GIUSEPPE MAZZINI
E
"I DOVERI DELL'UOMO"
Mazzini, i primi anni (1805-1827)
Giuseppe Mazzini nacque a Genova il 22 giugno 1805 da Giacomo Mazzini, ex giacobino, e Maria Drago.
Giacomo era laureato in medicina. Professore all'università di Genova, nel 1823 ebbe la cattedra di Patologia e Igiene e nel 1830 quella di Anatomia e Fisiologia.
A cinque anni la sua educazione cominciò ad essere curata da don Luca Agostino De Scalzi, un sacerdote giansenista.
Nel 1817 Stefano De Gregori, un altro giansenista, preparò Giuseppe per l'ammissione all'università.
A quattordici anni, nel novembre 1919, entrò all'università. Dopo pochi mesi di Giurisprudenza passò a Medicina.
Il 21 giugno 1820 venne arrestato per condotta disordinata, essendo stato implicato in una rissa tra due scuole per i posti in chiesa.
Il 10 marzo 1821 scoppiarono dei moti rivoluzionari in Piemonte. Tumulti si ebbero a Genova dal 20 al 23 marzo.
Il 20 aprile le truppe occuparono l'università, che venne chiusa a tempo indeterminato. Venne riaperta solo nel novembre 1823.
Mazzini ritornò a Giurisprudenza e terminò gli studi nella primavera del 1827, a ventidue anni.
Mazzini, carbonaro (1828-1831)
Si dedicò alla critica letteraria. Nel 1828 scrisse sul settimanale L'indicatore genovese, che venne chiuso dalle autorità piemontesi nel dicembre dello stesso anno.
Mazzini passò a scrivere su L'indicatore livornese, che venne soppresso dal governo toscano.
Nel 1827 venne iniziato alla carboneria ad opera di Raimondo Doria.
Nel 1829 venne promosso al secondo livello della carboneria.
Nel 1830 fondò delle cellule carbonare in Toscana.
Il 13 dicembre 1830 Mazzini, venticinque anni, venne arrestato e imprigionato nel carcere di Savona.
Il 9 gennaio 1831 veniva rilasciato.
Il 28 gennaio un decreto reale diede a Mazzini la possibilità di scegliere tra l'espatrio e il confino. Scelse l'espatrio e partì per la Francia non da esiliato politico ma con regolare passaporto piemontese. Bartolomeo Alberti, zio materno, cittadino francese, accompagnò il nipote prima a Ginevra e poi a Parigi.
Mazzini, esule in Francia (1831-1833)
Mazzini, ventisei anni, entrò in contatto con gli esuli politici e alla fine di febbraio del 1831 si recò a Lione, dove si erano radunati i congiurati per entrare nella Savoia.
Il 26 febbraio i francesi disarmarono i duemila esiliati.
Mazzini si diresse a Tolone e poi a Marsiglia dove si imbarcò per la Corsica in cui si preparava un'altra spedizione a supporto dei patrioti in rivolta nella pianura padana.
I genitori rintracciarono Giuseppe e lo invitarono a raggiungere lo zio che lo aspettava a Marsiglia.
A Marsiglia Mazzini prese contatto con altri esiliati. I genitori, dopo un consulto con lo zio, decisero di continuare a sostenerlo economicamente.
Nell'aprile del 1831 Mazzini entrò nella società segreta degli apofasimeni, guidata dal Carlo Bianco de Saint-Jorioz, un nobile ufficiale piemontese.
Il Bianco mise in contatto Mazzini con Filippo Buonarroti, un pisano che aveva preso parte alla rivoluzione francese.
Nel luglio 1831 Mazzini fondò la Giovine Italia, che in parte era un moderno partito politico e in parte un movimento segreto. Finanziatori erano ricchi emigrati lombardi che speravano di poter recuperare i loro possedimenti sequestrati con la caduta del governo austriaco.
Accanto a Mazzini furono anche esiliati del ducato di Modena e alcuni veneziani.
Nell'ottobre del 1831 la polizia piemontese comunicò alla famiglia Mazzini che Giuseppe doveva considerarsi bandito dal regno. Se fosse tornato a casa sarebbe stato arrestato.
Nel marzo 1832 iniziarono le pubblicazioni del giornale Giovine Italia.
Nell'agosto del 1832 nacque Joseph Démosthène Adolphe Aristide, figlio della nobile milanese Giuditta Bellerio e quasi sicuramente di Giuseppe Mazzini. Joseph morì nel 1835.
Nell'agosto dello stesso anno il governo francese ordinò a Mazzini di lasciare la Francia. Per un anno Mazzini rimase sul suolo francese sfuggendo alla polizia, poi nel luglio 1833 partì per Ginevra.
Mazzini, esule in Svizzera (1833-1837)
Da Ginevra Mazzini organizzò un attacco alla Savoia. Il 10 ottobre 1833 si accordò con l'ufficiale genovese Gerolamo Ramorino, che affermava di essere stato capitano nell'armata di Napoleone.
Due colonne dovevano partire dalla Francia, due dalla Svizzera. Genova doveva insorgere.
Il 1° febbraio 1834 poche centinaia di uomini si misero in marcia. Fu un fallimento completo.
Ramorino si dimostrò assolutamente negligente, forse volutamente. La popolazione non insorse. Anche a Genova la ribellione non ebbe luogo. Giuseppe Garibaldi, allora di ventisette anni, disertò inutilmente dalla marina piemontese e dovette rifugiarsi all'estero.
Il 15 aprile 1834 a Ginevra venne fondata la Giovine Europa.
Nel 1835 Mazzini scrisse Fede e Avvenire.
Nel 1836 scrisse La filosofia della musica.
Il 28 maggio 1836 Mazzini venne arrestato dagli svizzeri. L'arresto non durò più di un giorno, ma ormai la situazione si stava facendo sempre più difficile.
All'inizio del 1837 Mazzini lasciò la Svizzera per recarsi in Inghilterra.
Mazzini, esule a Londra (1837-1848)
Il 12 gennaio 1837, trentadue anni, Mazzini arrivò a Londra.
Pubblicò alcuni articoli sul quotidiano francese Le Monde, allora diretto da Lamennais.
Sulla London and Westminster Review di John Stuart Mill scrisse di letteratura italiana.
Il 30 aprile 1840 annunciò la rinascita della Giovine Italia, che venne affiancata dalla Unione degli operai italiani.
Il 10 novembre 1841 venne inaugurata la Libera scuola per i lavoratori.
Nel 1842 entrò in contatto con la Christian Alliance, una organizzazione protestante americana. Mazzini avrebbe contrabbandato Bibbie in Italia e con il denaro ricavato avrebbe comprato armi.
Nell'agosto del 1842 Mazzini stabilì delle comunicazioni con Attilio Bandiera, veneto, ufficiale della marina austriaca. Anche il fratello minore Emilio era un indipendentista, a differenza del loro padre, un ammiraglio austriacante.
Nel luglio 1844, sulla base di informazioni totalmente errate, i fratelli Bandiera ed altri diciannove compagni, sbarcarono in Calabria. Le truppe napoletane li intercettarono immediatamente. I due fratelli e altri sette patrioti vennero messi a morte. Le lettere di Mazzini ai Bandiera erano state intercettate dal governo inglese che aveva provveduto ad informare gli austriaci.
Nell'ottobre del 1845 venne lanciato il National Fund for Action, una raccolta di fondi per la liberazione dell'Italia.
Nell'aprile del 1847 venne annunciata la People's International League, una iniziativa educativa.
Il 12 ottobre Mazzini si recò per due mesi a Parigi. Avvertì che qualcosa si stava muovendo in Europa.
Nel gennaio 1848 Palermo insorse contro i Borbone. Re Ferdinando concesse la costituzione.
In febbraio a Parigi scoppiò la rivoluzione.
Mazzini inviò Giacomo Medici in Uruguay per chiedere a Giuseppe Garibaldi di ritornare in Italia con mille volontari.
Il 4 marzo Carlo Alberto, re di Piemonte e Sardegna, concesse la costituzione.
Milano e Venezia insorsero.
Carlo Alberto dichiarò guerra all'Austria.
Mazzini, a Milano (aprile-agosto 1848)
Il 1° marzo Mazzini lasciò Londra per Parigi, poi rientrò a Londra.
Alla notizia della rivolta dei milanesi si precipitò a Parigi.
Ottenne l'appoggio di Alphonse de Lamartine, capo del governo provvisorio repubblicano francese.
Mazzini rientrò in Italia il 7 aprile. L'8 arrivò a Milano. Fu accolto come un trionfatore da una folla osannante.
Tra gli altri erano presenti Nino Bixio e Goffredo Mameli.
Carlo Alberto lo invitò a candidarsi per il nuovo parlamento.
Mazzini prese parte alle sedute del governo provvisorio milanese.
Figura di spicco lombarda era Carlo Cattaneo, repubblicano, economista, poco incline agli slanci religiosi di Mazzini.
Altro personaggio importante era Giuseppe Ferrari, economista, repubblicano, filofrancese.
Ferrari indisse un incontro tra i repubblicani per il 30 aprile 1848.
Il governo provvisorio, in mano ai moderati, era favorevole all'annessione al Piemonte.
Cattaneo e Ferrari si dichiararono favorevoli ad un ritorno dell'Austria piuttosto che cadere sotto il governo militarista ed economicamente arretrato piemontese.
Mazzini cercò vanamente di mediare.
Il giorno del Corpus Domini Mazzini prese parte alla cerimonia religiosa.
L'8 giugno una vasta maggioranza votò per l'annessione al Piemonte.
Mazzini si era opposto al plebiscito per l'annessione in tempo di guerra.
In breve Mazzini era riuscito a farsi nemici i repubblicani che lo sospettavano di essere filopiemontese, ed i monarchici sabaudi che lo sospettavano di essere un estremista repubblicano.
La sconfitta piemontese del 25 luglio a Custoza e l'armistizio del 5 agosto riunì i repubblicani che non volevano accettare l'armistizio e proponevano una estrema difesa della città.
Intanto era arrivato Garibaldi con sessanta volontari.
Mazzini ordinò a Garibaldi di liberare Bergamo e Brescia.
Il 30 luglio Garibaldi uscì da Milano con duecento volontari.
Altri trecento repubblicani guidati da Giacomo Medici raggiunsero Garibaldi. Mazzini si unì a loro come soldato semplice.
Fino al 9 agosto Mazzini combatté al fianco di Garibaldi portando la bandiera del battaglione. Poi si trasferì a Lugano, in Svizzera, per organizzare i rinforzi.
Dopo tre settimane anche Garibaldi riparò in Svizzera.
Mazzini, esule in Svizzera (agosto 1848-gennaio 1849)
Il governo svizzero cercò di espellere Mazzini, che tuttavia riuscì a trattenersi in territorio elvetico per alcuni mesi.
Il 13 dicembre 1848 morì Giacomo Mazzini.
Il 6 gennaio 1849 Mazzini lasciò la Svizzera per Marsiglia.
Mazzini, in Toscana (febbraio 1849)
Appena arrivato nella città di mare Mazzini, quarantaquattro anni, seppe di essere stato eletto all'assemblea costituente della Repubblica Romana.
Il 6 febbraio 1849 partì da Marsiglia per Livorno dove arrivò l'8 febbraio.
Si recò a Firenze, controllata dai repubblicani Guerrazzi e Montanelli.
Mazzini avrebbe voluto unire Roma e Firenze.
Il 18 febbraio proclamò le sue intenzioni alla folla.
Guerrazzi affossò ogni speranza di unione con Roma.
Mazzini lasciò Firenze per Roma.
Mazzini, a Roma (marzo-luglio 1849)
Il 5 marzo Mazzini entrò in Roma da Porta del popolo.
Il giorno dopo entrò nell'assemblea costituente come semplice rappresentante.
Il 29 marzo arrivò la notizia che l'esercito piemontese era stato sconfitto a Novara il 23 marzo.
Venne costituito un triumvirato con Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi.
La Repubblica Romana venne riconosciuta solo dagli Stati Uniti d'America.
Luigi Bonaparte, presidente della Repubblica Francese, dichiarò che avrebbe impedito l'espandersi dell'influenza in Italia dell'Austria in caso di sconfitta del Piemonte.
Mazzini cadde nella trappola. Credette che le truppe francesi sbarcate il 25 aprile a Civitavecchia fossero di sostegno alla Repubblica Romana.
Garibaldi si impegnò nella difesa di Roma contro le truppe francesi che il 30 aprile attaccarono dal lato del Gianicolo.
Mazzini intraprese trattative con il plenipotenziario francese Lesseps. Ma sia Lesseps che Mazzini vennero ingannati da Luigi Bonaparte. In realtà alla Francia serviva tempo per trasferire altre truppe a Civitavecchia.
Il 17 maggio Mazzini e Lesseps definirono un primo accordo.
Il 31 maggio l'accordo venne perfezionato e firmato.
Il primo giugno i francesi annunciarono che avrebbero ripreso le ostilità il 4 giugno.
Il 3 giugno attaccarono di sorpresa.
Garibaldi difese disperatamente Roma.
Il 30 giugno Garibaldi annunciò che era impossibile continuare a difendere la città.
Il 2 luglio quattromila uomini, sotto la guida di Garibaldi, iniziarono la famosa ritirata che si concluse tragicamente con la morte di Anita nella pineta di Ravenna.
Mazzini rimase a Roma fino al 13 luglio.
Il 16 luglio con un passaporto americano si imbarcò a Civitavecchia per Marsiglia, da dove ripartì immediatamente per Ginevra.
Mazzini, esule a Londra (luglio 1849-luglio 1859)
Gli svizzeri volevano espellerlo e i sabaudi volevano rapirlo per processarlo a Torino.
Il tentativo di rapimento fallì. Mazzini si trasferì a Losanna. Con lui erano Aurelio Saffi e Carlo Pisacane.
Venne costituita la Associazione nazionale italiana allo scopo di raccogliere fondi necessari per il nuovo giornale Italia del popolo.
L'Italia del popolo venne pubblicata dal settembre 1849 al febbraio 1851.
In Piemonte, nel 1849, era stano nominato capo del governo Massimo D'Azeglio, un patriota aristocratico che odiava Mazzini. Rimarrà al potere fino al 1852.
Nel maggio 1850 Mazzini si trasferì a Parigi in attesa di una rivoluzione, che non scoppiò, contro Luigi Napoleone.
Alla fine di maggio del 1850 Mazzini raggiunse Londra.
Venne costituita la Friends of Italy Society.
A Londra si stabilì il Comitato nazionale italiano, formato da Mazzini, Mattia Montecchi e Aurelio Saffi, una specie di governo in esilio della Repubblica Romana.
Il Comitato democratico europeo si occupò di raccogliere fondi per la liberazione di tutte le popolazioni d'Europa oppresse.
Nel gennaio del 1852 gli austriaci arrestarono Enrico Tazzoli e provocarono gravi danni alla rete mazziniana della Lombardia.
Il 9 agosto 1852 morì Maria Drago, la madre di Giuseppe Mazzini.
Nel novembre del 1852 Cavour successe a D'Azeglio.
L'8 gennaio 1853 Mazzini giunse a Lugano per organizzare una cospirazione antiaustriaca in Lombardia.
Il 9 febbraio la rivoluzione a Milano fallì. Mazzini ritornò a Londra.
Nella primavera dl 1853 venne costituito il Partito d'azione, che aveva per motto "Cospirare per fare".
Nell'autunno 1853 venne tentata da Felice Orsini, con l'accordo di Mazzini, una insurrezione in Lunigiana, da dove si pensava di sollevare i ducati di Parma e Modena, la Toscana e il Regno di Sardegna. Per due volte si tentò inutilmente di sbarcare poi si dovette rinunciare.
Nel 1854 Mazzini si recò in Svizzera. Una spedizione di Felice Orsini in maggio si concluse con l'arresto del patriota da parte degli austriaci.
Il 28 aprile 1855 un mazziniano, Giovanni Pianori, sparò all'imperatore Napoleone III, che non era altro che l'ex presidente della Repubblica Francese Luigi Bonaparte. L'attentato non ebbe successo e Pianori fu ghigliottinato.
Nel maggio 1857 Mazzini si recò di nascosto a Genova per organizzare una spedizione nel sud dell'Italia. Garibaldi aveva rifiutato di parteciparvi. Il comando venne preso da Carlo Pisacane.
I congiurati partirono da Genova alla fine di giugno. Sbarcarono a Sapri. Vennero immediatamente uccisi o fatti prigionieri. Pisacane si suicidò. Mazzini venne condannato a morte in contumacia. Cavour lo definì "il capo di un'orda di feroci e fanatici assassini".
Tornato a Londra, Mazzini fondò il giornale Pensiero e Azione.
Il 14 gennaio 1858 Felice Orsini, fuggito dalla fortezza di Mantova dove era prigioniero degli austriaci, fece un attentato contro Napoleone III, che uscì illeso dalla deflagrazione della bomba. Mazzini fu sospettato di aver appoggiato l'attentatore, ma molto probabilmente non ebbe alcuna parte nel progetto.
Mazzini, a Firenze (agosto-settembre 1859)
Il 29 aprile 1859 l'Austria dichiarò guerra al Piemonte. La Francia scese a fianco del Piemonte. Aveva inizio la seconda guerra d'indipendenza.
L'11 luglio venne firmato l'armistizio tra austriaci e francesi. La Lombardia venne annessa al Piemonte. Cavour si dimise perché, in disaccordo con re Vittorio Emanuele II, avrebbe voluto proseguire la guerra e liberare il Veneto.
Alla fine di luglio Mazzini partì da Londra diretto in Italia.
A Milano trovò i patrioti in festa per l'annessione al Piemonte. I trionfatori erano Napoleone III e Vittorio Emanuele II.
L'8 agosto Mazzini giunse a Firenze, dove era stato costituito un governo provvisorio con a capo il barone Bettino Ricasoli. Inviso alle autorità, dovette nascondersi e vivere sotto falso nome, tuttavia la polizia ebbe ordine di non arrestarlo.
Mazzini avrebbe voluto far partire dalla Toscana una spedizione per liberare la Sicilia.
A settembre Ricasoli indusse Mazzini a lasciare Firenze.
Il genovese si recò a Lugano da dove cercò inutilmente di convincere Garibaldi a porsi a capo di una spedizione nello Stato Pontificio.
Mazzini, esule a Londra (dicembre 1859-aprile 1860)
A dicembre 1859 Mazzini tornò a Londra, dove rimase fino ad aprile 1860.
Nel gennaio 1860 Cavour tornò al governo.
In aprile i mazziniani Pilo e Corrao partirono per sostenere una rivolta in Sicilia. I moti siciliani dovevano preparare l'arrivo di Garibaldi.
Mazzini, a Genova (maggio-agosto 1860)
Ai primi di maggio Garibaldi partì da Quarto, ma i mazziniani, repubblicani convinti, durante il viaggio abbandonarono la spedizione. Non erano assolutamente d'accordo di andare a combattere in nome di Vittorio Emanuele II. Infatti il motto di Garibaldi era "Italia e Vittorio Emanuele". Quello di Mazzini era "Italia una e libera".
Mazzini arrivò a Genova subito dopo la partenza dei Mille.
Venne progettata una spedizione su Napoli, passando da Roma.
Le migliaia di volontari che si stavano radunando a Genova non sapevano se sarebbero partiti per Roma o per la Sicilia. Cavour riuscì a farli partire per la Sicilia. Mazzini dovette rinunciare al suo progetto.
Mazzini, a Napoli (settembre-dicembre 1860)
Il 7 settembre Garibaldi arrivò a Napoli.
Mazzini vi arrivò il 17 settembre.
Dopo una lunga anticamera riuscì a parlare con Garibaldi per dieci minuti.
Venne tenuto accuratamente lontano da ogni centro di potere.
Fondò il giornale Il popolo d'Italia.
Pubblicò una raccolta di scritti precedenti riordinati per dare una visione complessiva del suo pensiero.
A Teano Garibaldi venne estromesso da Vittorio Emanuele II.
