa Sede, solo in esecuzione dell'impegno assunto con. la legge 13 maggio 1871. Tanto il Trattato quanto il Concordato e la convenzione finanziaria non oltre quattro mesi dalla firma saranno sottoposti alla ratifica del Sommo Pontefice e del Re d'Italia ed entreranno in vigore all'atto dello scambio delle ratifiche ».
Non è certo corretto, dal punto di vista storico, cercare nel tripudio della stampa italiana ormai asservita al regime, l'eco genuina che l'annuncio suscita. Comunque bisogna rilevare che quando Mussolini e la sua delegazione lasciano il Laterano, la piccola folla presente nella piazza, li accoglie con un applauso e con grida di evviva. Mentre l'Osservatore romano è ancora in macchina, Pio XI annuncia ai parroci di Roma che i Patti sono stati firmati. Durante l'udienza un monsignore ha sussurrato poche parole al Santo Padre per informarlo che l'accordo è stato firmato e Papa Ratti ha immediatamente intrattenuto i presenti con un discorso che costituisce la primissima valutazione autorevole dell'accordo.
La città è elettrizzata anche grazie alla attenta propaganda del regime, e delle parrocchie. Mentre gli strilloni diffondono le edizioni straordinarie per le vie del centro, alle finestre appaiono le bandiere tricolori. Vengono issati anche i vessilli papali bianco-gialli, che dal 1870 non si vedevano più. La prima bandiera papale è esposta su palazzo Colonna, un'altra pende dalle finestre del palazzo Massimo, il maggiore istituto religioso, tante in Borgo Pio, Castel Sant'Angelo e San Pietro. Un corteo si forma spontaneamente e si dirige verso il Quirinale, dove aspetta che il Re si affacci al balcone. In tutta la vicenda, il ruolo del sovrano è stato secondario. Mussolini si è limitato a tenerlo doverosamente informato della trattativa, ed egli ha letto con la consueta pignoleria tutti i rapporti, controllando perfino negli archivi di Casa Savoia, a Torino, certi precedenti. Ha temuto che lo Stato cedesse troppo, specialmente dal punto di vista territoriale, ma alla fine si è convinto.
Anticlericale accanito, è stato probabilmente l'ultimo a cogliere la portata politica della Conciliazione, così come non era riuscito a capire quella dell'emergere dei partiti di massa. Più tardi confiderà: « Ho compiuto un volo in dirigibile su Roma ed ho visto la zona del Vaticano. È proprio poca cosa. Villa Savoia mi sembra più vasta ».
Oltre il plaudente corteo di cittadini per le vie di Roma, un avvenimento degno di nota, è il ricevimento in serata, a palazzo Colonna. Il principe Colonna è Assistente al Soglio Pontificio, la più alta carica laica della corte papale; la sua famiglia appartiene all'aristocrazia nera, quella che ostinatamente è rimasta fedele all'antico ordinamento che il legittimo sovrano di Roma è il Papa. I saloni del palazzo, che nei secoli è stato testimone di tante vicende storiche, sono rimasti chiusi, per una sessantina d'anni a chi si è compromesso con gli « usurpatori ». A sera il palazzo è illuminato a giorno e sul portone i valletti in costume settecentesco accolgono gli ospiti. Arriva il cardinale Gasparri e tutto il Sacro Collegio, si può dire, si dà convegno nei saloni di palazzo Colonna. Intervengono al ricevimento anche il governatore di Roma Francesco Boncompagni, alcuni gerarchi fascisti e soprattutto, i rampolli dell'aristocrazia nera che, in tutti questi decenni, ha ostentatamente evitato la vita di società. Antiche inimicizie sembrano superate e vecchi screzi paiono dimenticati. « L'uscita dei cardinali (abbandonarono il ricevimento quasi tutti contemporaneamente) assunse un tono spettacolare », scrive un testimone. « Passarono fra le dame inginocchiate, fiancheggiati da numerosi valletti di Casa Colonna incipriati, solenni nelle lussuose livree settecentesche, recanti in mano torce accese, secondo il cerimoniale secolare della corte Pontificia. Sembrava un corteo commemorativo ». E lo era infatti: un'epoca si era chiusa per sempre.
A palazzo Colonna assente era Mussolini. Lui è corso a casa a visionare la pellicola che gli operatori dell'Istituto LUCE hanno girato la mattina durante la cerimonia, e sviluppata in tutta fretta. Guarda con curiosità quelle immagini e - lui che è un giornalista - sa come ricavarne una buona pubblicità distribuendo il film in tutto il mondo.
Quando torna a casa è soddisfatto, felice, orgoglioso, consapevole di avere raggiunto un risultato importante e difficile. L'indomani Mussolini riceve molti telegrammi. Provengono da tutta l'Italia ed anche da tutto il mondo. Tra questi c'è perfino il telegramma di un certo Konrad Adenauer, borgomastro di Colonia, un cattolico che nel dopoguerra contribuirà poi al ristabilimento della democrazia in Germania. Il generale consenso sembra convincere il Re dell'importanza politica dei Patti Lateranensi. Per questo convoca Mussolini a villa Savoia per dimostrargli tangibilmente la propria gratitudine. Pensa di insignirlo con un titolo nobiliare. Ma Mussolini rifiuta: il Duce non può essere che il Duce, non il Conte Mussolini.
Enorme la contentezza tra i cattolici. Ma non vi partecipano tutti. Ci sono quelli che furono sinceramente attaccati al partito di don Sturzo, che pensarono -visto il clamoroso risultato quando scesero in campo- che esso sarebbe assurto in pochi anni a partito di governo, che credettero nella conciliazione della democrazia e del cattolicesimo, e non sanno rassegnarsi alla sconfitta. Forse il dolore è ancora più cocente in alcuni cattolici di fervido convincimento e di rigorosa pratica, ma rimasti fuori dalle organizzazioni, dalla stessa Azione cattolica, e quindi meno piegati all'abito disciplinare ed all'ossequio verso le decisioni pontificie.
Tra i cattolici amareggiati c'è in primo luogo, don Luigi Sturzo che in esilio a Londra, segue con angoscia gli avvenimenti italiani. Il prete siciliano che è stato tra i fondatori del Partito Popolare, una delle menti più lucide del cattolicesimo italiano impegnato nella vita politica, si sente disarmato e abbandonato; non ha altro mezzo per far conoscere le proprie idee che alcuni giornali di nessun valore, pubblicati solo all'estero. E qui, come nelle lettere inviate ai pochi amici rimasti, esprime la propria amarezza scegliendo con cura le parole, combattuto tra la consapevolezza dell'effettivo significato politico della decisione papale e la volontà di restare fedele alla Chiesa. E poi, Alcide De Gasperi, l'uomo che ha raccolto l'eredità di don Sturzo alla guida del Partito Popolare, che ha condotto insieme con gli altri esponenti democratici l'estenuante anche se vana battaglia dell'Aventino, che è stato dichiarato decaduto dal mandato parlamentare dal regime fascista, e volendo lasciare l'Italia, ha passato sedici mesi in carcere accusato di « tentato espatrio clandestino». Ora è costretto a rimanere a Roma per consentire alla polizia fascista di sorvegliarlo. Lavora come traduttore del tedesco e ciò gli consente a malapena di vivere. Per De Gasperi, come giustamente nota Arturo Carlo
Jemolo, "la Conciliazione è un gravissimo errore politico (della Santa Sede) ed una nuova sconfessione del Partito Popolare e dei suoi postulati democratici".
L'11 febbraio 1929 e i giorni successivi, De Gasperi assiste alla processione incessante del popolo verso San Pietro e il suo cuore è pieno d'amarezza: si sente più solo che mai. « Contenti i clerico-papalini », - scrive a un amico, - « contenti i fascisti, contenti i massoni. Mussolini è trionfante ». Oscillando tra amarezza ed obbedienza, De Gasperi medita con dolore. « È troppo tempo che i precetti della dignità vengono trascurati. Insegnare a stare in ginocchio va bene, ma l'educazione clericale dovrebbe anche apprendere a stare in piedi». Anche senza Mussolini, di queste amarezze De Gasperi ne proverà poi ancora: negli anni della ricostruzione democratica e della Repubblica, impegnandosi in un dignitoso braccio di ferro (con Pio XII e LUIGI GEDDA ) per salvaguardare l'autonomia del partito DC dalla Santa Sede.
Ma quanti erano in questo 1929, in Italia, i cattolici come don Sturzo o De Gasperi? Risponde Arturo Carlo Jemolo: « Si tratta di esigue minoranze; la grande maggioranza dei cattolici (parliamo dei cattolici per aderenza alla Chiesa anche sul piano politico, non per il solo fatto del battesimo e del ricorso ai sacramenti) è lieta degli Accordi. A prescindere dall'ostentato entusiasmo dei cattolici non compromessi irrimediabilmente con il fascismo, ma rimasti fino allora in un'attitudine di freddezza, che colgono l'occasione per inserirsi, sta la reale gioia di coloro per i quali pure la traccia di quel dissenso pesava, non solo per il piccolo numero d'imbarazzi e di situazioni equivoche che ancora poteva loro procurare, ma perché in effetto ai loro occhi una bandiera non benedetta dal Papa era una bandiera che cedeva in dignità alle altre. In molti di questi v'è, forse inconscia, la vecchia tenace idea storica di una posizione peculiare dell'Italia, di un suo legame intimo con la Santa Sede: che le impone obblighi particolari, ma le dà anche aspettative e benefici non comuni. Gli Accordi lateranensi debbono ai loro occhi valere a riannodare sotto questo riguardo una tradizione millenaria».