Il 5 novembre Mazzini, cinquantacinque anni, e Garibaldi, cinquantatre anni, si incontrarono per stabilire una comune linea di condotta:
- liberazione di Roma e Venezia a primavera
- rovesciamento del governo Cavour.
Mazzini avrebbe operato per raccogliere i fondi necessari all'impresa e avrebbe svolto opera di propaganda per preparare l'opinione pubblica.
Garibaldi avrebbe avuto il comando militare.
La questione istituzionale, monarchia o repubblica, venne rinviata a dopo l'unificazione dell'Italia.
Mazzini nel dicembre 1860 ritornò a Londra.
Mazzini, esule a Londra (dicembre 1860-luglio 1868)
A Londra Mazzini creò la Associazione unitaria italiana.
Nel giugno del 1861 Cavour morì. Il nuovo capo del governo fu il barone Bettino Ricasoli.
Nella primavera del 1862 Mazzini e Garibaldi fondarono la Società di emancipazione che aveva lo scopo di promuovere l'unità nazionale e la guerra popolare. Ma i due si divisero sulle priorità. Mazzini avrebbe voluto liberare prima il Veneto e Garibaldi prima Roma.
Nel maggio 1862 Mazzini fondò l'associazione Falange sacra, che avrebbe dovuto svolgere azioni rivoluzionarie.
Nell'estate del 1862 Garibaldi sbarcò in Sicilia con l'idea di raggiungere Roma passando da Napoli. Mazzini si schierò al suo fianco cercando di provocare l'ammutinamento nell'esercito piemontese inviato a fermare Garibaldi.
Il 29 agosto 1862, in Aspromonte, Garibaldi venne ferito dai sabaudi e l'impresa ebbe termine. Mazzini ricevette la notizia a Lugano dove si era recato per seguire da vicino l'impresa. Tornò a Londra.
Nel maggio 1863 Mazzini tornò a Lugano per dirigere operazioni rivoluzionarie in Veneto. Ad agosto tornò a Londra.
Nel dicembre 1863, Pasquale Greco, un mazziniano, tentò di uccidere Napoleone III.
Il 3 aprile 1864 Garibaldi arrivò a Londra. Vi rimase fino al 28 aprile.
Il 28 settembre 1864 si riunì a Londra la Associazione internazionale degli operai, successivamente nota come Prima Internazionale. Mazzini mandò un suo rappresentante con un documento. Karl Marx, che viveva a Londra, si offrì di rivederla. La riscrisse completamente lasciando solo qualche vaga frase mazziniana sui diritti e i doveri.
Marx era sarcastico nei confronti di Mazzini. Mazzini semplicemente ignorava Marx. Nell'aprile del 1865 Marx riuscì a far espellere i delegati mazziniani dal consiglio generale della Prima Internazionale.
Il 20 giugno 1866 il governo sabaudo dichiarò guerra all'Austria. Ebbe inizio la terza guerra d'indipendenza.
Il 21 giugno Garibaldi vinse a Bezzecca.
Il 24 giugno i generali Alfonso La Marmora ed Enrico Cialdini vennero sconfitti a Custoza.
A metà luglio Mazzini si trasferì a Lugano.
Il 20 luglio l'ammiraglio Persano venne sconfitto a Lissa.
Nel settembre 1866 Mazzini creò l'Alleanza repubblicana universale. Ad essa venne affiliata l'Alleanza repubblicana italiana.
Il 3 ottobre il Veneto, con la pace di Vienna, veniva unito all'Italia.
Ad ottobre Mazzini ritornò a Londra.
Nell'agosto 1867, per sostenere l'imminente azione di Garibaldi su Roma, Mazzini si trasferì a Lugano.
Ad ottobre i volontari garibaldini entrarono nello Stato Pontificio.
Il 3 novembre a Mentana un esercito francese sconfisse Garibaldi.
Mazzini tornò a Londra.
Mazzini, ultimi anni (agosto 1868-marzo 1872)
Nell'agosto 1868 Mazzini si recò a Lugano in attesa di ulteriori eventi in Italia.
Nel giugno 1869 la Svizzera, su richiesta del governo italiano, espulse Mazzini, sospettato di aver promosso disordini e un attentato a Vittorio Emanuele II.
Mazzini, sessantaquattro anni, in agosto ritornò di nascosto in Svizzera, e per sedici mesi visse clandestinamente.
Il 14 agosto 1870 giunse a Palermo con un falso passaporto inglese. La polizia lo aspettava. Venne imprigionato a Gaeta.
Il 20 settembre Roma venne conquistata dalle truppe italiane.
Mazzini fondò un nuovo quotidiano: La Roma del Popolo.
La notizia che Garibaldi stava combattendo per la repubblica francese, gli ridiede speranza.
Il 13 ottobre, in seguito ad una amnistia generale, Mazzini venne rilasciato. Protestò perché non voleva la clemenza del re.
Si recò immediatamente a Roma. Proseguì per Livorno, Genova, Lugano ed infine Londra.
Fino al febbraio 1871 rimase a Londra. Poi ripartì per Lugano. A Basilea ebbe come compagno di viaggio Friedrich Nietzsche, a cui fece una profonda impressione.
Mazzini continuò a viaggiare: Lugano, Milano, Genova, Firenze, Livorno, Pisa. Era sempre seguito dalla polizia, nonostante utilizzasse nomi falsi e si atteggiasse a turista tedesco, a mercante ebreo, a gentiluomo inglese.
La notizia della Comune di Parigi, nella primavera del 1871, lo confermò nella sua opposizione al movimento socialista.
Nella prima settimana di febbraio del 1872 Mazzini, ammalato, per trovare un clima migliore di quello di Lugano si recò a Pisa, dove fu ospite di Janet Nathan Rosselli.
Le sue condizioni di salute si aggravarono e la morte giunse il 10 marzo 1872. Giuseppe Mazzini aveva 67 anni.
Giuseppe Mazzini
I DOVERI DELL'UOMO
(estratti)
I
Introduzione
Io voglio parlarvi dei vostri doveri. Voglio parlarvi, come il core mi detta, delle cose più sante, che noi conosciamo, di Dio, dell'umanità, della Patria, della Famiglia.
Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti?
Da cinquanta anni in poi, tutto quanto s'è operato pel progresso e pel bene contro ai governi assoluti o contro l'aristocrazia del sangue, s'è operato in nome dei Diritti dell'uomo, in nome della libertà come mezzo e del benessere come scopo alla vita.
Ciascun uomo prese cura dei propri diritti e del miglioramento della propria condizione, senza cercare di provvedere all'altrui; e quando i proprii diritti si trovarono in urto con quelli degli altri, fu guerra: guerra non di sangue, ma d'oro e di insidie: guerra meno virile dell'altra, ma egualmente rovinosa: guerra accanita, nella quale i forti per mezzi schiacciano inesorabilmente i deboli o gli inesperti. In questa guerra continua, gli uomini si educarono all'egoismo e alla avidità dei beni materiali esclusivamente.
A questo siamo oggi, grazie alla teoria dei diritti.
Certo esistono diritti; ma dove i diritti di un individuo vengono a contrasto con quelli di un altro, come sperare di conciliarli, di metterli in armonia, senza ricorrere a qualche cosa superiore a tutti i diritti. E dove i diritti di un individuo, di molti individui, vengono a contrasto coi diritti del paese, a che tribunale ricorrere?
I diritti appartengono eguali ad ogni individuo: la convivenza sociale non può crearne uno solo. La Società ha più forza, non più diritti dell'individuo.
Colla teoria dei diritti possiamo insorgere e rovesciare gli ostacoli; ma non fondare forte e durevole l'armonia di tutti gli elementi che compongono la Nazione.
Colla teoria della felicità, del benessere dato per oggetto primo alla vita, noi formeremo uomini egoisti, adoratori della materia, che porteranno le vecchie passioni nell'ordine nuovo e lo corromperanno pochi mesi dopo.
Si tratta dunque di trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria, che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli ai loro fratelli senza farli dipendenti dall'idea d'un solo o dalla forza di tutti. E questo principio è il DOVERE.
Bisogna convincere gli uomini ch'essi, figli d'un solo Dio, hanno ad essere qui in terra esecutori d'una sola legge - che ognuno d'essi deve vivere, non per sé, ma per gli altri che lo scopo della loro vita non è quello d'essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi e gli altri migliori - che il combattere l'ingiustizia e l'errore a benefizio dei loro fratelli e dovunque si trova, è non solamente diritto, ma dovere: dovere da non negligersi senza colpa dovere di tutta la vita.
II
Dio
L'origine dei vostri Doveri sta in Dio.
La definizione dei vostri Doveri sta nella sua Legge.
La scoperta progressiva e l'applicazione della sua Legge appartengono all'Umanità.
Dio esiste. Noi non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo ci sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. Dio esiste perché noi esistiamo. Dio vive nella nostra coscienza, nella coscienza dell'Umanità, e nell'Universo che ci circonda.
Non vi sono atei fra voi: se ve ne fossero, sarebbero degni non di maledizione, ma di compianto.
Avete, da una parte, una gente che vi dice: «Sta bene: Dio esiste; ma voi non potete più che ammetterlo ed adorarlo. La relazione tra lui e gli uomini, nessuno può intenderla o dichiararla. È questione da dibattersi fra Dio medesimo e la vostra coscienza. Pensate intorno a questo ciò che volete, ma non proponete la vostra credenza ai vostri simili; non cercate d'applicarla alle cose di questa terra. La politica è una cosa, la religione un'altra. Non le confondete.»
Avete d'altra parte uomini che vi dicono: «Dio esiste; ma così grande, troppo superiore a tutte le cose create, perché voi possiate sperar di raggiungerlo coll'opere umane. Che v'importa se voi vivete quaggiù in un modo o in un altro? Siete destinati a morire; e Dio vi giudicherà secondo i pensieri che avrete dato, non alla terra, ma a Lui. Soffrite? Benedite al Signore che vi manda quei patimenti. L'esistenza terrena è una prova.»
Di quei che così vi parlano, i primi non amano Dio; i secondi non lo conoscono.
L'uomo è uno, direte ai primi. Voi non potete troncarlo in due, e far sì ch'egli concordi con voi nei principii che devono regolare l'ordinamento della Società quand'ei differisca intorno all'origine sua, ai suoi destini e alla sua legge di vita quaggiù. Le religioni governano il mondo.
Ad ogni progresso delle credenze religiose, noi possiamo mostrarvi corrispondente alla storia dell'Umanità un progresso sociale: alla vostra dottrina d'indifferenza in fatto di religione, voi non potete mostrarci altra conseguenza che l'anarchia.
Vogliamo educazione: come darla o riceverla, se non in virtù d'un principio che contenga l'espressione delle nostre credenze sull'origine, sul fine, sulla legge di vita dell'uomo su questa terra?
Vogliamo educazione comune: come darla o riceverla, senza una fede comune?
Vogliamo formare Nazione: come riescirvi, se non credendo in uno scopo comune, in un dovere comune?
E donde possiamo noi dedurre un dovere comune? se non dall'idea che ci formiamo di Dio e della sua relazione con noi?
Agli altri che vi parlano del Cielo, scompagnandolo dalla Terra, voi direte che cielo e terra sono, come la via e il termine della via, una cosa sola. Non dite che la terra è fango: la terra è Dio: Dio la creava perché per essa salissimo a Lui. La terra non è un soggiorno di espiazione o di tentazione: è il luogo del nostro lavoro per un fine di miglioramento, del nostro sviluppo verso un grado d'esistenza superiore.
La vita d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'essere preparazione all'altro, ogni sviluppo temporaneo deve giovare allo sviluppo continuo ascendente alla vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella Umanità complessiva che cresce coll'Opera di ciascuno di noi.
V'ho parlato di Doveri: v'ho insegnato che la sola conoscenza dei vostri Diritti non basta a guidarci durevolmente sulle vie del bene, non basta a darvi quel miglioramento progressivo, continuo, nella vostra condizione, che voi cercate: or bene, senza Dio, donde il Dovere? senza Dio, voi, a qualunque sistema civile vogliate appigliarvi, non potete trovare altra base che la Forza cieca, brutale, tirannica.
Il grido che suonò in tutte le grandi rivoluzioni, il grido Dio lo vuole! Dio lo vuole! delle Crociate, può solo convertire gl'inerti in attivi, dar animo ai paurosi, entusiasmo di sacrifizio ai calcolatori, fede a chi respinge col dubbio ogni umano concetto. Provate agli uomini che l'opera d'emancipazione e di sviluppo progressivo alla quale voi li chiamate, stia nel disegno di Dio: nessuno si ribellerà. Provate loro che l'opera terrestre da compirsi quaggiù è essenzialmente connessa colla loro vita immortale: tutti i calcoli del momento spariranno davanti all'importanza dell'avvenire. Senza Dio, voi potete imporre, non persuadere: potete essere tiranni od oppressori alla volta vostra, non Educatori ed Apostoli.
Dio lo vuole, Dio lo vuole! È grido di popolo, o fratelli; è grido del vostro popolo, grido nazionale Italiano.
III
La Legge
Non c'è vita senza legge.
Dio v'ha dato la vita; Dio v'ha dunque data la legge; Dio è l'unico Legislatore della razza umana. La sua legge è l'unica alla quale voi dobbiate ubbidire.
Le leggi umane non sono valide e buone se non in quanto vi si uniformano, spiegandola ed applicandola: sono tristi ogni qual volta la contradicono o se ne discostano: ed è non solamente vostro diritto, ma vostro dovere disubbidirle e abolirle.
Chi meglio spiega ed applica ai casi umani la legge di Dio, è vostro capo legittimo: amatelo e seguitelo.
Nella coscienza della vostra legge di vita, della LEGGE DI DIO, sta dunque il fondamento della morale, la regola delle vostre azioni e dei vostri doveri, la misura della vostra responsabilità: in essa sta pure la vostra difesa contro le leggi ingiuste che l'arbitrio d'un uomo o di più uomini può tentare d'imporvi. Voi non potete, senza conoscerla, prender nomi o diritti d'uomini.
Tutti i diritti hanno la loro origine in una legge, e voi, ogni qual volta non potete invocarla, potete essere tiranni o schiavi, non altro: tiranni se siete forti, schiavi dell'altrui forza se siete deboli.
Ad essere uomini, vi bisogna conoscere la legge che distingue la natura umana da quella dei bruti, delle piante, dei minerali, e conformarvi le vostre azioni.
Or, come conoscerla?
È questa la dimanda che in tutti i tempi l'Umanità ha indirizzato a quanti hanno pronunziato la parola: legge, doveri; e le risposte sono anch'oggi diverse.
Gli uni hanno risposto mostrando un Codice, un libro e dicendo: «Qui dentro è tutta la legge morale.»
Gli altri hanno detto: «Ogni uomo interroghi il proprio core; ivi sta la definizione del bene e del male.»
Altri ancora, rigettando il giudizio dell'individuo, ha invocato il consenso universale, e dichiarato che dove l'umanità concorda in una credenza, quella è la vera.
Erravano tutti.
Quei che affermano trovarsi in un libro o sulla bocca d'un solo uomo tutta quanta la legge morale, dimenticano che non v'è codice dal quale l'Umanità, dopo una credenza di secoli, non si sia scostata per cercarne e ispirarne un'altro migliore, e che non v'è ragione, oggi specialmente, di credere che l'Umanità cangi di metodo.
A quel che sostengono la sola coscienza dell'individuo essere la norma del vero e del falso, ossia del bene e del male, basta ricordare, che nessuna religione, per santa che fosse, è stata senza eretici, senza dissidenti convinti e presti ad affrontare il martirio in nome della loro coscienza.
E d'altra parte, agli uomini che rinnegano la testimonianza della coscienza dell'individuo per richiamarsi unicamente al consenso dell'Umanità in una credenza, basta ricordare come tutte le grandi idee che migliorano l'Umanità, cominciarono a manifestarsi in opposizione a credenze che l'Umanità consentiva, e furono predicate da individui che l'Umanità derise, perseguitò, crocefisse.
Ciascuna dunque di queste norme è insufficiente a ottenere la conoscenza della LEGGE DI DIO, della Verità! E nondimeno, la coscienza dell'individuo è santa: il consenso comune dell'Umanità è santo: e chiunque rinunzia a interrogare questo o quella, si priva d'un mezzo essenziale per conoscere la verità.
L'errore generale fin qui è stato quello di volerla raggiungere con un solo di questi mezzi esclusivamente: errore decisivo e funestissimo nelle conseguenze, perché non si può stabilire la coscienza dell'individuo, sola norma della verità, senza cadere nell'anarchia; non si può invocare come inappellabile il consenso generale in un momento dato, senza soffocare la libertà umana e rovinare nella tirannide.
Dio v'ha dato il consenso dei vostri fratelli e la vostra coscienza, come due ale per innalzarvi quanto è possibile sino a lui.
Dovunque s'incontrano, dovunque il grido della vostra coscienza è ratificato dal consenso dell'Umanità, ivi è Dio, ivi siete certi di avere in pugno la verità: l'uno è la verificazione dell'altro.
Non basta limitarsi a non operare contro la Legge: bisogna operare a seconda della Legge. Non basta il non nuocere, bisogna giovare ai vostri fratelli. Pur troppo finora la morale s'è presentata ai più fra gli uomini in una forma più negativa che affermativa.
Gl'interpreti della Legge hanno detto: «non ruberai, non ammazzerai»; nessuno o pochi, hanno insegnato gli obblighi che spettano all'uomo, e il come egli debba giovare ai suoi simili e al disegno di Dio nella creazione. Or questo è il primo scopo della Morale; né l'individuo, consultando unicamente la propria coscienza, può raggiungerlo mai.
La coscienza dell'individuo parla in ragione della sua educazione, delle sue tendenze, delle sue abitudini, delle sue passioni.
V'è dunque bisogno d'una scorta alla vostra coscienza, d'un lume che le rompa d'intorno la tenebra, d'una norma che ne verifichi e ne diriga gl'istinti. E questa norma è l'Intelletto e l'Umanità.
Dio ha dato intelletto a ciascun di voi, perché lo educhiate a conoscere la sua Legge.
Or Dio v'ha messo vicino un essere la cui vita è continua, e le cui facoltà sono la somma di tutte le facoltà individuali che si sono, da forse quattrocento secoli, esercitate; un essere che attraverso gli errori e le colpe degli individui migliora sempre in sapienza e moralità: un essere nel cui sviluppo Dio ha scritto e scrive ad ogni epoca una linea della sua Legge. Quest'essere è l'Umanità.
L'Umanità, ha detto un pensatore del secolo scorso, è un uomo che impara sempre. Gl'individui muoiono; ma quel tanto di vero che essi hanno pensato, quel tanto di buono ch'essi hanno operato non va perduto con essi: l'Umanità lo raccoglie e gli uomini che passeggiano sulla loro sepoltura ne fanno lor pro.
Di lavoro in lavoro, di credenza in credenza, l'Umanità conquista via via una nozione più chiara della propria vita, della propria missione, di Dio e della sua Legge.
Dio s'incarna successivamente nell'Umanità.
Nella storia dell'Umanità leggiamo il disegno di Dio; ne' suoi bisogni i nostri doveri: doveri che mutano o per dir meglio crescono coi bisogni, perché il nostro primo dovere sta nel concorrere a che l'Umanità salga prontamente quel grado di miglioramento e di educazione al quale Dio e i tempi l'hanno preparata.
La morale è progressiva come l'educazione del genere umano e di voi.
Convincetevi che senza istruzione, voi non potete conoscere i vostri doveri: convincetevi che dove la Società vi contende ogni insegnamento, la responsabilità d'ogni colpa è non vostra, ma sua: la vostra incomincia dal giorno in cui una via qualunque allo insegnamento v'è aperta, e la negligete: dal giorno in cui vi si mostrano mezzi per mutare una società che vi condanna all'ignoranza, e voi non pensate ad usarne.
Non siete colpevoli perché ignorate; siete colpevoli perché vi rassegnate a ignorare perché mentre la vostra coscienza v'avverte che Dio non v'ha dato facoltà senza imporvi di svilupparle, voi lasciate dormire nell'anima vostra tutte le facoltà del pensiero perché, mentre pur sapete che Dio non può avervi dato l'amore del vero senza darvi i mezzi di conseguirlo, voi, disperando, rinunziate a farne ricerca e accettate, senza esame, per verità l'affermazione del potente e del sacerdote venduto al potente.
Dio, Padre ed educatore dell'Umanità, rivela nello spazio e nel tempo la sua legge all'Umanità.
IV
Doveri verso l'umanità
I vostri primi doveri, primi non per tempo ma per importanza e perché senza intendere quelli non potete compiere se non imperfettamente gli altri, sono verso l'Umanità.
Avete doveri di cittadini, di figli, di sposi e di padri, doveri santi, inviolabili, dei quali vi parlerò a lungo tra poco; ma ciò che fa santi e inviolabili quei doveri, è la missione, il Dovere che la vostra natura d'uomini vi comanda.
Siete padre per educare uomini al culto e allo sviluppo della Legge di Dio.
Siete cittadini, avete una Patria, per potere facilmente, in una sfera limitata, con concorso di gente già stretta a voi per lingua, per tendenze, per abitudini, operare, a beneficio degli uomini quanti sono e saranno, ciò che mal potreste operare perduti, voi soli e deboli, nell'immenso numero dei vostri simili.
Patria e Famiglia son come due circoli segnati dentro un circolo maggiore che li contiene; come due gradini d'una scala senza i quali non potreste salire più in alto, ma sui quali non è permesso arrestarvi.
Siete uomini: cioè creature ragionevoli, socievoli e capaci, per mezzo unicamente dell'associazione, d'un progresso, a cui nessuno può assegnar limiti: e questo è quel tanto che oggi sappiamo dalla Legge di vita data all'Umanità.
La vita vi fu dunque data da Dio perché ne usiate a benefizio dell'Umanità, perché dirigiate le vostre facoltà individuali allo sviluppo delle facoltà dei vostri fratelli, perché aggiungiate con l'opera vostra un elemento qualunque all'opera collettiva di miglioramento e di scoperta del vero, che le generazioni, lentamente ma continuamente promuovono.
Dovete educarvi ed educare, perfezionare. Dio è in voi, non v'è dubbio; ma Dio è pure in tutti gli uomini che popolano con voi questa terra: Dio è nella vita di tutte le generazioni che furono, sono e saranno, e hanno migliorato e miglioreranno progressivamente il concetto che l'Umanità si forma di Lui, della sua Legge, e dei nostri Doveri.
Cristo pose in fronte alla sua credenza queste due verità inseparabili: non v'è che un solo Dio, tutti gli uomini sono figli di Dio; e la promulgazione di queste due verità cangiò aspetto al mondo e ampliò il cerchio morale sino ai confini delle terre abitate.
Ai doveri verso la famiglia e verso la patria, s'aggiunsero i doveri verso l'Umanità.
Così Dio Padre, per mezzo d'una lenta, ma continua educazione religiosa, guida al meglio l'Umanità, e in quel meglio il nostro individuo migliora anch'esso.
Né v'è speranza per voi se non nel miglioramento universale, nella fratellanza fra tutti i popoli dell'Europa e, per l'Europa, dell'umanità.
Voi dunque, o fratelli, per dovere e per utile vostro, non dimenticherete mai che i primi vostri doveri, doveri, senza compiere i quali voi non potete sperare di compiere quei che la patria e la famiglia comandano, sono verso l'Umanità. La parola e l'opera vostra siano per tutti, sì come per tutti è Dio, nel suo amore e nella sua Legge.
Non dite: il linguaggio che noi parliamo è diverso: le lagrime, l'azione, il martirio formano linguaggio comune per gli uomini quanti sono, e che voi tutti intendete.
Non dite: l'Umanità è troppo vasta, e noi troppo deboli. Dio non misura le forze, ma le intenzioni.
Ad ogni opera vostra nel cerchio della Patria o della famiglia, chiedete a voi stessi: se questo ch'io fo fosse fatto da tutti e per tutti, gioverebbe o nuocerebbe all'Umanità? e se la coscienza vi risponde: nuocerebbe, desistete, desistete quand'anche vi sembri che dall'azione vostra escirebbe un vantaggio immediato per la Patria e per la Famiglia.
V
Doveri verso la Patria
I primi vostri Doveri, primi almeno per importanza, sono, com'io vi dissi, verso l'Umanità.
Siete uomini prima d'essere cittadini o padri.
Ma che cosa può ciascuno di voi, colle sue forze isolate, fare pel miglioramento morale, pel progresso dell'Umanità? Vi potete esprimere, di tempo in tempo, sterilmente la vostra credenza; potete compiere, qualche rara volta, verso un fratello non appartenente alle vostre terre, un'opera di carità; ma non altro.
Ora la carità non è la parola della fede avvenire. La parola della fede avvenire è l'associazione, la cooperazione fraterna verso un intento comune, tanto superiore alla carità, quanto l'opera di molti fra voi che s'uniscono a inalzare concordi un edifizio per abitarvi insieme è superiore a quella che compireste innalzando ciascuno una casupola separata e limitandovi a ricambiarvi gli uni cogli altri aiuto di pietre, di mattoni, di calce.
Ma quest'opera comune voi, divisi di lingua, di tendenze, d'abitudini, di facoltà, non potete tentarla.
L'individuo è troppo debole e l'Umanità troppo vasta.
Mio Dio, prega, salpando il marinaio della Bretagna proteggetemi: il mio battello è sì piccolo e il nostro Oceano così grande! E quella preghiera riassume la condizione di ciascun di voi, se non si trova un mezzo di moltiplicare indefinitivamente le vostre forze, la vostra potenza d'azione: Questo mezzo Dio lo trovava per voi, quando vi dava una Patria, quando, come un saggio direttore di lavori distribuisce le parti diverse a seconda delle capacità, ripartiva in gruppi, in nuclei distinti l'Umanità sulla faccia del nostro globo e cacciava il germe delle nazioni.
A voi, uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definita dell'Europa.
Senza Patria, voi non avete nome, né segno, né voto, né diritti, né battesimo di fratelli tra i popoli.
Oh miei fratelli! amate la Patria. La Patria è la nostra casa: la casa che Dio ci ha data, ponendovi dentro una numerosa famiglia, che ci ama e che noi amiamo, colla quale possiamo intenderci meglio e più rapidamente che non con altri, e che per la concentrazione sopra un dato terreno e per la natura omogenea degli elementi che essa possiede, è chiamata a un genere speciale d'azione.
Lavorando, secondo i veri principii per la Patria, noi lavoriamo per l'Umanità: la patria è il punto d'appoggio della leva che noi dobbiamo dirigere a vantaggio comune. Perdendo quel punto d'appoggio, noi corriamo rischio di riuscire inutili alla Patria e all'Umanità.
Prima d'associarsi colle Nazioni che compongono l'Umanità, bisogna esistere come Nazione.
Non abbandonate la bandiera che Dio vi diede. Dovunque vi trovate, in seno a qualunque popolo le circostanze vi caccino, combattete per la libertà di quel popolo, se il momento lo esige; ma combattete come Italiani, così che il sangue che verserete frutti onore ed amore, non a voi solamente, ma alla vostra Patria.
E Italiano sia il pensiero continuo dell'anime vostre: Italiani siano gli atti della vostra vita: Italiani i segni sotto i quali v'ordinate a lavorare per l'Umanità.
Non dite: io, dite: noi. La Patria s'incarni in ciascuno di voi. Ciascuno di voi, si senta, si faccia mallevadore dei suoi fratelli: ciascuno di voi impari a far si che in lui sia rispettata ed amata la Patria.
La Patria, è una, indivisibile.
La Patria è il segno della missione che Dio v'ha dato da compiere nell'umanità. Le facoltà, le forze di tutti i suoi figli devono associarsi pel compimento di quella missione. Una certa somma di doveri e di diritti comuni spetta ad ogni uomo che risponde al chi sei? degli altri popoli: sono Italiano.
La Patria è una comunione di liberi e d'uguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine. Voi dovete farla e mantenerla tale.
La Patria non è un aggregato, è una associazione. Non v'è dunque veramente Patria senza un Diritto uniforme.
Non v'è Patria dove l'uniformità di quel Diritto è violata dall'esistenza di caste, di privilegi, d'ineguaglianze dove l'attività d'una porzione delle forze e facoltà individuale è cancellata o assopita dove non è principio comune accettato, riconosciuto, sviluppato da tutti; vi è non Nazione, non popolo, ma moltitudine, agglomerazione fortuita d'uomini che le circostanze riunirono, che circostanze diverse separeranno.
In nome del vostro amore alla Patria, voi combatterete senza tregua l'esistenza d'ogni privilegio, d'ogni ineguaglianza sul suolo che v'ha dato vita.
Un solo privilegio è legittimo: il privilegio del genio, quando il Genio si mostri affratellato colla Virtù; ma è privilegio concesso da Dio e non dagli uomini e quando voi lo riconoscerete seguendone le ispirazioni, lo riconoscerete liberamente esercitando la vostra ragione, la vostra scelta.
Qualunque privilegio pretende sommessione da voi in virtù della forza, dell'eredità, d'un diritto che non sia diritto comune, è usurpazione, è tirannide; e voi dovete combatterla e spegnerla.
La Patria deve essere il vostro Tempio. Dio al vertice, un Popolo d'eguali alla base; non abbiate altra formola, altra legge morale, se non volete disonorare la Patria e voi.
La Patria non è un territorio; il territorio non ne è la base. La Patria è l'idea che sorge su quello; è il pensiero d'amore, il senso di comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio.
VI
Doveri verso la famiglia
La famiglia è la Patria del core.
La famiglia ha in sé un elemento di bene raro a trovarsi altrove, la durata.
Gli affetti, in essa, vi si stendono intorno lenti, inavvertiti, ma tenaci e durevoli siccome l'ellera intorno alla pianta: vi seguono d'ora in ora: s'immedesimano taciti colla vostra vita.
La Famiglia è concetto di Dio, non vostro. Potenza umana non può sopprimerla. Come la Patria, più assai che la Patria, la Famiglia è un elemento della vita.
Ho detto più assai che la Patria.
La Patria sacra in oggi, sparirà forse un giorno quando ogni uomo rifletterà nella propria coscienza la legge morale dell'umanità; la Famiglia durerà quanto l'uomo. Essa è la culla dell'umanità. Come ogni elemento della vita umana, essa deve essere aperta al Progresso, migliorare d'epoca in epoca le sue tendenze, le sue aspirazioni; ma nessuno potrà cancellarla.
Far la famiglia più sempre santa e inanellata più sempre alla Patria, è questa la vostra missione. Ciò che la Patria è per l'umanità, la Famiglia deve esserlo per la Patria.
Come io v'ho detto che la parte della Patria è quella d'educare gli uomini, così la parte della Famiglia è quella di educare i cittadini: Famiglia e Patria sono i due punti estremi d'una sola linea.
Amate, rispettate la donna. Non cercate in essa solamente un conforto, ma una forza, una ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali e morali. Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna.
Davanti a Dio Uno e Padre non v'è uomo né donna ma l'essere umano, l'essere nel quale, sotto l'aspetto d'uomo o di donna, s'incontrano tutti i caratteri che distinguono l'Umanità dall'ordine degli animali: tendenza sociale, capacità d'educazione, facoltà di progresso. Dovunque si rivelano questi caratteri, ivi esiste l'umana natura, uguaglianza quindi di diritti e doveri.
Amate i figli che la Provvidenza vi manda; ma amateli di vero, profondo, severo amore; non dell'amore snervato, irragionevole, cieco, ch'è egoismo per voi, rovina per essi.
E potete educare colla parola. Parlate loro di Patria, di ciò ch'essa fu, di ciò che deve essere.
Imparino dal vostro labbro e dal tranquillo assenso materno, come sia bello il seguire le vie della Virtù, come sia grande il piantarsi Apostoli della verità, come sia santo il sacrificarsi, occorrendo, pei propri fratelli.
Infondete nelle tenere menti, insieme ai germi della ribellione contro ogni autorità usurpata e sostenuta dalla forza, la riverenza alla vera, all'unica Autorità, l'autorità della Virtù coronata dal Genio.
Fate che crescano, avversi egualmente alla tirannide ed all'anarchia, nella religione della coscienza inspirata, non incatenata dalla tradizione. La Nazione deve aiutarvi in quest'opera. E voi avete, in nome dei vostri figli, diritto di esigerlo. Senza educazione Nazionale non esiste veramente Nazione.
Amate i parenti. La Famiglia che procede da voi non vi faccia mai dimenticare la famiglia dalla quale procedete.
VII
Doveri verso se stesso
PRELIMINARI
Io v'ho detto: voi avete vita; dunque avete una legge di vita ... Svilupparsi, agire, vivere secondo la legge di vita, è il primo, anzi l'unico vostro Dovere. Vi ho detto che per conoscere quale sia la legge della vostra vita, Dio v'ha dato due mezzi: la vostra coscienza e la coscienza dell'Umanità, il consenso dei vostri fratelli. V'ho detto che ogni qual volta, interrogando la vostra coscienza, troverete la sua voce in armonia colla grande voce del genere umano trasmessavi dalla storia, voi siete certi d'avere la verità eterna, immutabile in pugno.
Voi potete oggi difficilmente interrogare a dovere la grande voce che l'umanità vi tramanda attraverso la Storia: vi mancano finora libri buoni davvero e popolarmente scritti, e vi manca il tempo; ma gli uomini che per ingegno e coscienza meglio rappresentano, da oltre un mezzo secolo, gli studi storici e la scienza dell'Umanità, hanno raccolto da quella voce alcuni caratteri della nostra Legge di Vita; hanno raccolto che la natura umana è essenzialmente adunabile, essenzialmente sociale: hanno raccolto che, come non vi è né può esservi che un solo Dio, non v'è né può esservi che una sola Legge per l'uomo individuo e per l'umanità collettiva, hanno raccolto che il carattere fondamentale, universale di questa Legge, è PROGRESSO.
Da queste verità oggimai innegabili, perché confermate da tutti i rami dell'umano sapere, scendono tutti i vostri doveri verso voi stessi, e scendono pure tutti i vostri diritti, i quali sommano in uno: il diritto di non essere menomamente inceppati e d'essere, dentro certi limiti, aiutati nel compimento dei vostri doveri. Voi siete e vi sentite liberi.
Voi siete educabili. Esiste in ciascun di voi una somma di facoltà, di capacità intellettuali, di tendenze morali, alle quali l'educazione sola può dar moto e vita, e che, senza quella, giacerebbero sterili, inerti, non rivelandosi che a lampi, senza regolare sviluppo.
L'educazione è il pane dell'anima. Come la vita fisica, organica, non può crescere e svolgersi senza alimenti, così la vita morale, intellettuale, ha bisogno per ampliarsi e manifestarsi, delle influenze esterne e d'assimilarsi parte almeno delle idee, degli effetti, delle altrui tendenze.
È dunque non solamente come necessità della vostra vita, ma come una santa comunione con tutti i vostri fratelli, con tutte le generazioni che vissero: cioè pensarono ed operarono prima della vostra, che voi dovete conquistarvi, nei limiti del possibile, educazione: educazione morale ed intellettuale, che abbracci e fecondi tutte le facoltà che Dio vi dava siccome deposito da far fruttare, e che istituisca e mantenga un legame tra la vostra vita individuale e quella dell'Umanità collettiva.
E perché quest'opera educatrice si compisse più rapidamente, perché la vostra vita individuale s'inanellasse più certamente e più intimamente colla vita collettiva di tutti, colla vita dell'Umanità, Dio v'ha fatto esseri essenzialmente sociali.
Voi siete, finalmente, esseri progressivi. Questa parola PROGRESSO, ignota all'antichità, sarà d'ora innanzi una parola sacra per l'Umanità. Essa racchiude tutta una trasformazione sociale, politica, religiosa.
Gli uomini che fondarono, sulla parola di Gesù, una Religione superiore a tutte le credenze del vecchio Oriente e del Paganesimo, intravidero, non conquistarono, la santa idea contenuta in questa parola: Progresso.
Conobbero la Provvidenza e la sostituirono alla cieca Fatalità degli antichi; ma la conobbero come protettrice dell'individuo, non come Legge dell'Umanità.
Collocati fra l'immensità dello scopo di perfezionamento che intravedevano e la breve povera vita dell'individuo, sentirono il bisogno d'un termine intermediario tra l'uno e l'altro, fra l'Uomo e Dio, e non possedendo l'idea dell'Umanità collettiva, ricorsero a una incarnazione divina: dichiararono che la Fede in essa era sorgente unica di salute, di forza, di grazia, all'uomo.
Non sospettando la rivelazione continua che scende da Dio sull'uomo attraverso l'Umanità, credettero in una rivelazione immediata, unica, scesa ad un tempo stesso determinato, e per favore speciale di Dio. Videro il legame che annoda gli uomini in Dio, non videro quello che li annoda qui sulla terra nell'umanità.
La rivelazione essendo per essa immediata ed unica in un dato periodo, ne dedussero che nulla poteva aggiungervisi e che i depositari di quella rivelazione erano infallibili.
Dimenticavano che il fondatore della loro religione era venuto, non ad annientare la Legge ma a continuarla, aggiungendovi.
Dimenticavano che in un solenne momento e con sublime istinto dell'avvenire, Gesù aveva detto: Io vi dico le cose che voi potete in oggi intendere e praticare; ma verrà dopo me lo spirito di verità, e vi parlerà per autorità propria ma raccogliendo l'ispirazione da tutti, l'ispirazione collettiva (Vangelo di Giovanni, 12-14).
È in quelle parole la profezia dell'idea del Progresso e della rivelazione continua del Vero per mezzo dell'Umanità: v'è la giustificazione della formola che Roma ridesta propose all'Italia colle parole Dio e il popolo, scritte in fronte a' suoi decreti repubblicani.
Mille trecento anni a un dipresso dopo le parole di Gesù or citate, un uomo Italiano, il più grande fra gl'Italiani che io mi conosca, scriveva le verità seguenti:
«Dio è uno; l'Universo è un pensiero di Dio; l'Universo è dunque uno esso pure. Tutte le cose partecipano, più o meno, della natura divina, a seconda del fine pel quale sono create. L'uomo è nobilissimo fra tutte le cose: Dio ha versato in lui più della sua natura che non sull'altre. Ogni cosa che viene da Dio tende al perfezionamento del quale è capace. La capacità di perfezionamento nell'uomo è indefinita. L'Umanità è Una. Dio non ha fatto cosa inutile; e poiché esiste una Umanità, deve esistere uno scopo unico per tutti gli uomini, un lavoro da compiersi per opera d'essi tutti. Il genere umano dovrebbe dunque lavorare unito, sì che tutte le forze intellettuali diffuse in esso, ottengano il più alto sviluppo possibile nella sfera del pensiero e dell'azione. Esiste dunque una Religione universale della natura umana».
Quell'uomo aggiungeva che questa religione universale, questa Unità del mondo doveva avere chi la rappresentasse: e accennava a Roma, la Città Santa, le di cui pietre, ei diceva, erano meritevoli di riverenza.
L'uomo che scriveva quelle idee aveva nome DANTE.
Oggi sappiamo che la legge della Vita è PROGRESSO.
Progresso per l'individuo, progresso per l'Umanità.
L'Umanità compie quella Legge sulla terra; l'individuo sulla terra ed altrove.
Un solo Dio; una sola Legge.
Quella legge s'adempie lentamente, inevitabilmente, nell'Umanità fin dal primo suo nascere.
La verità non s'è mai manifestata tutta o ad un tratto.
Una rivelazione continua, manifestata d'epoca in epoca, un frammento della Verità, una parola della Legge.
L'Umanità è simile ad un uomo che vive indefinitamente e che impara sempre.
Dio, prefiggendo un disegno provvidenziale d'Educazione progressiva all'Umanità, ponendo l'istinto del progresso nel core d'ogni uomo, ha messo pure nell'umana natura le facoltà e le forze necessarie a compierlo.
L'uomo individuo, creatura libera e responsabile, può usarne e abusarne a seconda ch'ei si mantiene sulla via del Dovere, o cede alle cieche seduzioni dell'Egoismo; ei può indugiare o accelerare il proprio progresso; ma il disegno provvidenziale non può cancellarsi da forza umana.