L'importanza storica dei Patti Lateranensi
Ed è in questa luce, che il fatto storico deve essere interpretato per capire appieno il suo valore politico. Per Mussolini i Patti Lateranensi costituiscono lo strumento per assicurarsi un successo difficilmente equiparabile. D'altra parte molti altri statisti avevano tentato di raggiungere un analogo risultato, proprio perché, come lui, avevano compreso l'importanza della pacificazione tra Stato e Chiesa come mezzo per inserire le masse cattoliche, a pieno diritto, nella vita politica del Paese.
Ma per valutare in pieno il successo del fascismo è necessario ripercorrere il tormentato itinerario dei rapporti tra Stato e Chiesa e della difficile trattativa.
(Nel lungo discorso alla Camera (che leggeremo più avanti in tre capitoli),
Mussolini ripercorrerà tutto questo tormentato itinerario).
È certo che all'interno del movimento risorgimentale, dove è possibile riscontrare i primi sintomi della frattura tra i due poteri, le tendenze anticattoliche di molti si erano confuse con le tendenze di quanti, per lo più cattolici praticanti, si proponevano esclusivamente fini politici o di rinnovamento religioso e morale nell'ambito dell'ortodossia cattolica. D'altra parte non è giusto dimenticare, come si fece quando la questione romana divenne rovente, che sul potere temporale dei papi per tutto l'arco del XIX secolo il dibattito restò aperto senza trovare una soluzione. Lo studioso britannico Anthony Rhodes ha messo bene in luce questo aspetto della questione, ricordando alcuni momenti del dibattito.
Il 5 gennaio 1849 Palmerston scrisse all'inviato speciale inglese presso il Vaticano queste osservazioni che riflettevano il pensiero del governo di Londra: « È chiaramente desiderabile che una personalità la quale, nella sua veste spirituale, possiede tanta influenza sulla maggior parte dei Paesi europei, si trovi in una posizione indipendente tale da non poter essere impiegata, quale strumento politico, da alcun Paese europeo a svantaggio di altre potenze. Da questo solo punto di vista è desiderabile che il Papa rimanga sovrano del suo Stato ».
In quegli stessi mesi, mentre il Papa si trovava esule a Gaeta ed a Roma i mazziniani avevano proclamato la repubblica dichiarando decaduto il potere temporale, una commissione politica francese (vi erano rappresentati tutti i partiti politici) giunse ad una conclusione analoga al governo di Londra dichiarando che per il bene universale l'indipendenza del Papa era indispensabile, « né vi erano altre forme di indipendenza che la sovranità ».
Tutto questo aiuta a comprendere perché la repubblica romana mancò di appoggi internazionali e dovette soccombere in conseguenza dell'intervento francese. Ed aiuta a capire anche perché le autorità piemontesi cercarono di temporeggiare quando si trattò di affrontare il nodo della sovranità pontificia. I liberali piemontesi, come Massimo D'Azeglio, avevano perseguito una politica antiecclesiastica opponendosi decisamente alle ingerenze clericali e ai privilegi che risalivano al Medio Evo. Ed era stata proprio tale politica a far diminuire, in Piemonte come nel resto dell'Italia ed anche all'estero, il consenso di molti cattolici per il moto risorgimentale.
Cavour, con la formula - « libera Chiesa in libero Stato » - tentò di superare questo dissidio e di ottenere l'adesione degli antipapali europei, specialmente inglesi, per attuare un regime liberale in Italia. La sua strategia e la sua formula vinsero: l'egemonia piemontese trionfò e portò all'unità nazionale, ma i cattolici parvero esclusi dal tripudio generale.
Ricordiamoci che l'Italia conquistò Roma con un'operazione militare, approfittando di una felice congiuntura internazionale (la guerra franco-prussiana) che privò il pontefice dell'appoggio di Napoleone III. Ma il dissidio tra lo Stato unitario e la Chiesa si approfondì e divenne incolmabile. Pio IX si chiuse per protesta nei palazzi apostolici ed invitò i cattolici italiani a non partecipare alla vita politica del Paese.
Del resto i piemontesi avevano tolto al Papa la maggior parte dei suoi possedimenti (le Marche, l'Umbria e il Lazio) e intendevano togliergli anche Roma.
Il governo italiano, poi conquistò Roma e deliberò una « legge delle guarentigie » (ossia delle garanzie) per «compensare» il Papa della perdita subita. La legge riconosceva al Papa una posizione privilegiata nello Stato italiano ma, tuttavia, al di là delle questioni di ordine giuridico che imponeva (se il Papa l'avesse accettata sarebbe stato costretto a riconoscere lo Stato italiano e quindi ad approvare la conquista di Roma e la conseguente fine del potere temporale), costituiva una iniziativa unilaterale ed era assolutamente impensabile che potesse essere accettata dalla Santa Sede.
La questione romana restò dunque aperta benché la legge delle guarentigie, approvata il 13 maggio 1871, venisse dichiarata dal consiglio di Stato « legge fondamentale » nel 1878. Mai accettata dalla Santa Sede, la legge restò in vigore fino al 1929, fino cioè alla Conciliazione. Non accettandola, il Papa si assicurò la possibilità di non riconoscersi mai soggetto allo Stato italiano. Anzi, nel 1874, invitando i cattolici italiani ad astenersi dalle elezioni politiche, Pio IX mobilitò i fedeli per protestare contro la condizione imposta alla Santa Sede: l'opposizione cattolica era diventata sempre più rigorosa, tant'è vero che l'astensionismo fu sempre sostenuto dall'« Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici », che sorse nel 1875 proprio per coordinare e dirigere le associazioni religiose intransigenti e la stampa cattolica.
L'amarezza di De Gasperi... (è lui stesso a scrivere)
"La reazione dei cattolici ex popolari alla Conciliazione fu negativa. Non sfuggiva a loro che la soluzione della questione romana rinsaldava il regime fascista ormai del tutto liberticida e comprometteva il mondo cattolico (e la Chiesa stessa) con un governo antidemocratico. L'amarezza di questi cattolici traspare dalla lettera di Alcide De Gasperi all'amico don Simone Weber del 12 febbraio 1929:
"... Il pericolo piuttosto è nella politica concordataria. Ne verrà una compromissione della Chiesa come in Spagna con de Rivera, o peggio! Io spero che le esperienze di Pio IX col liberalismo freneranno al giusto certi entusiasmi di fronte al fascismo, in modo che il popolo distingua fra cattolicesimo e fascismo: certo che ora l'esperienza appena comincia. Quando si pensa che le trattative lusinghevoli duravano dal '26 e che nel frattempo il Papa ebbe delle botte assai energiche, bisogna ritenere che ancora più nell'avvenire userà della sua libertà perché le idee non si confondano. È vero in questo momento soffia una cert'aria di romanticismo medioevale che consola. Nei giorni scorsi, in Vaticano, si parlava addirittura del diritto d'investitura che il Papa avrebbe esercitato in confronto del Re d'Italia (per chiudere giuridicamente la questione dei territori) e poiché s'erano smossi certi temi ove sono registrati i secoli - come noi registriamo i giorni nel taccuino dell'anno - i fulgori più fantastici ricomparivano entro le storiche vetrate; e certo il Duce vede la grande impresa oltre che dal punto di vista realista della politica di prestigio anche in un certo nembo romantico che lo cinge della spada di Goffredo e lo corona della tiara di Carlo Magno; e certo questa sera al palazzo Colonna, riaprendo i famosi battenti, qualcuno crederà di riaprire le porte di secoli in cui s'intrecciarono lo scettro e il pastorale. Ma la realtà del sec. XX non tarderà a farsi sentire, le grandi masse ricompariranno dietro allo scenario. Auguriamoci che gli uomini di Chiesa non le perdano mai di vista, perché esse sono la realtà di oggi e di domani. Io lo credo e lo spero, e per questo, lieto che la Chiesa si sia liberata - trionfando sugli altri e su se stessa - della questione romana, non ho paura di riconoscere anche il valore della politica mussoliniana, valore oggettivo; per il resto è giudice Iddio... ».
Alcide De Gasperi
(Dal volume: ALCIDE DE GASPERI, Lettere sul Concordato, Ed. Morcelliana, Brescia 1970).
Del tutto diversa l'opinione del filosofo Carlini nel suo dotto studio "Filosofia e religione nel pensiero di Mussolini" (Ist. Fasc. di Cultura, Roma, XII, pp.38-39). ".... quel che consta è un'impostazione del problema politico religioso in termini del tutto nuovi e fecondi di sviluppi nell'avvenire della coscienza politico-religiosa, non soltanto negli italiani, ma dell'uomo semplicemente, in universale.
Lo stato fascista può, dunque, liberamente riconoscere che, fra tutte le religioni esistenti, quella Cattolica è più delle altre consona alla sua mentalità e ai suoi fini: per la spiritialità ch'è alla base del cristianesimo, e per il senso della vita morale concepita nel Cattolicismo secondo quegli stessi principi di disciplina, di gerarchia, di obbedienza all'autorità, che sono alla base della concezione politica del Fascismo.
Lo Stato ha tutto da guadagnare da questo accordo della coscienza religiosa con la coscienza politica degli italiani".
(A molti il "dotto" studio sembrò un po' troppo eccessivo)
Ora entriamo nel vivo della questione, e leggiamo gli interventi per la ratifica degli accordi..
.... discussi e votati alla Camera e al Senato > > >
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