La legge, il Progresso, devono compirsi, come altrove, qui sulla terra. Non v'è opposizione fra terra e cielo; ed è bestemmia il supporre che l'opera di Dio, la casa ch'egli ci ha dato, possa, senza peccato, sprezzarsi, abbandonarsi ai Poteri, quali essi siano, alle influenze del Male, dell'Egoismo e della Tirannide.
La Terra non è soggiorno di espiazione; è soggiorno di lavoro a prò dell'ideale, del Vero e del Giusto che ciascun di noi ha in germe nell'anima; gradino verso un Miglioramento che noi non possiamo raggiungere se non glorificando, coll'opere, Iddio nell'Umanità, e consacrandoci a tradurre in fatto quanta più parte possiamo del suo disegno.
Il giudizio che s'adempirà su ciascun di noi, e che ci farà inoltrare sulla scala del Perfezionamento o ci condannerà a trascinarci nuovamente nello stadio tristamente e sterilmente percorso, si fonderà sul bene che avremo fatto ai nostri fratelli, sul grado di progresso che avremo aiutato altri a salire.
L'associazione più sempre intima, più e più sempre vasta, coi nostri simili è il mezzo per cui si moltiplicano le nostre forze, il campo sul quale si compiono i nostri Doveri, la via per ridurre in atto il Progresso. Noi dobbiamo tendere a far dell'intera Umanità una Famiglia, ogni membro della quale rappresenti in sé, a beneficio degli altri, la Legge morale.
E come il perfezionamento dell'umanità si compie d'epoca in epoca, di generazione in generazione, il perfezionamento dell'individuo si compie d'esistenza in esistenza, più o meno rapidamente a seconda dell'opere nostre.
Son queste alcune delle verità contenute in quella parola Progresso, dalla quale escirà la Religione dell'Avvenire. In essa solo può compiersi la vostra emancipazione.
VIII
Libertà
Voi vivete. La vita ch'è in voi non è opera del Caso; la parola Caso non ha senso alcuno, e non fu trovata che ad esprimere l'ignoranza degli uomini su certe cose.
La vita ch'è in voi viene da Dio e rileva nel suo sviluppo progressivo un disegno intelligente. La vostra vita ha dunque necessariamente un fine, uno scopo.
Il fine ultimo, pel quale fummo creati, ci è tuttora ignoto, e non può essere altrimenti; né per questo dobbiamo negarlo.
L'Umanità comincia oggi appena a intendere che la legge è Progresso: comincia appena a intendere incertamente qualche cosa dell'Universo che ha intorno; e la maggior parte degl'individui che la compongono è tuttavia inadatta, per barbarie, servitù o mancanza assoluta d'educazione, allo studio di quella Legge, all'esame dell'universo, che bisogna intendere prima d'intendere noi stessi.
La scoperta del Vero esige modestia e temperanza di desiderio quanto esige costanza. L'impazienza, l'orgoglio umano, han perduto o sviato dal retto sentiero molte più anime che non la deliberata tristizia. E' questa verità che l'Antichità ha voluto insegnarci, quando ci narrava che il Despota voglioso di raggiungere il cielo non seppe innalzare se non una Torre di confusione, e che i Giganti assalitori dell'Olimpo giacciono, fulminati, sotto i nostri monti vulcanici.
Ciò di cui importa conviverci è questo che, qualunque sia il fine verso cui tendiamo, noi non potremo scoprirlo e raggiungerlo, se non collo sviluppo progressivo e coll'esercizio delle nostre facoltà intellettuali. Le nostre facoltà sono gli strumenti di lavoro che Dio ci dava.
È dunque necessario che il loro sviluppo sia promosso e aiutato; il loro esercizio protetto e libero.
Senza libertà voi non potete compiere alcuno dei vostri doveri. Voi dunque avete diritto alla Libertà, e Dovere di conquistarla ad ogni modo contro qualunque Potere la neghi.
Senza libertà non esiste Morale, perché non esistendo libera scelta tra il bene ed il male, tra la devozione al progresso comune e lo spirito d'egoismo, non esiste società vera, perché tra liberi e schiavi non può esistere associazione; ma solamente dominio degli uni sugli altri.
La libertà è sacra come l'individuo, del quale essa rappresenta la vita. Dove non è libertà, la vita è ridotta ad una pura funzione organica. Lasciando che la sua libertà sia violata, l'uomo tradisce la propria natura e si ribella contro i decreti di Dio.
Non v'è libertà dove una casta, una famiglia, un uomo s'assuma dominio sugli altri in virtù d'un preteso diritto divino, in virtù d'un privilegio derivato dalla nascita, o in virtù di ricchezza.
La libertà dev'essere per tutti e davanti a tutti.
Non esiste dunque Sovranità di diritto in alcuno; esiste una sovranità dello scopo e degli atti che vi si accostano.
Gli atti e lo scopo verso cui camminiamo devono essere sottomessi al giudizio di tutti. Non v'è dunque né può esservi sovranità permanente.
Ogni uomo chiamato al Governo è un amministratore del pensiero comune: deve essere eletto, e sottomesso a revoca ogni qual volta ei lo fraintenda o deliberatamente lo combatta.
Non può esistere dunque, ripeto, casta o famiglia che ottenga il Potere per diritto proprio, senza violazione della vostra libertà. Come potreste chiamarvi liberi davanti ad uomini ai quali spettasse facoltà di comando senza vostro consenso? la Repubblica è l'unica forma legittima e logica di Governo.
Voi non avrete padrone fuorché Dio nel cielo e il Popolo sulla terra. Quando avete scoperto una linea della Legge, dei voleri di Dio, dovete, benedicendo, eseguirla. Quando il Popolo, l'unione collettiva dei vostri fratelli, dichiara che tale è la sua credenza, dovete piegar la testa e astenervi da ogni atto di ribellione.
Ma vi son cose che costituiscono il vostro individuo e sono essenziali alla vita umana. E su queste neppure il popolo ha signoria.
Nessuna maggioranza, nessuna forza collettiva può rapirvi ciò che vi fa essere uomini. Nessuna maggioranza può decretar la tirannide e spegnere o alienare la propria libertà.
Contro il popolo suicida che ciò facesse, voi non potete usar la forza, ma vive e vivrà eterno in ciascun di voi il diritto di protesta nei modi che le circostanze vi suggeriranno.
Voi dovete avere libertà in tutto ciò ch'è indispensabile ad alimentare, moralmente e materialmente, la vita.
Libertà personale: libertà di locomozione: libertà di credenza religiosa: libertà d'opinione su tutte le cose: libertà d'esprimere colla stampa o in ogni altro modo pacifico il vostro pensiero: libertà di associazione per poterlo fecondare col contatto nel pensiero altrui: libertà di traffico pei suoi prodotti son tutte cose che nessuno può togliervi, salvo alcune rare eccezioni, ch'or non importa il dire, senza grave ingiustizia, senza che sorga in voi il dovere di protestare.
Nessuno ha diritto, in nome della Società, d'imprigionarvi e di sottomettervi a restrizioni personali o invigilamento, senza dirvi il perché, senza dirvelo col minore indugio possibile, senza condurvi sollecitamente davanti al potere giudiziario del paese.
Nessuno ha diritto d'inceppare con restrizioni di passaporti od altro il vostro trasferirvi di parte in parte della terra che è vostra Patria.
Nessuno ha diritto di persecuzione, d'intolleranza, di legislazione esclusiva sulle vostre opinioni religiose: nessuno, fuorché la grande pacifica voce dell'umanità, ha diritto di frapporsi fra Dio e la vostra coscienza. Dio vi ha dato il Pensiero: nessuno ha diritto di vincolarlo o sopprimerne l'espressione, ch'è la comunione dell'anima vostra coi vostri fratelli e l'unica via di progresso che abbiamo.
La stampa dev'essere illimitatamente libera: i diritti dell'intelletto sono inviolabili, ed ogni censura preventiva è tirannide: la Società può, come tutte le altre colpe, punire soltanto le colpe di stampa: la predicazione del delitto, l'insegnamento dichiaratamente immorale: la punizione in virtù d'un giudizio solenne è conseguenza della responsabilità umana, mentre ogni intervenuto anteriore è negazione della libertà.
L'assocazione pacifica è santa come il pensiero: Dio ne poneva in voi la tendenza come avviamento perenne al progresso e pegno dell'Unità che la famiglia umana deve un giorno raggiungere: nessun potere ha diritto d'impedirla o di limitarla.
Ciascun di voi ha dover d'usar della vita che Dio gli diede, di serbarla, di svilupparla; a ciascun di voi corre quindi debito di lavoro, solo mezzo di sostenerla materialmente: il lavoro è sacro: nessun ha diritto di vietarlo, d'incepparlo o di renderlo con regolamenti arbitrari impossibile: nessuno ha diritto di restringere il libero traffico de' suoi prodotti: la terra che v'è Patria è il vostro mercato, e nessuno può limitarlo.
Ma quando avrete ottenute che queste libertà siano sacre, quando avrete finalmente costituito lo Stato sul voto di tutti e in modo che l'individuo abbia schiuse davanti a lui tutte le vie che possono condurre allo sviluppo delle sue facoltà allora, ricordatevi che al di sopra di ciascun di voi sta lo scopo che è vostro dovere raggiungere: perfezionamento morale vostro e d'altrui, comunione più sempre intima e vasta fra tutti i membri della famiglia umana, sì che un giorno essa non riconosca che una sola Legge.
La libertà non è che un mezzo; guai a voi e al vostro avvenire se v'avvezzaste mai a guardarla siccome fine!
Il vostro individuo ha doveri e diritti propri che non possono essere abbandonati ad alcuno; ma guai a voi ed al vostro avvenire se il rispetto che dovete avere per ciò che costituisce la vostra vita individuale potesse mai degenerare in un fatale egoismo!
La vostra libertà non è la negazione d'ogni autorità; è la negazione d'ogni autorità che non rappresenti lo scopo collettivo della Nazione, e che presuma impiantarsi e mantenersi sovr'altra base che su quella del libero spontaneo vostro consenso.
Dottrine di sofisti hanno in questi ultimi tempi pervertito il santo concetto della Libertà: gli uni l'hanno ridotto a un gretto immorale individualismo, hanno detto che l'io è tutto e che il lavoro umano e l'ordinamento sociale non devono tendere che al sodisfacimento dei suoi desiderii: gli altri hanno dichiarato che ogni governo, ogni autorità è un male inevitabile, ma da restringersi, da vincolarsi quanto più si può, che la libertà non ha limiti; che lo scopo d'ogni Società è unicamente quello di promoverla indefinitamente; che un uomo ha diritto d'usare e abusare della libertà, purché questa non ridondi direttamente nel male altrui: che un governo non ha missione fuorché quella d'impedire che un individuo non nuoccia all'altro.
Respingete, o miei fratelli, queste false dottrine: son esse che indugiano anche in oggi l'Italia sulle vie della sua grandezza avvenire.
Le prime hanno generato l'egoismo di classe, le seconde fanno d'una società che deve, se ben ordinata, rappresentare il vostro scopo e la vostra vita collettiva, non altro che un birro o un soldato di polizia incaricato di mantenere una pace apparente; tutte trascinano la libertà ad essere un'anarchia: cancellano l'idea di miglioramento morale collettivo; cancellano la missione educatrice, la missione di Progresso che la società deve assumersi. Se voi potete intendere a questo modo la Libertà, voi meritereste di perderla, e, presto o tardi, la perdereste.
La vostra Libertà sarà santa, perché si svilupperà sotto il predominio dell'idea del Dovere, della Fede nel perfezionamento comune. La vostra Libertà fiorirà protetta da Dio e dagli uomini, perch'essa non sarà il diritto d'usare e abusare delle vostre facoltà nella direzione che a voi piaccia di scegliere, ma perch'essa sarà il diritto di scegliere liberamente, a seconda delle vostre tendenze, i mezzi per fare il bene.
IX
Educazione
Dio v'ha fatti educabili. Voi dunque avete dovere d'educarvi per quanto è in voi, e diritto a che la società alla quale appartenete non v'impedisca nella vostra opera educatrice, v'aiuti in essa e vi supplisca, quando i mezzi d'educazione vi manchino.
La vostra libertà, i vostri diritti, la vostra emancipazione da condizioni sociali ingiuste, la missione che ciascun di voi deve compiere qui sulla terra dipendono dal grado di educazione che vi è dato raggiungere.
Senza educazione voi non potete scegliere giustamente fra il bene e il male; non potete acquistare coscienza dei vostri diritti, non potete ottenere quella partecipazione nella vita politica senza della quale non riuscirete ad emanciparvi: non potete definire a voi stessi la vostra missione.
I meno tristi fra i vostri educatori credono aver sodisfatto al debito loro, quando hanno inegualmente aperto sul territorio che reggono un certo numero di scuole dove i vostri figli possono ricevere un grado qualunque d'insegnamento elementare.
Questo insegnamento consiste principalmente nel leggere, scrivere e computare.
Insegnamento siffatto si chiama istruzione;e differisce dall'educazione quanto i nostri organi differiscono dalla nostra vita.
Così l'istruzione somministra i mezzi per praticare ciò che l'educazione insegna: ma non può tener luogo dell'educazione.
L'educazione s'indirizza alle facoltà morali; l'Istruzione alle intellettuali.
La prima sviluppa nell'uomo la conoscenza dei suoi doveri; la seconda rende l'uomo capace di praticarli.
Senza istruzione, l'educazione sarebbe troppo sovente inefficace; senza educazione l'istruzione sarebbe come una leva mancante d'un punto d'appoggio.
L'istruzione, come la ricchezza, può essere sorgente di bene e di male a seconda delle intenzioni colle quali s'adopra: consacrata al progresso di tutti, è mezzo di incivilimento e di libertà; rivolta all'utile proprio, diventa mezzo di tirannide e di corruttela.
Due dottrine, due scuole, dividono il campo di quei che combattono per la libertà contro il dispotismo. La prima dichiara che la sovranità risiede nell'individuo: la seconda sostiene ch'essa vive unicamente nella società e prende a norma il consenso manifestato dalla maggioranza.
La prima crede aver compiuto la propria missione quando ha proclamato i diritti creduti inerenti alla natura umana e tutelato la libertà; la seconda guarda quasi esclusivamente all'associazione, e desume dal patto che la costituisce i doveri d'ogni individuo.
La prima non vede più in là di ciò che io chiamai istruzione, perché l'istruzione tende infatti a dare facilità di sviluppo, senza norma generale, alle facoltà individuali: la seconda intende la necessità d'un'educazione ch'è per essa la manifestazione del programma sociale.
La prima guida inevitabilmente all'anarchia morale, la seconda, se dimentica i diritti della libertà, corre rischio di cadere nel dispotismo della maggioranza.
Tutte due quelle scuole peccano di tendenze anguste, esclusive.
Il vero è questo:
La sovranità è in Dio, nella Legge morale, nel disegno provvidenziale che governa il mondo e ch'è via via rivelato dalle ispirazioni del Genio virtuoso e dalle tendenze dell'Umanità nelle epoche diverse della sua vita: e nello scopo che bisogna raggiungere, nella missione che bisogna compiere.
Non è sovranità nello individuo, non è nella società, se non in quanto l'uno è l'altra s'uniformino a quel disegno, a quella Legge, e si dirigono a quello scopo.
Un individuo o è il migliore interprete della Legge morale e governa in suo nome, o è un usurpatore da rovesciarsi. Il semplice voto d'una maggioranza non costituisce sovranità, se avversa evidentemente alle norme morali supreme, o chiuda deliberatamente la via al Progresso futuro.
Bene sociale, Libertà, Progresso: al di fuori di questi tre termini non può esistere sovranità.
L'educazione insegna qual sia il Bene sociale.
L'istruzione assicura all'individuo la libera scelta dei mezzi per ottenere un progresso successivo nel concetto del bene.
L'educazione, che deve dare ai vostri figli insegnamento siffatto, non può venire che dalla Nazione.
Senza Educazione Nazionale non esiste moralmente Nazione. La coscienza nazionale non può uscir che da quella.
Senza Educazione Nazionale comune a tutti i cittadini: eguaglianza di doveri e di diritti è formola vuota di senso, la conoscenza dei doveri, la possibilità dell'esercizio dei diritti, sono lasciate al caso della fortuna e all'arbitrio di chi sceglie l'educatore.
Gli uomini che si dichiarano avversi all'unità della educazione invocano la libertà. Libertà di chi? Dei padri o dei figli? La libertà dei figli è violata, nel loro sistema dal dispotismo paterno: la libertà delle giovani generazioni sacrificate alle vecchie: la libertà di progresso diventa illusione.
Libertà vera non esiste senza eguaglianza, e l'eguaglianza non può esistere fra chi non move da una base, da un principio comune, da una coscienza uniforme del Dovere.
Io vi dissi poche pagine addietro che la Libertà vera non consiste nel diritto di scegliere il male, ma nel diritto di scegliere fra le vie che conducono al bene.
Chiedete, esigete, l'impianto d'un sistema d'educazione nazionale gratuita, obbligatoria per tutti.
La Nazione deve ad ogni cittadino la trasmissione del suo programma.
Ogni cittadino deve ricevere nelle scuole l'insegnamento morale un corso di nazionalità comprendente un quadro sommario dei progressi dell'Umanità, la Storia Patria e l'esposizione popolare dei principii che reggono la legislazione del paese e l'istruzione elementare intorno alla quale non v'è dissenso. Ogni cittadino deve imparare in esse l'eguaglianza e l'amore.
Trasmesso quel programma, la libertà ripiglia i suoi diritti. Non solamente l'insegnamento della famiglia, ma ogni altro è sacro. Ogni uomo ha diritto illimitato di comunicare ad altri le proprie idee: ogni uomo ha diritto d'ascoltarlo. La Società deve proteggere, incoraggiare la libera espressione del pensiero, sotto ogni forma; e aprire ogni via perché il programma sociale possa svilupparsi e modificarsi pel bene.
X
Associazione - Progresso
Dio v'ha fatti sociali e progressivi. Voi dunque avete dovere d'associarvi e di progredire quanto comporta la sfera d'attività, nella quale le circostanze vi collocarono, e avete diritto a che la società alla quale appartenete non v'impedisca nella vostra opera d'associazione e di progresso, v'aiuti in essa e vi supplisca, quando i mezzi d'associazione e di progresso vi manchino.
La libertà vi dà facoltà di scegliere fra il bene ed il male, cioè fra il dovere e l'egoismo.
L'educazione deve insegnarvi la scelta.
L'associazione deve darvi le forze colle quali potrete tradurre la scelta in atto.
Il progresso è il fine a cui dovete mirare scegliendo, ed è ad un tempo, quando è visibilmente compito, la prova che non v'ingannaste nella scelta. Dove una sola di queste condizioni è tradita o negletta, non esiste uomo, né cittadino o esiste imperfetto o inceppato nel suo sviluppo.
Voi dunque dovete combattere per tutte, e segnatamente pel diritto d'Associazione, senza il quale la Libertà e l'Educazione riescono inutili.
E la Comunione degli uomini in Dio porta con sé l'associazione degli uomini nella vita terrestre. L'associazione religiosa delle anime genera il diritto dell'associazione nelle facoltà e nell'opere che fanno realtà del pensiero.
Sia dunque l'associazione dovere e diritto per voi.
Taluni, a limitarne il diritto fra i cittadini, vi diranno che l'associazione è lo Stato, la Nazione: che voi ne siete e dovete esserne tutti membri: e che quindi ogni associazione parziale tra voi è o avversa allo Stato o superflua.
Ma lo Stato, la Nazione non rappresentano se non l'associazione dei cittadini in quelle cose, in quelle tendenze che sono comuni a tutti gli uomini che ne sono parte.
Esistono tendenze e fini che non abbracciano tutti i cittadini, ma solamente un certo numero d'essi. E come le tendenze e il fine comune a tutti generano la Nazione, le tendenze e il fine comune a parecchi fra i cittadini devono generare l'associazione speciale.
Poi e questa è base fondamentale al diritto d'associazione l'associazione è la mallevadoria del Progresso.
L'associazione deve essere progressiva nel fine a cui tende, non contraria alle verità conquistate per sempre dal consenso universale dell'Umanità e della Nazione. Una associazione che s'impiantasse per agevolare il furto dell'altrui proprietà, una associazione che facesse obbligo a' suoi membri della poligamia, una associazione che dichiarasse doversi sciogliere la Nazione o predicasse lo stabilimento del Dispotismo sarebbe illegale.
La Nazione ha diritto di dire a' suoi membri: noi non possiamo tollerare che si diffondano in mezzo a noi dottrine violatrici di ciò che costituisce la natura umana, la Morale, la Patria. Escite e stabilite fra voi al di là dei nostri confini, l'associazione che le vostre tendenze vi suggeriscono.
L'associazione deve essere pacifica. Essa non può avere altr'arme che l'apostolato della parola: deve proporsi di persuadere, non di costringere.
L'associazione deve essere pubblica. Le associazioni segrete, arme di guerra legittima dove non è Patria, né Libertà, sono illegali e possono essere sciolte dalla Nazione quando la Libertà è diritto riconosciuto, quando la Patria protegge lo sviluppo e l'inviolabilità del pensiero. Se l'associazione deve schiudere la via al Progresso, essa dev'essere sottomessa all'esame e al giudizio di tutti.
E finalmente l'Associazione deve rispettare in altrui i diritti che sgorgano dalle condizioni essenziali dell'umana natura. Una associazione che violasse, come le corporazioni del medio evo, la libertà del lavoro o tendesse direttamente a restringere la libertà di coscienza potrebb'essere respinta, governativamente, dalla Nazione.
Da questi limiti in fuori, la libertà d'associazione fra' cittadini è sacra, inviolabile, come il progresso che ha vita in essa. Ogni governo che s'attentasse restringerla tradirebbe la missione sociale: il popolo dovrebbe, prima ammonirlo, poi, esaurite le vie pacifiche, rovesciarlo.
XI
Questione economica
§ 1 [Lavoro]
Figli tutti di Dio e fratelli in Lui e tra noi, noi siamo chiamati a formare una sola grande famiglia.
In questa famiglia possono esistere disuguaglianze generate dalle diverse abitudini, dalle diverse capacità, dal diverso desiderio di lavoro; ma un principio deve signoreggiarla: qualunque è disposto a dare pel bene di tutti, ciò ch'ei può di lavoro, deve ottenere compenso tale che lo renda capace di sviluppare, più o meno, la propria vita sotto tutti gli aspetti che la definiscono.
Ma fino a qual punto possiamo raggiungere oggi lo scopo? E come, per quali vie possiamo raggiungerlo?
Taluni fra i vostri più timidi amici hanno cercato il rimedio nella moralità dell'operaio. Fondando casse di risparmio o altre simili istituzioni, hanno detto agli operai: recate qui il vostro soldo: economizzate: astenetevi da ogni eccesso nella bevanda o in altro: emancipatevi dalla miseria colle privazioni.
Altri, non nemici, ma poco curanti del popolo e del grido di dolore che sorge dalle viscere degli uomini del lavoro, paurosi d'ogni innovazione potente, e legati a una scuola detta degli economisti,che combatté con merito e con vantaggio tutte le battaglie della libertà, dell'industria, ma senza por mente alla necessità di progresso e di associazione, inseparabili anch'esse dalla natura umana, sostennero e sostengono, come i filantropi dei quali ora parlai, che ciascuno può anche nella condizione di cose attuale, edificare colla propria attività la propria indipendenza; che ogni mutamento nella costituzione del lavoro riuscirebbe superfluo o dannoso; e che la formola ciascuno per sé, libertà per tutti è sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo d'agi e conforti fra le classi che costituiscono la Società.
Mentre i filantropi contemplano unicamente l'uomo e s'affannano a renderlo più morale senza farsi carico d'accrescere, per dargli campo a migliorarsi, la ricchezza comune, gli economisti non guardano che a fecondare le sorgenti della produzione senza occuparsi dell'uomo.
La libertà di concorrere per chi nulla possiede, per chi, non potendo risparmiare sulla giornata, non ha di che iniziare la concorrenza, è menzogna, com'è menzogna la libertà politica per chi mancando di educazione, d'istruzione, di mezzo e di tempo, non può esercitarne i diritti.
E per difetto di un'equa distribuzione della ricchezza, d'un più giusto riparto dei prodotti, d'un aumento progressivo della cifra dei consumatori, il capitale stesso si svia dal suo vero scopo economico, s'immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece di spandersi tutto nella circolazione, si dirige verso la produzione d'oggetti superflui, di lusso, di bisogni fittizi, invece di concentrarsi sulla produzione degli oggetti di prima necessità per la vita o si avventura in pericolose e spesso immorali speculazioni.
Oggi il capitale e questa è la piaga della Società economica attuale è despota del lavoro.
Delle tre classi che oggi formano economicamente la Società capitalisti, cioè detentori dei mezzi o strumenti del lavoro, terre, fattorie, numerario, materie prime intraprenditori, capilavoro, commercianti, che rappresentano o dovrebbero rappresentare l'intelletto e operai che rappresentano il lavoro manuale la prima, sola, è padrona del campo, padrona di promuovere, indugiare, accelerare verso certi fini il lavoro.
E la sua parte negli utili del lavoro, nel lavoro della produzione, è comparativamente determinata: la locazione degli strumenti del lavoro non varia se non tra limiti noti e ristretti; e il tempo, fino a un certo segno almeno, è suo, non in balìa dell'assoluto bisogno.
La parte dei secondi è incerta, dipendente dal loro intelletto, dalla loro attività, ma segnatamente dalle circostanze, dallo sviluppo maggiore o minore della concorrenza e dal rifluire o ritirarsi, in conseguenza d'eventi non calcolabili, dei capitali.
La parte degli ultimi, degli operai, è il salario determinato anteriormente al lavoro e senza riguardi agli utili maggiori o minori che esciranno dall'impresa; e i limiti fra i quali il salario si aggira, sono determinati dalla relazione che esiste fra il lavoro offerto e il lavoro richiesto,in altri termini, tra la popolazione degli operai ed il capitale.
Or la prima tendendo all'aumento e ad un aumento che supera generalmente, non fosse che di poco, l'aumento del secondo, il salario tende, ove altre cause non s'infrappongano, a scendere.
E il tempo non è nelle mani dell'operaio: le crisi finanziarie e politiche, la subita applicazione di nuove macchine ai rami diversi dell'attività industriale, le irregolarità nella produzione e il suo frequente soverchio accumularsi in unica direzione inseparabile da una poco illuminata concorrenza, il riparto ineguale del popolo dei lavoranti su certi punti o su certi rami d'attività, e dieci altre cause interrompendo il lavoro, non lasciano all'operaio la libera scelta delle sue condizioni. Da un lato sta per lui l'assoluta miseria, dall'altro l'accettazione d'ogni patto che gli venga proposto.
Condizione siffatta di cose ha, ripeto, il germe in sé d'una piaga che bisogna curare. I rimedi proposti dagli economisti sono inefficaci per questo.
E nondimeno, v'è progresso nella condizione della classe alla quale voi appartenete: progresso storico, continuo, che ha superato ben altre difficoltà.
Voi foste schiavi, voi foste servi, voi siete in oggi assalariati.
V'emancipaste dalla schiavitù, dal servaggio; perché non v'emancipereste dal giogo del salario per diventare produttori liberi, padroni della totalità del lavoro della produzione ch'esce da voi? Perché tra l'opera vostra e l'opera della Società, che ha doveri sacri verso i suoi membri, non si compirebbe pacificamente la più grande, la più bella rivoluzione che possa idearsi, quella che, dando come base economica al consorzio umano il lavoro, come base alla proprietà i frutti del lavoro, raccoglierebbe, sotto una sola legge d'equilibrio tra la produzione e il consumo,senza distinzione di classi, senza predominio tirannico d'uno degli elementi del lavoro sull'altro, tutti i figli della stessa madre, la PATRIA?
§ 2
[Proprietà]
Il senso di dovere sociale verso gli uomini del lavoro, al quale ho accennato finora, andava, mercé sopratutto la predicazione repubblicana, crescendo negli animi e assicurando l'avvenire popolare delle rivoluzioni, quando sorsero negli ultimi trent'anni, in Francia segnatamente, alcune scuole d'uomini buoni generalmente e amici del popolo, ma trascinati da soverchio amore di sistema e da vanità individuale, che sotto nome di socialismo proposero dottrine esclusive, esagerate, avverse spesso alla ricchezza già conquistata dall'altre classi ed economicamente impossibili, e spaventando la moltitudine dei piccoli borghesi e suscitando diffidenza fra ordini e ordini di cittadini, fecero retrocedere la questione e divisero in due il campo repubblicano.
Io non posso esaminare con voi ad uno ad uno quei diversi sistemi, che furono chiamati Sansimonismo, Fourierismo, Comunismo, o con altro nome.
Fondati quasi tutti sopra idee buone in sé e accettate da quanti appartengono alla Fede del Progresso, le guastavano o le cancellavano coi mezzi di applicazione che proponevano falsi o tirannici.
Ed è necessario ch'io v'accenni brevemente in che cosa peccavano.
Il Progresso si compie per legge che nessuna potenza umana può rompere, grado a grado, collo sviluppo colla modificazione perpetua degli elementi che manifestano l'attività della vita.
Gli uomini hanno spesso, in certe epoche, in certi paesi, e sotto l'influenza di certi pregiudizi e di certi errori, dato il nome d'elementi, di condizioni della vita sociale, a cose che non hanno radice nella natura, ma solamente nelle abitudini convenzionali d'una società traviata, e che dopo quell'epoca o al di là dei limiti di quei paesi, spariscono.
Ma voi potete scoprire quali veramente siano gli elementi inseparabili dall'umana natura, interrogando, come altrove vi dissi, gli istinti dell'anime vostre e verificando nella tradizione di tutti i tempi, di tutti i paesi, se quei vostri istinti siano stati sempre gl'istinti dell'Umanità. E quelli, che una voce ingenita in voi (è la grande voce dell'Umanità) v'addita come elementi costitutivi della vita, devono essere modificati, sviluppati sempre d'epoca in epoca ma non possono essere aboliti mai.
Tra questi elementi della vita umana, oltre la Religione, la Libertà, l'Associazione ed altri accennati nel corso di questo lavoro è pure la Proprietà.
Il principio, l'origine della Proprietà, sta nella natura umana e rappresenta la necessità della vita materiale dell'individuo ch'egli ha dovere di mantenere. Come per mezzo della religione, della scienza, della libertà, l'individuo è chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare il mondo morale ed intellettuale, egli è pure chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare, per mezzo del lavoro materiale, il mondo fisico. Ela proprietà è il segno, la rappresentazione del compimento di quella missione, della quantità di lavoro col quale l'individuo ha trasformato, sviluppato, accresciute le forze produttrici della natura.
La proprietà è dunque eterna nel suo principio, e voi la trovate esistente e protetta attraverso tutta quanta l'esistenza dell'umanità. Ma i modi coi quali la proprietà si governa sono mutabili, destinati a subire, come tutte l'altre manifestazioni della vita umana, la legge del Progresso.
Quei che, trovando la proprietà costituita in un certo modo, dichiarano quel modo inviolabile e combattono quanti intendono a trasformarlo, negano dunque il Progresso: basta aprire due volumi di storia appartenente a due epoche diverse, per trovarvi un cangiamento nella costituzione della Proprietà. E quei che trovandola in una certa epoca mal costituita, dichiarano che bisogna abolirla, cancellarla dalla società, negando un elemento della umana natura, se potessero mai riescire, ritarderebbero il Progresso, mutilando la Vita: la proprietà riapparirebbe inevitabilmente poco tempo dopo, e probabilmente sotto la forma che aveva al tempo della sua abolizione.
La proprietà è in oggi mal costituita, perché l'origine del riparto attuale sta generalmente nella conquista, nella violenza colla quale, in tempi lontani da noi, certi popoli e certe classi invadenti s'impossessarono delle terre e dei frutti d'un lavoro non compito da essi.
La proprietà è mal costituita, perché le basi del riparto dei frutti d'un lavoro compito dal proprietario e dall'operaio, non sono fondate sopra una giusta eguaglianza proporzionata al lavoro stesso.
La proprietà è mal costituita, perché conferendo a chi l'ha, diritti politici e legislativi che mancano all'operaio, tende ad esser monopolio di pochi e inaccessibile ai più.
La proprietà è mal costituita, perché il sistema delle tasse è mal costituito, e tende a mantenere un privilegio di ricchezza nel proprietario, aggravando le classi povere e togliendo loro ogni possibilità di risparmio.
Ma se, invece di correggere vizi e modificare lentamente la costituzione della Proprietà voi voleste abolirla, sopprimereste una sorgente di ricchezza, di emulazione, d'attività, e somigliereste al selvaggio, che per cogliere il frutto troncava l'albero.
Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla.
Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo si che il lavoro solo possa produrla.
Bisogna avviare la società verso basi più eque di rimunerazione tra il proprietario o capitalista e l'operaio.
Bisogna mutare il sistema delle tasse, tanto che non colpiscano la somma necessaria alla vita e lascino al popolano facoltà di economie produttive a poco a poco di proprietà.
E perché ciò avvenga, bisogna sopprimere i privilegi politici concessi alla proprietà, e far sì che tutti contribuiscano all'opera legislativa.
Or tutte queste cose sono possibili e giuste. Educandovi, ordinandovi a chiederle con insistenza, poi a volerle, potreste ottenerle; mentre cercando l'abolizione della proprietà, cerchereste una impossibilità, fareste un'ingiustizia verso chi l'ha conquistata col proprio lavoro e diminuireste la produzione invece di accrescerla.
§ 3
[Comunismo]
L'abolizione della proprietà individuale nondimeno è il rimedio proposto da parecchi tra i sistemi di socialisti dei quali vi parlo, e segnatamente del comunismo.
Altri vanno oltre; e trovando il concetto religioso, il concetto di patria falsati dagli errori religiosi, dagli uomini del privilegio e dall'egoismo delle dinastie, chiedono l'abolizione d'ogni religione, d'ogni governo, d'ogni nazionalità. È procedere di fanciulli o di barbari. Perché in nome delle malattie generate da un'aria corrotta, non tenterebbero la soppressione d'ogni gaz respirabile?
L'idea di chi vorrebbe, in nome della libertà, fondar l'anarchia e cancellar la società per non lasciare che l'individuo co' suoi diritti, non ha bisogno, con voi, di confutazione da me; tutto il mio lavoro combatte quel sogno colpevole che rinnega progresso, doveri, fratellanza umana, solidarietà di nazioni, ogni cosa che voi ed io veneriamo.
Ma il sogno di quei che, limitandosi alla quistione economica, chiedono l'abolizione della proprietà individuale e l'ordinamento del comunismo, tocca l'estremo opposto, nega l'individuo, nega la libertà, chiude la via al progresso e impietra per così dire la Società.
La formola generale del comunismo è la seguente: la proprietà d'ogni cosa che produce terre, capitali, mobili, strumenti di lavoro, sia concentrata nello Stato; lo Stato assegni la sua parte di lavoro, a ciascuno; lo Stato assegni a ciascuno una retribuzione, secondo alcuni, con assoluta eguaglianza, e secondo altri, a seconda dei suoi bisogni.
Questa, se fosse possibile, sarebbe vita di castori non d'uomini.
La libertà, la dignità, la coscienza dell'individuo spariscono in un ordinamento di macchine produttrici. La vita fisica può esservi soddisfatta: la vita morale, la vita intellettuale sono cancellate, e con esse l'emulazione, la libera scelta del lavoro, la libera associazione, gli stimoli a produrre, le gioie della proprietà, le cagioni tutte che inducono a progredire.
La famiglia umana è, in quel sistema, un armento al quale basta essere condotto ad una sufficiente pastura. Chi tra voi vorrebbe rassegnarsi a programma siffatto?
L'eguaglianza è conquistata, dicono. Quale?
L'eguaglianza nella distribuzione del lavoro? È impossibile. I lavori sono di natura diversa, non calcolabile sulla durata o sulla somma di lavoro compita in un'ora, ma sulla difficoltà, sulla minore o maggiore spiacevolezza del lavoro, sul dispendio di vitalità che trascina con sé, sull'utile conferito da esso alla società.
Come calcolar l'eguaglianza di un'ora di lavoro passata in una miniera, o nel purificare l'acqua corrotta di una palude, con un'ora passata in un filatoio?
La impossibilità di siffatto calcolo è tale, che ha suggerito a taluno tra i fondatori di sistemi l'idea di far che ciascuno debba compiere alla volta sua un certo ammontar di lavoro in ogni ramo di utile attività: rimedio assurdo che renderebbe impossibile la bontà dei prodotti senza giungere a sopprimere l'ineguaglianza tra il debole ed il robusto, tra il capace ed il lento nell'intelletto, tra l'uomo di temperamento linfatico e l'uomo di temperamento nervoso. Il lavoro facile e gradito all'uno è grave e difficile all'altro.
L'eguaglianza nel riparto dei prodotti? È impossibile. O l'eguaglianza sarebbe assoluta e costituirebbe una immensa ingiustizia, non distinguendo tra i bisogni diversi, il risultato dell'organismo, né tra le forze e la capacità acquistate per un senso di dovere e le forze e la capacità ricevute, senza merito alcuno, dalla natura. O l'eguaglianza sarebbe relativa e calcolata sui bisogni diversi; e non tenendo conto della produzione individuale, violerebbe i diritti di proprietà che il lavorante deve avere per i frutti del suo lavoro.
Poi, chi sarebbe arbitro di decidere intorno ai bisogni d'ogni individuo? Lo Stato?
Operai, fratelli miei, siete voi disposti ad accettare una gerarchia di capi padroni nella proprietà comune, padroni dello spirito per mezzo d'una educazione esclusiva, padroni dei corpi per mezzo della determinazione dell'opera, della capacità, dei bisogni?
Non è per questo il rinnovamento dell'antica schiavitù?
Non sarebbero quei capi trascinati dalla teoria d'interesse che rappresenterebbero, e sedotti dall'immenso potere concentrato nelle loro mani, fondatori della dittatura ereditaria delle antiche caste?
No; il Comunismo non conquista l'eguaglianza fra gli uomini del lavoro: non aumenta la produzione ch'è la grande necessità dell'oggi perché fatta sicura la vita la natura umana, come s'incontra nei più, è soddisfatta, e l'incentivo a un accrescimento di produzione da diffondersi su tutti i membri della società diventa sì piccolo che non basta a scotere le facoltà; non migliora i prodotti; non conforta il progresso nelle invenzioni; non sarà mai aiutata dalla incerta, ignara direzione collettiva dell'ordinamento.
Ai mali che affaticano i figli del popolo, il Comunismo non ha che un rimedio per proteggerli dalla fame. Or non può farsi questo, non può assicurarsi il diritto alla vita ed al lavoro dell'operaio senza sovvertire tutto quanto l'ordine sociale, senza isterilire la produzione, senza inceppare il progresso, senza cancellare la libertà dell'individuo e incatenarlo, in un ordinamento soldatesco tirannico?
§ 4
[Associazioni]
Il rimedio alle vostre condizioni non può trovarsi in organizzazioni generali, arbitrarie, architettate di pianta da uno o altro intelletto, contraddicenti alle basi universali adottate nel viver civile e impiantate subitamente per vie di decreti.
Non può trovarsi in aumenti di salarii imposti dall'autorità governativa, senz'altri cangiamenti che aumentano i capitali: l'aumento delle spese di salarii, cioè l'aumento delle spese di produzione, trascinerebbe il rincarimento dei prodotti, la diminuzione del consumo e quella quindi del lavoro per gli operai.
Non può trovarsi in cosa alcuna che cancelli la libertà, consacrazione e stimolo del lavoro: né in cosa alcuna che diminuisca i capitali, strumenti del lavoro e della produzione.
Il rimedio alle vostre condizioni è l'unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani.
Quando la società non conoscerà distinzione fuorché di produttori e consumatori o meglio quando ogni uomo sarà produttore e consumatore quando i frutti del lavoro, invece di ripartirsi tra quella serie d'intermediari che, cominciando dal capitalista e scendendo sino al venditore a minuto, accresce sovente del cinquanta per cento il prezzo del prodotto, rimarranno interi al lavoro le cagioni permanenti di miseria spariranno per voi.
Il vostro avvenire è nella vostra emancipazione dalle esigenze d'un capitale arbitro in oggi d'una produzione alla quale rimane straniero.
I1 vostro avvenire materiale e morale. Guardatevi intorno. Ovunque voi trovate il capitale e il lavoro riunito nelle stesse mani ovunque i frutti del lavoro sono non foss'altro, ripartiti fra quanti lavorano, in ragione del loro aumento, in ragione dei loro benefizi all'opera collettiva voi trovate diminuzione di miseria e a un tempo aumento di moralità.
Il lavoro associato, il riparto dei frutti del lavoro, ossia del ricavato della vendita dei prodotti, tra i lavoranti in proporzione del lavoro compiuto e dal valore di quel lavoro; è questo il futuro sociale. In questo sta il segreto della vostra emancipazione.
Foste schiavi un tempo: poi servi: poi assalariati: sarete fra non molto, purché il vogliate, liberi produttori e fratelli nell'associazione.
Associazione di nuclei formati a seconda delle vostre tendenze, non come vorrebbero gli autori dei sistemi ch'io vi accennai, di tutti gli uomini appartenenti a un dato ramo d'attività industriale o agricola.
Il concentramento di tutti gl'individui addetti, nello Stato o anche in una sola città, ad un'arte in una sola società produttrice, ricondurrebbe l'antico tirannico monopolio delle Corporazioni, renderebbe i produttori arbitri dei prezzi a danno dei consumatori; darebbe forma legale all'oppressione delle minoranze; esilierebbe l'operaio malcontento da ogni possibilità di lavoro, e sopprimerebbe ogni necessità di progresso spegnendo ogni rivalità di lavoro, ogni stimolo alle invenzioni.
E questa trasformazione, emancipandovi dalla schiavitù del salario, avviverebbe a un tempo, a pro di tutte le classi, la produzione e migliorerebbe lo stato economico del paese.
Oggi, il capitalista tende generalmente a guadagnare quanto più può per ritirarsi dall'arena del lavoro: sotto l'ordinamento dell'associazione, voi non tendereste che ad accertare la continuità del lavoro, cioè della produzione.
Oggi, il capo, direttore dei lavori, fatto tale non da una speciale attitudine ma dal suo trovarsi fornito di capitali, è spesso improvvido, avventato, incapace: una associazione, diretta da delegati, invigilata da tutti i suoi membri, non correrebbe rischi siffatti.
Oggi, il lavoro è spesso diretto verso la produzione d'oggetti superflui, non necessari: mercé l'ineguaglianza capricciosa e ingiusta delle retribuzioni, i lavoranti abbondano in un ramo, fanno d'attività e difetto in un altro; l'operaio, limitato a una mercede determinata, non ha motivo per consacrare all'opera sua tutto lo zelo del quale è capace, tutta l'attività colla quale ei potrebbe moltiplicare o migliorare i prodotti. E l'associazione porrebbe evidentemente rimedio a queste ed altre cagioni il perturbazione o d'inferiorità nella produzione.
Libertà di ritirarsi, senza nuocere all'associazione - eguaglianza dei socii nell'elezione d'amministratori a tempo o meglio soggetti a revoca ammessione, posteriormente alla fondazione, senza esigenza di capitale da versarsi e costituzione d'un prelevamento, a pro del fondo comune, sui benefizi dei primi tempi indivisibilità,
perpetuità del capitale collettivo, retribuzione per tutti, eguale alla necessità della vita riparto degli utili a seconda della quantità e della qualità del lavoro di ciascuno son queste le basi generali che voi, se volete far opera di avvenire per l'elemento al quale appartenete, dovrete dare alle vostre associazioni.
Ma il capitale? Il capitale primo col quale potrà iniziarsi l'associazione? Da dove ritrarlo?
È grave questione; né io posso qui trattarla come vorrei. Ma vi accennerò sommariamente il dovere vostro e l'altrui.
La prima sorgente di quel capitale sta in voi, nelle vostre economie, nel vostro spirito di sagrificio.
Conclusione
§ 1 [Provvedimenti economici]
Ma lo Stato, il Governo istituzione legittima soltanto quando è fondata sopra una missione d'educazione e di progresso oggi ancora fraintesa ha debito solenne verso voi che potrà facilmente compiere se sarà un giorno Governo Nazionale davvero, di Popolo libero ed Uno.
Una vasta serie d'aiuti potrà scendere allora dal Governo al Popolo, che risolverebbe il problema sociale senza spogliazioni, senza violenze, senza manomettere la ricchezza acquistata anteriormente dai cittadini, senza suscitare quell'antagonismo tra classe e classe ch'è ingiusto, immorale, fatale alla Nazione e che ritarda in oggi visibilmente il progresso francese.
E aiuti potenti sarebbero:
- L'influenza morale esercitata a pro delle Associazioni coll'approvazione manifestata pubblicamente dagli agenti governativi, colla frequente discussione sul loro principio fondamentale nell'Assemblea, colla legalizzazione data a tutte le Associazioni volontarie costituite sulle basi accennate più sopra:
- Miglioramenti nelle vie di comunicazione e abolizione di quanto inceppa ora il trasporto dei prodotti:
- Istituzione di magazzini o luoghi di deposito pubblici, dai quali, accertato il valore approssimativo delle merci consegnate, si rilascerebbe un documento o bono simile a un biglietto bancario, ammesso alla circolazione e allo sconto, tanto da render capace l'Associazione di poter continuare nei suoi lavori e di non essere strozzata dalla necessità d'una vendita immediata e a ogni patto:
- Concessione dei lavori che bisognano allo Stato, data eguaglianza di patti, alle Associazioni:
- Semplificazione delle forme giudiziarie, oggi rovinose e spesso inaccessibili al povero:
- Facilità legislative date alla mobilizzazione della proprietà fondiaria:
- Mutamento radicale nel sistema dei tributi pubblici: sostituzione d'un solo tributo sul reddito all'attuale, complesso, dispendioso, sistema di tributi diretti e indiretti; e sanzione data al principio che la vita è sacra - che senza vita, non essendo possibile lavoro, né progresso né doveri, il tributo non può cominciare che dove il reddito supera la cifra di danaro necessario alla vita:
Ma v'ha di più.
L'incameramento o appropriazione dei possedimenti ecclesiastici atto ch'or non giova discutere, ma che è inevitabile ogni qual volta la Nazione s'assuma una missione d'educazione e di progresso collettivo porrà nelle mani dello Stato una somma di ricchezza più vasta che altri non pensa.
Or ponete che a questo s'aggiunga il valore rappresentato dalle terre, dissociabili e fertilissime, tuttavia incolte il valore rappresentato dagli utili delle vie ferrate e da altre pubbliche imprese, la cui amministrazione dovrà concentrarsi nello Stato il valore rappresentato dalle proprietà territoriali appartenenti ai comuni, il valore rappresentato dalle successioni collaterali, che al di là del quarto grado dovrebbero ricader nello Stato ed altri, ch'è inutile enumerare.
Ponete che di tutto questo immenso cumulo di ricchezze si formi un FONDO NAZIONALE consacrato al progresso intellettuale ed economico di tutto quanto il paese.
Perché una parte considerevole di quel fondo non si trasformerebbe, colle precauzioni richieste a impedirne lo sperpero, in un fondo di credito da distribuirsi, con un interesse dell'uno e mezzo o del due per cento, alle Associazioni volontarie operaie, costituite sulle norme indicate più sopra, e che porgerebbero sicurezza di moralità e di capacità?
Quel capitale dovrebb'essere sacro al lavoro dell'avvenire e non d'una sola generazione. Ma la vasta scala delle operazioni assicurerebbe compenso alle perdite, di tempo in tempo inevitabili.
La distribuzione di quel credito dovrebbe farsi non dal Governo, né da un Banco Nazionale Centrale; ma, invigilante il Potere Nazionale, da Banchi locali amministrati da Consigli Comunali elettivi.
Senza sottrarre alla ricchezza attuale delle varie classi, senza attribuire a una sola il ricavato dei tributi che, chiesti a tutti i cittadini, deve erogarsi a benefizio di tutti, l'insieme degli atti qui suggeriti, diffondendo il credito per ogni dove, accrescendo e migliorando la produzione, costringendo l'interesse del danaro a scemare gradatamente, affidando il progresso e la continuità del lavoro al zelo e all'utilità di tutti i produttori, sostituirebbe a una cifra di ricchezza, concentrata in poche mani e imperfettamente diretta, la nazione ricca, maneggiatrice della propria produzione e del proprio consumo.
§ 2 [Esortazioni]
Conquistate la Patria, conquistate un Governo popolare che ne rappresenti la vita collettiva, la missione, il concetto.
Ordinatevi tra voi in una vasta universale Lega di Popolo, tanto che la vostra voce sia voce di milioni e non di pochi individui. Avete il vero e la giustizia per voi; la Nazione v'ascolterà.
Quei che vi parlano in nome del benessere, della felicità materiale, vi tradiranno. Cercano essi pure il loro benessere: s'affratelleranno con voi, come un elemento di forza, finché avranno ostacoli da superare per conquistarlo; appena, mercé vostra, l'avranno, v'abbandoneranno per godere tranquillamente della loro conquista. È la storia dell'ultimo mezzo secolo e il nome di questo mezzo secolo è materialismo.
Io li ho veduti gli uomini che negavano Dio, religione, virtù, dovere e sacrificio, e parlavano in nome del diritto alla felicità, al godimento, lottare audaci, colle parole di popolo e libertà sulle labbra, e frammischiarsi a noi uomini della nuova fede, che imprudenti gli accoglievamo nelle nostre fila. Quando s'aprì ad essi, con una vittoria o con una transazione codarda, la via di godere, disertarono e ci furono nemici acerbi al di dopo.
No, senza Dio, senza coscienza di legge, senza moralità, senza potenza di sacrificio, perduti dietro ad uomini che non hanno né fede, né culto del vero, né vita d'apostoli, né cosa alcuna fuorché la vanità dei loro sistemi, io lo dico con profondo convincimento, non riuscirete.
Migliorare voi stessi ed altrui: è questo il primo intento ed è la suprema speranza d'ogni riforma, d'ogni mutamento sociale. Non si cangiano le sorti dell'uomo, rintonacando, abbellendo la casa dov'egli abita: dove non respira un'anima d'uomo ma un corpo di schiavo, tutte le riforme sono inutili; la casa rabbellita, addobbata con lusso, è sepolcro imbiancato, e non altro.
Voi non indurrete mai la Società alla quale appartenete a sostituire il sistema d'associazione a quello del salario, se non provandole che l'associazione sarà tra voi stromento di produzione migliorata e di prosperità collettiva. E non proverete questo, se non mostrandovi capaci di fondare e mantenere l'associazione coll'onestà, coll'amore reciproco, col sacrificio, coll'affetto al lavoro. Per progredire, vi conviene mostrarvi capaci di progredire.
Tre cose sono sacre: la Tradizione, il Progresso, l'Associazione.
«Io credo» (scrissi queste cose venti anni addietro) «nella immensa voce di Dio che i secoli mi rimandano attraverso la tradizione universale dell'Umanità; ed essa mi dice che la Famiglia, la Nazione, l'Umanità sono le tre sfere dentro le quali l'individuo umano deve lavorare al fine comune, al perfezionamento morale di se stesso e d'altrui, o meglio di se stesso attraverso gli altri e per gli altri: essa mi dice che la proprietà è destinata a manifestare l'attività materiale dell'individuo, la parte ch'egli ha nella trasformazione del mondo fisico, come il diritto di voto deve manifestare la parte ch'egli ha nell'amministrazione del mondo politico; essa mi dice che appunto dall'uso più o meno buono di questi diritti, in quelle sfere d'attività dipende davanti a Dio e agli uomini il merito o demerito degli individui; essa mi dice che tutte queste cose, elementi della natura umana, si trasformarono, si modificarono continuamente ravvicinandosi all'ideale del quale abbiamo nell'anima ma non possono essere distrutte mai; e che i sogni di comunismo, d'abolizione, di confusione dell'individuo nell'insieme sociale, non furono mai che passeggieri accidenti nella vita del genere umano, visibili in ogni grande crisi intellettuale e morale, ma incapaci di realtà se non sopra una scala menoma come i Conventi Cristiani.
Credo nell'eterno progresso della vita nella creatura di Dio, nel progresso del Pensiero e dell'Associazione, non solamente nell'uomo del passato ma nell'uomo dell'avvenire; credo che importi non tanto di determinare la forma del progresso futuro quanto di aprire, con una educazione veramente religiosa, le vie d'ogni progresso agli uomini e di renderli capaci di compirlo; e credo che non si fa l'uomo migliore, più amorevole, più nobile, più divino ciò ch'è il nostro fine sulla terra colmandolo di godimenti fisici, proponendogli a scopo della vita quella ironia che ha nome felicità.
Credo nell'Associazione come nel solo mezzo che noi possediamo per compiere il Progresso, non solamente perch'essa moltiplica l'azione delle forze produttrici, ma perch'essa ravvicina tutte le diverse manifestazioni dell'anima umana e fa sì che la vita dell'individuo abbia comunione colla vita collettiva; e so che l'associazione non può essere feconda se non esistendo fra individui liberi, fra nazioni libere, capaci di coscienza della loro missione.
Credo che l'uomo deve mangiare e vivere e non avere tutte l'ore dell'esistenza assorbite da un lavoro materiale, per aver campo di sviluppare le facoltà superiori che sono in lui; ma tende l'orecchio con terrore alle voci che dicono agli uomini: nutrirsi è
lo scopo vostro; godere è il vostro diritto, perché io so che quella parola non può creare se non egoisti, e fu in Francia, ed altrove, e comincia ad essere pur troppo in Italia, la condanna d'ogni nobile idea, d'ogni martirio, d'ogni pegno di futura grandezza.
Ciò che toglie in oggi vita all'Umanità è il difetto d'una fede comune, d'un pensiero adottato da tutti che ricongiunga Terra e Cielo, Universo e Dio. Privo di fede siffatta, l'uomo si è prostrato davanti alla morta materia, e s'è consacrato adoratore dell'idolo Interesse. E i primi sacerdoti di quel culto fatale furono i re, i principi e i tristi Governi dell'oggi. Essi inventarono l'orribile formula: ciascuno per sé: sapevano che con essa, creerebbero l'egoismo: e sapevano che tra l'egoista e lo schiavo non è che un passo».
A voi spetta una solenne missione: provare che siamo tutti figli di Dio e fratelli in Lui. Voi non la compirete se non migliorandovi e soddisfacendo al Dovere.
Io v'ho additato, come meglio ho potuto, qual sia il Dovere per voi. E il principale, il più essenziale fra tutti, è quello che avete verso la Patria.
Costituirla è debito vostro; ed è pure necessità. Gl'incoraggiamenti, i mezzi dei quali v'ho parlato, non possono venire che dalla Patria Una e Libera.
Il miglioramento delle vostre condizioni sociali non può scendere che dal vostro partecipare nella vita politica della Nazione. Senza voto, non avrete mai rappresentanti veri delle vostre aspirazioni, dei vostri bisogni.
Senza un Governo popolare che da Roma scriva e svolga il PATTO ITALIANO, fondato sui consensi e rivolto al progresso di tutti i cittadini dello Stato, non è per voi speranza di meglio.
E v'additerò, nell'accomiatarmi da voi, un altro Dovere, non meno solenne di quello che ci stringe a fondare la Patria Libera ed Una.
La vostra emancipazione non può fondarsi che sul trionfo d'un Principio: l'unità della Famiglia Umana.
Oggi, la metà della famiglia umana, la metà a cui noi cerchiamo ispirazioni e conforti, la metà che ha in cura la prima educazione dei nostri figli, è, per singolare contraddizione, dichiarata, civilmente, politicamente, socialmente ineguale, esclusa da quell'unità. A voi che cercate, in nome d'una verità religiosa, la vostra emancipazione, spetta di protestare in ogni modo, in ogni occasione, contro quella negazione dell'Unità.
L'emancipazione della donna dovrebbe essere continuamente accoppiata coll'emancipazione dell'operaio, dando così al vostro lavoro la consacrazione d'una verità universale.
MAZZINI, GIUSEPPE
(Genova 1805 - Pisa 1872). Politico italiano. Figlio di un medico, Giacomo, attivo giacobino in età napoleonica, e di Maria Drago, dotata di un sentimento religioso inclinante al giansenismo, fu avviato allo studio della medicina, che abbandonò, attratto dalla lotta politica.
LA GIOVANE ITALIA E LA GIOVANE EUROPA. I falliti moti del 1820-1821 e lo studio dei maggiori autori romantici (primo fra tutti Ugo Foscolo) lo spinsero, insieme ad alcuni coetanei, a una riflessione originale sulle cause che impedivano l'unificazione del paese. Affiliato alla carboneria dal 1827, si laureò in giurisprudenza ed elaborò i suoi primi saggi letterari, impregnati di un forte sentimento romantico. Arrestato su indicazione di un delatore, finì carcerato nel forte di Savona fino al gennaio 1831; rilasciato, si recò prima in Svizzera, poi a Marsiglia. All'estero lo raggiunse la notizia dell'insurrezione nei ducati e nelle legazioni emiliano-romagnole (1831), che lo spinse a scrivere a Carlo Alberto, cui si rivolse in nome della libertà e del sentimento nazionale. A Marsiglia, inoltre, fondò la Giovane Italia (e l'omonimo periodico), associazione a carattere repubblicano, nazionale unitario e democratico, che si differenziava dalle sette carbonare per la chiarezza del disegno politico, noto a tutti gli aderenti, il ripudio dei rituali clandestini, la volontà di formare con l'apostolato un'opinione pubblica di sentimenti italiani. In Francia Mazzini subì l'influenza del sansimonismo, che segnò il suo pensiero sociale: di qui il rifiuto della lotta di classe, la persuasione che le società andassero articolandosi secondo diverse funzioni produttive non antagoniste ma complementari e l'intuizione, poi sviluppata originalmente, della forma associativa intesa come potente mezzo di progresso e di emancipazione. La Giovane Italia conobbe un immediato successo, presto vanificato dalla dura repressione operata dalla polizia del regno sardo. Arresti e fucilazioni spinsero Mazzini a trasferirsi a Ginevra. Fallito sul nascere il progetto di una spedizione armata in Savoia (1834), durante un nuovo soggiorno in Svizzera Mazzini fondò la Giovane Europa (aprile 1934), un'associazione rivoluzionaria d'ispirazione repubblicana, sorta grazie al coinvolgimento di esuli italiani, tedeschi e polacchi. Il nuovo sodalizio si proponeva di attivare un programma di azione comune ai vari gruppi democratici europei, nella prospettiva di una carta continentale ridisegnata sulla base del principio di nazionalità. L'anno successivo (1835), in Fede e avvenire, Mazzini teorizzava la fine del primato rivoluzionario della Francia che, con il 1789, aveva concluso il lungo ciclo delle lotte per l'affermazione dei diritti individuali, e il passaggio dell'iniziativa emancipatrice ai nuovi popoli oppressi, in particolare all'italiano. Costretto a fuggire anche dalla Svizzera, superata la tempesta del dubbio, innescata dal tributo di sangue pagato dai cospiratori alla causa dell'indipendenza nazionale, Mazzini, agli inizi del 1837, giungeva a Londra. Gli studi letterari, i rapporti stretti con gli autori più celebrati del romanticismo europeo (Thomas Carlyle, Hugues Lamennais, George Sand), l'organizzazione di giornali operai e di scuole per i figli degli emigrati italiani furono momenti significativi della sua opera di sensibilizzazione e di apostolato condotta in seno all'opinione pubblica britannica. Egli continuò, tuttavia, a lavorare per una soluzione rivoluzionaria della questione italiana. Fallito il moto dei fratelli Bandiera (1844), peraltro non direttamente riconducibile al suo progetto insurrezionale, Mazzini contrastò duramente la pubblicistica d'ispirazione riformistica e neoguelfa (Balbo, Gioberti), benché le speranze suscitate da Pio IX lo inducessero nel 1847 a un atteggiamento meno intransigente. Scoppiata la rivoluzione a Parigi (febbraio 1848), si spostò in Francia, dove fondò l'Associazione nazionale italiana; passò poi a Milano insorta contro l'Austria, per battersi contro la fusione con il Piemonte e in favore dell'unità repubblicana e democratica. Riparato a Lugano in seguito alla repressione dell'insurrezione milanese, tramontata la guerra di popolo con la repressione del moto in Val d'Intelvi (ottobre 1848), giunse nuovamente a Marsiglia; di qui, sbarcato a Livorno, raggiunse Firenze, dove un governo democratico, retto da Montanelli, Guerrazzi e Mazzoni, aveva rovesciato il granduca. Nel frattempo, fuggito Pio IX a Gaeta, l'Assemblea costituente dello stato provvisorio romano, sotto la spinta dei mazziniani, aveva dato vita a una repubblica (9 febbraio 1849).
LA SCONFITTA DEL PROGRAMMA REPUBBLICANO E DEMOCRATICO. Mazzini cercò invano di favorire la fusione fra i due centri rivoluzionari, primo nucleo di una possibile repubblica italiana, che sarebbe dovuta scaturire da una costituente eletta a suffragio universale; si trasferì quindi a Roma, dove, il 29 marzo, insieme con Aurelio Saffi e Carlo Armellini fu eletto triumviro dall'assemblea. L'esperimento democratico fallì dopo pochi mesi a causa dell'intervento delle truppe francesi, austriache, spagnole e napoletane. Braccato dalle polizie europee, Mazzini fu costretto di nuovo all'esilio in Francia, poi in Svizzera, infine in Gran Bretagna. A Londra cercò di raccogliere intorno a un Comitato democratico europeo (1850) gli emigrati politici fuggiti dal continente dopo i fallimenti del 1848; tentò di ricostituire la tela della cospirazione, distrutta per l'ennesima volta dalle autorità austriache (fatti di Milano del febbraio 1853), affidandosi alla nuova struttura del Partito d'azione. Nel 1857 tornò a Genova per organizzare un moto, mentre il disegno d'insurrezione nel Mezzogiorno, perseguito da Carlo Pisacane, naufragava a Sapri. Condannato a morte due volte in contumacia dai piemontesi (1833 e 1857), da Londra Mazzini avversò la soluzione diplomatica della questione italiana prospettata da Cavour; nel 1859, tuttavia, spinse i suoi a mettere da parte la pregiudiziale istituzionale e a combattere sotto le insegne sabaude. Giunto a Napoli nel 1860 sull'onda del successo della spedizione dei Mille, insistette inutilmente affinché Garibaldi trattasse alla pari con Vittorio Emanuele l'annessione del Mezzogiorno. Ritiratosi a Lugano, poi a Londra, non riconobbe la soluzione monarchica del processo unitario, diffidò dei tentativi garibaldini su Roma (1862 e 1867) e si dedicò nuovamente alla cospirazione. La Falange sacra (1864) e l'Alleanza repubblicana universale (1866) furono le ultime associazioni cui diede vita. Arrestato a Palermo nel 1870 mentre si apprestava a guidare un moto nell'isola, rinchiuso a Gaeta, fu poi amnistiato e tornò in esilio. Fondò quindi "La Roma del popolo" (1871), dalle cui pagine si scagliò contro la Comune di Parigi e l'Internazionale. Ostile a Marx e avverso al concetto di lotta di classe, banditore di una religiosità laica contro il materialismo ateo, favorevole a una forte educazione morale dell'operaio, legato a un ideale di lavoro autonomo e di cogestione già predicato nei Doveri dell'uomo (1860), nel novembre 1871, a Roma, ispirava il Patto di fratellanza fra le società operaie, che segnava l'atto di nascita del movimento operaio democratico in Italia. Morì il 10 marzo 1872 a Pisa, sotto il falso nome di dottor Brown.
Della Giovine Italia
Le parole di Cousin, poste in fronte all'articolo, racchiudevano, parmi, un alto senso politico, e compendiavano in certo modo la scienza del moto sociale nel secolo XIX. Egli le proferiva parlando allo Zschokke, e Zschokke, canuto, ma d'anima giovine e repubblicana, le raccoglieva con amore, e le registrava in fronte a un suo libro, intravvedendovi una profezia di vittoria e di civiltà.
Quando Cousin parlava quelle parole, la Francia era schiava a un dipresso, com'oggi noi siamo. I miracoli repubblicani tornati in nulla, le corruttele de' governi nulli, intermedi fra la Convenzione e Bonaparte, la servilità dell'Impero, che trasparivano attraverso il manto di gloria steso dal genio dell'uomo del destino, poi la tirannide del ristoramento, le brighe sacerdotali e gesuitiche, le delusioni, e la cortigianeria prevalente aveano diffuso un sonno sulle menti degli uomini dell'89, una pace stanca, un silenzio di rovina, che vietava ogni speranza di meglio. Le forze della generazione nata fra i due secoli XVIII e XIX, s'erano consumate ne' quaranta anni di guerra ostinata e di sacrifici, spesi a ricadere nel fango d'onde avea voluto levarsi. Gli uomini che aveano veduto il primo e l'ultimo giorno d'una rivoluzione destinata a mutare le sorti europee, disperavano del progresso. Tante credenze s'erano accumulate in quello spazio di tempo, e tante volte la prepotenza de' fatti le avea soffocate, che gli animi erano giunti a rinnegare ogni fede, e gl'intelletti giacevano sconfortati, avviliti, sfiduciati dell'avvenire. Le teoriche filosofiche, perduta ogni attività d'esame, ogni eccitamento di contrasto, dormivano nel materialismo delsecolo XVIII, e confinavano l'uomo nell'esercizio delle facoltà individuali. Letteratura non v'era, tranne nelle accademie, vendute al potere, qualunque si fosse, e inerti, per natura d'ogni collegio privilegiato. Era quel momento di riposo che segna l'ultimo moto d'una razza la cui missione è compiuta, e il primo d'un'altra che raccoglie le proprie forze a incominciare lo sviluppo di quella che ogni nuovo secolo affida a' suoi figli.
Il secolo XIX sentiva la propria missione. I fatti accumulati dal secolo passato erano troppi, perché le conseguenze potessero cancellarsi con un trattato. L'elemento giovane fermentava tacitamente. Troppo debole ancora per combattere a visiera levata la tirannide politica ne' suoi dominii, s'agitava intorno al vecchio edificio sociale novamente puntellato, avvezzandosi a guardarlo, a misurarlo senza paura e venerazione, studiandone il lato più fragile, logorandolo, poiché al centro non poteva, per ogni dove all'intorno. Mancava la unione, mancava la concordia in alcuni principii fondamentali allo sviluppo de' quali si concentrassero gli sforzi individuali; mancava un simbolo alla religione che cominciava a farsi via tra le rovine d'un culto perduto, che i re tentavano rinvigorire col terrore delle baionette; ma lo studio, non foss'altro, che gl'ingegni nati col secolo ponevano nelle diverse molle sociali, la tendenza che spingeva le menti alle scienze storico-filosofiche, l'affetto che viveva nelle grandi memorie protestavano contro agli inetti, che negavano il progresso, o s'attentavano d'arrestarlo. Allora sorsero alcuni uomini, potenti d'intelletto e di dottrina, che avevano desunta dalle pagine di Vico e d'altri la teorica d'un perfezionamento progressivo indefinito, e si consecrarono apostoli del rinnovamento morale. Rinnegarono l'autorità, rinnegarono quanto d'esclusivo si racchiudeva ne' mille sistemi, creazione e pascolo dello spirito umano. Guardarono con occhio d'aquila le linee storiche del passato, risuscitarono la idea spirituale, eressero un altare alla civiltà nel santuario della coscienza, e chiamarono la giovine Francia a sagrificare su quell'altare, salutandola speranza della patria, potente, rigeneratrice. La giovine Francia rispose a quel grido: la giovine Francia, ardita, impaziente, fiduciosa, e spronata dall'entusiasmo, non aveva raccolto del passato che i sommi principii, risultati de' fatti, senza aver subìta l'iniziazione spesso funesta de' fatti stessi, e si slanciò dietro a quella bandiera. Tentò quante vie s'affacciavano: assunse a tempo quante forme si offrivano interpreti del pensiero generoso. Fu romantica, ecclettica, protestante. Si arrestò, appassionandosi, intorno al medio evo, sulle teoriche trascendentali, nelle incertezze del misticismo. Ma sempre, attraverso tutte le fasi, sotto le varie gradazioni che avviavano l'intelletto alla verità, nelle lettere, nell'arti, nella filosofia, traspariva la coscienza d'una forza indipendente da' vincoli materiali, traspariva lo spirito di libertà, solo eterno, solo onnipotente a mutare in meglio le condizioni civili; ma dietro a quella gioventù desiosa, insisteva una voce che gridava: innanzi! innanzi! - Protestantismo, Romanticismo, Ecclettismo erano tendenze di transizione: preludi ne' quali l'intelletto sviluppava, esercitava le proprie forze, prima d'intraprendere dirittamente la via del rinnovamento. Bensì, quei primi che il caso avea cacciati a condottieri di tanta intrapresa, avevano forze ineguali all'ufficio. Più eloquenti che logici, più vasti che profondi nelle loro osservazioni, più ambiziosi forse che caldi veramente della fiamma santa che crea il genio protettore delle razze umane, avevano intravveduto un istante la missione del secolo, e s'erano smarriti davanti alla sua grandezza. Come Pietro Eremita, aveano sollevato lo stendardo d'una crociata senza ammetterne, senza intenderne le inevitabili conseguenze. Tentennavano fra diversi sistemi, malcontenti di tutto, non rifiutandone alcuno, senz'ardire per distruggerli, senza fede o potenza per crearne un nuovo. Rivelati alcuni principii, procedevano paurosi nelle applicazioni, titubavano nello sviluppo delle proposizioni che aveano prefisse a' loro libri, a' loro insegnamenti, a' loro giornali. Volevano insomma rovinare il passato, ma senza creare l'avvenire, senza accettare l'eredità de' padri, senza sacrificarsi per essa. -
Ma la eredità de' padri era tale, e santa di tanta solennità di sventura, che i figli non potevano rinunziarvi per amor de' maestri. Per venti anni d'eroismo e di sacrificio non v'è fiume d'obblio, e la gioventù ridestata una volta, trascorse oltre ai confini che le segnavano. I padri aveano predicata una fede, i padri l'aveano suggellata col sangue; ma, come il secondo Gracco, aveano cacciata una stilla di quel sangue verso il Cielo, sclamando: frutti il vendicatore! - Quel sangue ardeva nelle vene de' figli, e la fede de' padri s'affacciava ad essi raggiante, pura, più cara, perché incoronata dalla palma del martirio, bella di speranze e d'un'intera promessa. La rivoluzione dell'89 avea mostrata in compendio tutta la carriera di riforma che dovea corrersi. Una generazione l'avea divorata coll'ansia di chi scopre una nuova terra, a balzi, a slanci, senz'arrestarsi. I primi intraprenditori delle rivoluzioni sono vittime consecrate, e si muojono; ma i principii non muojono, e le generazioni che tengono dietro s'assumono d'educarli, di svolgerli, di trarre da' primi contorni un quadro immortale, di ricorrere più lentamente, ma più stabilmente la via che i primi hanno segnata. La grande rivoluzione sociale, della quale la rivoluzione francese avea dato il programma, incominciava appena, quand'altri s'illudeva d'averla spenta. E la gioventù, fatta accorta della propria potenza, accettò la missione: si strinse, si raggruppò, stette attenta, vegliando il momento che dovea sorgere nello spazio. Il momento sorse, la gioventù lo afferrò. Il cannone dell'Hôtel de Ville tuonò la chiamata. La gioventù si levò come un sol uomo: la gioventù vinse. Cortigiani, baionette, trono, tutto rovinò davanti all'impeto d'un principio. Il sole del 27 avea diffusa la luce sovra ogni cosa: il sole del 29 non salutò che una bandiera: - la bandiera del secolo. Gli uomini, che alcuni anni addietro avevano comunicato l'impulso, senz'antivederne gli effetti, s'erano ritratti atterriti; poi, quando la gioventù riposò dalla sua creazione, si cacciarono addosso al cadavere d'una monarchia, usurparono la gloria d'averla morta, e giudicarono l'ossa de' sette mila essere convenevole base al sistema ch'essi aveano predicato utilmente, viva e prepotente la tirannide. Ora, parlano tuttavia di progresso, - e vorrebbero che s'arrestasse dov'essi s'arrestano: magnificano le glorie del Luglio, - e vorrebbero che una nazione non si fosse levata se non a mutare un nome nella sua storia: protestano del loro amore alla libertà, - e l'hanno rivestita d'un manto d'infamia, - l'hanno cacciata ludibrio a' re, sospetto mortale ai popoli. Due secoli, il XVIII e il XIX, li rinnegano: come que' codardi che Dante pone alla porta del suo Inferno, si stanno tra l'infamia e l'obblio: l'obblio per la loro eloquenza che prima eccitava i giovani, oggi s'è prostituita al potere: - per la loro letteratura, campo di prova agli ingegni, ov'essi vorrebbero confinare per sempre l'anelito al moto perenne, che affatica lo spirito umano; - pel loro ecclettismo, sistema di transizione, che intendono perpetuare: la infamia per la gretta e fredda politica individuale, alla quale hanno sacrificate le grandi speranze sociali suscitate per essi - pel sangue de' popoli che hanno pattuito coi re a mendicare una pace che non otterranno - pel loro trovato del giusto medio, ecclettismo politico, senza passato, senz'avvenire, senza logica, senza sviluppo, sistema paralitico, che non s'attenta rifiutare i principii rigeneratori, ma s'industria a strozzarli in fasce. E sia così, poi che vogliono! - Il secolo gli avea circondati dell'affetto giovenile e del plauso: poi tentarono sostituirsi al secolo, e il secolo gli affogherà. - Chi può cacciare un principio, e voler che non frutti? - Chi può dar moto all'intelletto, e gridargli: arrestati dov'io m'arresto? -
In Italia, siccome in Francia, la tirannide tanto più esosa, quanto più impudente, produsse il suo effetto di reazione, e l'anime inferocirono nell'odio, crebbero smaniose d'indipendenza. - In Italia prima che in Francia, gl'ingegni intolleranti di freno versarono nella scienza la idea di progresso che non potevano applicare agli ordini civili, e levarono il grido di libertà del pensiero nel campo delle lettere. - In Italia, siccome in Francia, gli uomini che cacciarono i primi semi di libertà furono oltrepassati da chi venne dopo, però che la sventura è maestra più potente d'ogni teorica, e ogni anno, ogni evento, ogni tentativo fecondò la Italia di nuova rabbia, di sangue e d'insegnamenti. Ed oggi, gli uni contendono per la eccellenza de' metodi, che predominarono soli, e fruttarono negli anni addietro: gli altri, cresciuti col secolo, predicano la parola del secolo, e si assumono di esserne interpreti. Bensì la differenza sta in questo, che in Francia gli uomini ch'or vorrebbero arrestare il moto, addottrinarono la crescente generazione, e i loro sforzi furono talvolta coronati dalla vittoria: in Italia, le circostanze, avverse sempre e prepotentemente fin'ora, vietarono a ogni uomo di convalidare il proprio sistema coll'autorità del trionfo, e gl'Italiani non raccolsero ammaestramento a fare che dai rovesci, e da quel tanto di sviluppo che i fatti continui impongono all'intelletto. - Però, ogni questione s'agita fra due opinioni, nessuna delle quali ha generato finora risultati positivi. Noi siamo schiavi: per quali mezzi si riacquista da schiavi la libertà? - e stabile? - ed efficace? Quali principii hanno a reggere i tentativi? - Gli antichi, recentemente praticati, fallirono. Fu legge di cose, necessità di tempi, o vizio inerente al sistema, che mutati gli elementi, dovea mutarsi? Forse fu la prima cagione; non pare a ogni modo che a favorir que' sistemi giovi il mal'esito. La tendenza del secolo ne predica altri; e le tendenze non nascono a caso, non prevalgono per capriccio di pochi: emergono da' bisogni, trionfano col voto dei più.
A noi, dovendo spesso nelle pagine della Giovine Italia occorrere di combattere il sistema che i casi, - e non le nostre parole, - dimostrano ogni dì più sistema vecchio e impotente a rigenerare una nazione caduta in fondo, corre obbligo, corre necessità di spiegarci una volta per tutte sulle nostre intenzioni a riguardo d'un partito politico, che rappresenta cotesto sistema, e che pur numera, - forse a torto - ne' suoi ranghi molti uomini puri, incorrotti e deliberati nemici d'ogni tirannide, a' quali la Italia, comunque spinta dalla forza delle cose per altre vie, serberà gran tempo venerazione e affetto di gratitudine. Le denominazioni di Giovine Italia e d'uomini del passato increscono a primo tratto a que' molti che non s'addentrano nelle cose. La mediocrità è sospettosa, e intravvede offese per ogni dove. Gli uomini che invecchiarono in un sistema d'idee, che hanno combattuto e sofferto per esso, mutano difficilmente. La educazione politica non si rifà, se non ne' pochissimi creati a camminare fino alle esequie cogli anni, immedesimati col moto progressivo della civiltà; e l'affetto che si genera dall'abitudine è potente quant'altro mai: d'altra parte la gioventù, fervida, impaziente s'affaccia briosa alla vita dell'avvenire, si sente fremere dentro potente il concetto d'emancipazione, e rompe guerra al passato: nol guarda, o se il fa, guarda dispettosa, o sprezzando. Quindi l'ire aspreggiate dalla sventura. Quindi le accuse reciproche, e ciò che spesso è colpa di fatti attribuito all'una o all'altra opinione. Da siffatte guerre non esce che danno alla patria. E però vogliamo interpretare que' termini, che potrebbero prestare alimento a gare funeste: vogliamo snudare tutta intera l'anima nostra, perch'altri non vi sospetti un pensiero che ogni Italiano rifiuta. È duro dover discendere a spiegazione di ciò che tutti dovrebbero intendere: è duro l'esser tratto a scolparsi di taccie che tra noi nessuno avrebbe sognato. Bensì, la unione anzi tutto - e v'hanno tali materie, nelle quali giova rimovere anche il nudo sospetto.
Noi lo dichiariamo solennemente: - Per Giovine Italia noi non intendiamo che un SISTEMA, voluto dal secolo: quando noi combattiamo la vecchia, noi non intendiamo combattere che un SISTEMA, rifiutato dal secolo! Le denominazioni giovine e vecchia Italia non sono nostre; e perché vorremmo noi gravarci l'anima d'un rimorso, creando una divisione, dove i fatti non ci sforzassero a riconoscerla, dove il progresso inerente alle umane cose non ci soggiogasse col mostrarcela inevitabile? Abbiamo dieci secoli d'oltraggi a vendicare: abbiamo a distruggere un servaggio di cinque secoli. I padri, i padri de' padri e gli avi remoti ebbero tutti la loro parte in quell'oltraggio: tutti hanno bevuto a quel calice che Dio serbava all'Italia, e del quale la fortuna assegnava a noi l'ultime goccie - e le più amare forse. E noi gemiamo per tutti, fremiamo per tutti; e se a rigenerare una terra guasta da cinquecento anni di servitù muta bastasse levarsi e combattere, gli uomini del passato, quanti insorsero e morirono per la patria da Crescenzio fino al Menotti, sarebbero nostri fratelli alla pugna, dove alcuno potesse evocarli dalla loro polvere. - Ma il sangue solo santifica, non rigenera una nazione. Stanno contro di noi non le sole baionette straniere, ma le discordie cittadine inveterate per lunga memoria di stragi, rieccitate sordamente dalla tirannide, artificiosamente ineguale e corrompitrice: stanno i vizi che si generano nelle catene, e la intolleranza di freno, ottimo elemento per distruggere, pessimo per fondare, e più ch'altro sta la mancanza di fede: di quella fede che sola crea le forti anime e le grandi imprese, di quella fede che sorride tranquilla nel sagrificio, perché trae seco sul palco, o nel campo la promessa della vittoria nell'avvenire. Queste cagioni di servitù durano tuttavia prepotenti, e a superarle conviene giovarsi di quanti elementi, di quante forze fermentano tacitamente in Italia, ridurle a centro, calcolarle colla maggiore esattezza - e ogni anno le modifica, le tramuta, le aumenta - poi mormorare ad esse la parola di fede, spirarvi dentro l'alito d'una vita potente, animarle di quello spirito che dagli elementi inerti crea il moto d'un mondo, e vi stampa sopra l'orma di Dio. Ma il segreto del secolo sta nelle mani dei nati col secolo - né il linguaggio che suscita le passioni, e le dirige a grandi cose, e insegna a santificarle consecrandole coll'altezza d'un intento sociale, si rivela ad altri che a coloro i quali hanno sorbito col primo alito le passioni del secolo, e l'ansia di moto che affatica l'anime de' fratelli. Or, perché illuderci, quando ogni illusione frutta rovine? - e che giovamento può nascere dal rinnegare la nostra potenza e dissimularci la missione d'intelletto che la natura ci assegnava, cacciando la nostra culla alla sorgente delle rivoluzioni, per paura che l'ossa de' padri s'agitino irrequiete ne' loro sepolcri, irate ai figli perché intraprendono franchi e deliberati la via ch'essi calcarono incerti e timidamente? - Oh! da que' grandi ch'ora dormono l'ultimo sonno, non viene fremito a noi se non d'incoraggiamento e di conforto ad osare: - da que' sepolcri non esce voce che non esclami: - "siate migliori di noi! siate grandi, come la vostra sciagura, come l'epoca nella quale vivete: grandi nell'atto come noi nel pensiero! Noi fummo a tempi ne' quali il solo concetto di rigenerazione era un trionfo sulla tirannide; la rivoluzione sociale era un'alba, e noi, avvezzi alle tenebre, non potevamo misurare la luce del giorno venturo, né oprare risolutamente animosi, quando fiacchi e forti, tranne pochissimi, stavano contro di noi, e la esperienza era muta. Ma voi nasceste ne' moti, e v'allevaste tra i moti: ammaestratevi nelle nostre disavventure: abbiate le nostre virtù, ma rinnegate i nostri errori". -
Le denominazioni Giovine e vecchia Italia non sono nostre: noi non le abbiamo create: le ha create una tal potenza, contro la quale non valgono né ciance d'uomini, che sentono sfuggirsi di mano una influenza già consumata da' fatti, né rancori e sospetti d'inetti maligni, che vorrebbero occupare il secolo delle loro meschine ambizioni e della loro vita incognita al mondo. È la potenza de' fatti: - la potenza che mutava alcuni anni addietro nella Germania il Tugenbund (fratellanza della virtù) in Jungenbund (fratellanza di gioventù): - la potenza che concentrava in Polonia, poco tempo avanti la rivoluzione, le molte società patriottiche nella grande associazione della gioventù, condotta da Lelewel: - la potenza, che commettendo alla giovine Francia l'impresa di luglio e i fati Europei, strappava di bocca a Cousin le parole che noi ponemmo in capo allo scritto - e Cousin, eccitatore un tempo della gioventù francese, è pure in oggi un di que' tanti che s'industriano a distruggere l'opera loro, tentando confinare nel cerchio angusto d'una dottrina immutabile e inapplicata gli uomini del progresso; ma la verità vuole il suo dritto, e si fa via tra' sistemi. La verità si rivela continua e progressiva attraverso gli eventi; e se gli eventi ci sono propizi d'ispirazioni politiche: - se il secolo ci suggerisce una nuova via di successo, perché rifiuteremo noi di seguirla? perché diremo al secolo: tu se' diseredato di mente: trascorri inutile alla umanità? -
Bensì, dalla nostra credenza non esce spregio o biasimo assoluto alle vecchie credenze politiche, né, perché abbiamo opinione che le cose nuove debbano trattarsi con metodi nuovi, gittiamo l'anatema dell'ingrato alle teoriche applicate sin'ora. Quelle teoriche sono storia, e come storia le veneriamo: come storia vi leggiamo dentro una manifestazione del principio adattata a' tempi e alle circostanze. Soltanto in oggi le vicende, le sciagure e gl'insegnamenti de' fatti hanno svolti nuovi elementi, hanno messa in luce chiarissima l'idea, che prima giaceva oscura ne' simboli. Allora conveniva accennare il principio; ora ci par giunta l'epoca d'una manifestazione solenne. - Ogni cosa ha il suo tempo: ogni sistema ha la propria necessità d'esistenza nella condizione morale dell'epoca. Chi schernisce, o maledice al passato, è stolto, o maligno: egli dimentica come dai vagiti e da' modi informi e plebei di Guittone Aretino esciva la bella lingua dell'Alighieri, di Petrarca e Boccaccio; né senza quei primi e timidi tentativi politici, non parleremmo in oggi queste parole. - Ma noi non malediciamo al passato, se non quando c'incontriamo in uomini i quali s'ostinano a farne presente, e quel ch'è peggio, avvenire. Le rivoluzioni son tali fatti che non si compiono in un istante o con un solo sistema, perché non v'è momento nello spazio, o sistema nella mente umana, che valga a raccogliere, a concentrare in una unità potente d'azione tutti quanti gli elementi che mutano faccia agli stati. I sistemi politici non sono per noi che i risultati degli elementi d'azione che stanno a un dato tempo in un popolo, calcolati e ordinati pel meglio. Se ogni popolo potesse rassegnarsi ad attendere in pace il momento nel quale l'elemento morale rivoluzionario equabilmente diffuso e coordinato fosse giunto a tale un grado di potenza che assorbisse l'elemento materiale, le rivoluzioni non avrebbero che un sistema. - Ma la natura non ha voluto che dalla morte nascesse a un tratto la vita, e la rigenerazione d'un popolo non balza fuori nella sfera de' fatti, potente e compiuta, come Minerva dal capo di Giove. La natura non ha voluto che le rivoluzioni si operassero senza lunghe fatiche, forse perché i popoli imparassero a gradi e attraverso le delusioni il prezzo della libertà; né una nazione cresce grande davvero, se non è consecrata all'eternità della missione sociale nel sacramento del dolore. E d'altra parte, la tirannide soverchiante, e inquieta per coscienza d'infamia, non concede che la guerra fra gli elementi del progresso e la inerzia si consumi sordamente e mutamente nella società, e l'urto non si manifesti che quando il trionfo è sicuro; ma inferocita nei sospetti e nei terrori che l'affaticano, caccia nell'arena, come un guanto a' popoli, qualche testa di prode - e i forti di sdegno e d'audacia titanica traggono anzi tempo le moltitudini incerte al giudicio di Dio. Quindi le vittorie brevi, e le dubbie vicende, e gli errori. E dalle dubbie vicende e dai molti errori hanno vita, incremento e perfezione i sistemi. -
E v'è un periodo nella vita de' popoli, come in quella degli individui, nel quale le nazioni s'affacciano alla libertà, come l'anime giovani all'amore: per istinto - per bisogno indefinito, e segreto - perché la natura creando l'uomo gli scrisse nel petto: libertà e amore! - ma senza conoscenza intima della cosa bramata, senza studio de' mezzi, senza determinazione irrevocabile di volontà, senza fede. Allora la libertà è passione di pochi privilegiati a sentire e soffrire per tutta una generazione, a spiare il progresso e il voto de' popoli, a intendere il gemito segreto che va dalle moltitudini al trono di Dio - a vivere profeti e morire martiri; per gli altri è desiderio, sospiro, pensiero, e null'altro. Allora le rivoluzioni si tentano artificialmente colle congiure: gli uomini liberi si raccolgono a metodi d'intelligenza misteriosa: s'ordinano a fratellanze segrete: costituiscono setta educatrice, e procedono tortuosi. Però che le moltitudini durano inerti, e i più vivono astiosi al presente, ma spensierati dell'avvenire - e se taluno rompe guerra al tempo, e tenta rivelarlo a' milioni, i milioni lo ammirano onesto, ma lo scherniscono sognatore di belle utopie. Il sacrificio solenne è venerato anche allora, perché nel core degli uomini v'è un istinto di verità che mormora: quel sangue è sparso per voi: quelle vittime si stanno espiatrici delle vostre colpe; que' martiri equilibrano a poco a poco la bilancia tra le creature ed il creatore. È venerato, perché v'è un sublime nel sagrificio, che sforza i nati di donna a curvare la testa davanti ad esso, e adorare; perché s'intravvede confusamente che da quel sangue, come dal sangue di un Cristo, escirà un dì o l'altro la seconda vita, la vita vera d'un popolo - ma la venerazione si consuma sterile e solitaria, nel profondo del core, nel gemito dell'impotenza: non crea imitatori: non risplende maestosa e fidente intorno al simbolo della nuova fede, ma soggiorna paurosa nelle iniziazioni d'un culto proscritto e piange d'un pianto che non ha conforto neppur di fremito. - La condizione de' tempi impone allora doveri particolari ai pochi che s'assumono l'opera rigeneratrice. Allora il voler sanare gli estremi mali cogli estremi rimedi è più follia che virtù; perché dove il male è inviscerato nella società, e ti preme d'ogni lato predominante, o tenti struggerlo alla radice, e cadi tra via deriso da' tristi, o fai guerra ineguale a' rami, e tu sei gridato tiranno da' buoni. - Allora l'ostinarsi a fondar la vittoria su forze proprie e sui miracoli del valor nazionale frutta disinganno amaro e talora pure rimorso, perché le nazioni si rigenerano colla virtù o colla morte; ma dove non è virtù di sacrificio, né furore di gloria, dove nei cuori non vive un'eco alle grandi passioni, i vasti concetti falliti e le molte vittime infondono la inerzia, non il coraggio della disperazione. Quindi la moderazione nell'applicazione de' principii più scaltrezza che inconseguenza. Quindi la speranza e l'aiuto accettato dello straniero necessità deplorabile piuttosto che codardia; e l'arti diplomatiche usate a tempo, pericolose sempre, pure talvolta efficaci a smembrare le forze nemiche. Ad ogni operazione politica è base prima il calcolo delle proprie forze; e dove queste non reggono, è forza cercarne altrove, o ristarsi. Siffatti mezzi non danno libertà mai alle nazioni, bensì conquistano anime alla santa causa, e insegnano a intendere la libertà, ed amarla dolce, tollerante, incontaminata. - Poi le vicende ammaestrano a conseguirla.
Ma poi che il pensiero concentrato ne' pochi s'è diffuso alle moltitudini, e la libertà è fatta sorella dell'anime, - quando il voto segreto s'è convertito in anelito irrefrenabile, e la speranza in fede, il gemito in fremito - quando il sangue delle migliaia grida vendetta agli uomini e a Dio, ed ogni famiglia conta un martire, o un iniziato alla religione del martirio - quando le madri non hanno più sonni, l'amplesso delle mogli ha il tremore e il presagio della separazione, e un pensiero di rancore, un pensiero di cupa vendetta solca le fronti de' giovani nati all'amore, e al sorriso spensierato degli anni vergini sottentrano anzi tempo le cure e le gravi apparenze dell'ultima età - allora - l'ora di risurrezione è suonata. Guai a chi non si assume tutto il dolore, tutto il dritto di vendetta solenne, che spetta ai suoi fratelli di patria! - Guai a chi non sente il ministero che le circostanze gli affidano, e reca le idee mal certe del tentativo nella lotta estrema, decisiva, tremenda! - Allora la tirannide ha consumato il suo tempo; le transazioni, e i sistemi di transizione diventano passi retrogradi: la guerra è tant'oltre che tra la distruzione e il trionfo non è via di mezzo, e gli ostacoli che un tempo si logoravano coll'arti della lentezza vanno atterrati rapidamente. - Allora la iniziazione è compiuta - alla religione del martirio sottentra la religione della vittoria - la croce modesta e nascosta s'innalza nell'alto convertita in Labarum: la parola della fede segreta fiammeggia segno di potenza, scritto sulla bandiera de' forti - e una voce grida: in questo segno voi vincerete!
E allora - la gioventù si leva: raggiante, concorde, serrata a una lega di pensieri e fatti magnanimi, aspirante un'aura di vittoria, spinta da una forza di progresso e di moto che insiste sovr'essa, che la purifica in un obblìo d'ogni affetto individuale, che la ingigantisce nella potenza d'un desiderio sublime. Salute a quella gioventù! - Date il varco alla generazione, che venne col secolo, e maledetto colui che la guardasse con occhio d'invidia, o gittasse dietro ad essa il motto dello scherno amaro, però ch'essa ha intesa la voce del passato e quella dell'avvenire, - ha raccolti gl'insegnamenti dell'esperienza dalla bocca o sulle tombe dei padri, e s'è ispirata al soffio della civiltà progressiva, all'armonia della umanità, che ogni secolo, ogni anno, ogni giorno rivela all'anime nuove un arco del proprio orizzonte!
Ora - è il tempo, o non è? Siam noi giunti al punto in cui una nuova rivoluzione politica dia moto alle menti, e gli antichi sistemi esauriti abbiano a cedere davanti a' nuovi suggeriti dalla esperienza, voluti dai più, potenti a struggere ed a creare? -
La questione è codesta - e noi, uomini del secolo XIX, la riteniamo decisa.-
Noi stiamo sul limitare d'un'epoca, e non è l'epoca de' sistemi di transizione, che gli uomini delle rivoluzioni hanno predicato finora. L'epoca dei sistemi di transizione è il gradino che la necessità impone alle nazioni, perché salgano dal muto servaggio alla libertà. La libertà è troppo santa cosa, perché l'anima dello schiavo la intenda, e il suo cuore possa farsene santuario, se prima non s'è riconsecrato alla vita morale nelle lunghe prove e nel lungo dolore. Ma noi l'abbiamo consumata quest'epoca: quaranta anni di tentativi, il battesimo del pianto e del sangue, e la vicenda europea che s'è svolta davanti a' nostri occhi, hanno fruttato sapienza ed ardire; e noi siamo d'una terra che ha dato celerità singolare agli ingegni e un battito più concitato al cuore de' suoi figli.
Noi guardammo all'Europa. Dappertutto è sorto un grido di nuove cose, un appello alle nuove passioni, una chiamata a' nuovi elementi, che il secolo ha posto in fermento. Dappertutto due bandiere hanno diviso i combattenti per una medesima causa; e la guerra oggimai non riconosce altro arbitro che la vittoria, però che gli uni contendono per arrestarsi a' primi sviluppi della idea rigeneratrice, gli altri per innoltrarsi e spingere i principii alle legittime conseguenze: i primi, avvalorati dal silenzio delle moltitudini, naturalmente cieche, naturalmente inerti, magnificano il riposo supremo de' beni, non avvertendo che anche la morte è riposo; i secondi, forti di logica, e di fede negli umani destini, intimano il moto, come legge, necessità, vita delle nazioni. - La guerra è implacabile, perché tra il sistema che da noi s'intitola vecchio e la nuova generazione sta, come pegno d'eterno divorzio, una rivoluzione portentosa ed europea negli effetti, divorata in un giorno da pochi codardi e venali, ridotta a un mutamento di nome, e non altro - sta l'Associazione universale costretta a retrocedere d'un passo davanti a delusioni siffatte, che un secolo di strage non basterebbe a scontarle, se un'ora di libertà non avesse potenza di cancellare il passato. La guerra è implacabile, però che le sorti di mezza Europa sono strette al successo, e non v'è pace possibile, poiché l'Europa ha imparato fin dove meni la ostinazione d'un sistema d'inerzia a fronte d'una volontà irrevocabile. L'Europa ne ha lette le conseguenze al lume degl'incendi di Bristol, e scritte col sangue de' Lionesi - e noi vorremmo, per la speranza d'una transazione possibile, dissimulare la verità ai nostri fratelli, rinnegare la bandiera che il secolo ci pone alle mani, contrastare ad un fatto universale, evidente, che sgorga da' minimi incidenti, da' giornali, da' libri, dai tentativi, da ogni popolo, da ogni lato? La unione! noi la vogliamo; ma tra buoni, e fondata sul vero: l'altra, che alcuni, paurosi od inetti, gridano tuttavia, senza insegnare il come si stringa, è unione di cadavere colla creatura vivente: spegne il lume della vita dov'è, senza infonderlo dov'è morte.
Noi guardammo alla Italia - alla Italia, scopo, anima, conforto de' nostri pensieri, terra prediletta da Dio, conculcata dagli uomini, due volte regina del mondo, due volte caduta per la infamia dello straniero, e per colpa de' suoi cittadini, pur bella ancora di tanto nella sua polvere, che il dominio della fortuna non basta ad agguagliarle l'altre nazioni, e il Genio si volge a richiedere a quella polvere la parola di vita eterna, e la scintilla che crea l'avvenire. Guardammo con quanta freddezza d'osservazione può dare un desiderio concentrato, un bisogno di afferrarne l'intima costituzione - e il cuore ci batteva forte nel petto, perché abbiamo passioni giovani, e l'orgoglio del nome italiano ci solleva l'anima dentro; - ma noi imponemmo silenzio al cuore, e la vedemmo com'era - vasta, forte, intelligente, feconda d'elementi di risorgimento, bella di memorie tali da crearne un secondo universo, popolata d'anime grandi nel sacrifizio e nella vittoria - ma guasta, divisa, diffidente, ineducata, incerta fra la minaccia delle tirannidi e le lusinghe perfide dei molti, che adulandola dell'antica grandezza, l'addormentano sicch'ella non ne tenti una nuova - e tutta la forza de' suoi elementi controbbilanciata, annientata dalla mancanza d'unione e di fede - due virtù, che né dieci secoli di sventura derivata dalle animosità provinciali, né potenza d'intelletto o fervore di fantasia hanno potuto ancora far predominanti tra noi - e a fondarle, volersi più che ogni altra cosa l'autorità d'un principio alto, rigeneratore, universale, applicabile a tutti i rami della civiltà italiana, che li riformi tutti purificandoli e dirigendoli ad un intento - d'un principio uno e potente a cui si concentrino tutti i raggi, tutti gli elementi di vita; nella cui fede l'anime si rinverginino, e la coscienza mormori una destinazione alle masse - perché in oggi manchiamo non di mezzi, ma d'accordo e di vincolo fra questi: non di materia, ma di moto che la sospinga: non di potenza, ma di convinzione che noi siamo potenti. Noi vedemmo la Italia, soffermata ai confini del mondo sociale dall'individualismo, rimanersi tuttavia sottoposta all'influenza del medio-evo. La idea personale, il sentimento radicato in ogni uomo della propria indipendenza, la ripugnanza a confondere l'unità singolare nella vasta unità del concetto nazionale, predominavano, elementi ottimi in sé, ma avversi, quando sono spinti tropp'oltre, al progresso comune. - De' tristi non favelliamo; ma la tendenza individuale traspariva fin nella passione di libertà, che assumeva ne' migliori aspetto d'odio a' ceppi, di reazione forzata, di vendetta suscitata dalle lunghe offese. Pochissimi amavano la libertà per amore, perché fine prefisso all'uomo, perché mezzo unico di progresso sociale. Pochissimi mostravano coscienza dell'alta missione, che ogni vivente ha dalla natura verso la umanità. È la coscienza di questa missione che creava giganti Mirabeau, gli uomini della Convenzione, Bonaparte, Robespierre - e finché la seguirono, furono grandi - e perché mal si scerne il punto in cui svaniva davanti ad altri moventi, la posterità li griderà grandi. - Ma all'Italia, come noi la vedemmo, il materialismo, struggendo ogni dignità d'origine e di destino nell'uomo, disseccava la vita al cuore, o la indifferenza, sperdendo ogni sete di vero, rapiva molte di quell'anime, più frequenti in Italia che altrove, che vivono e muoiono martiri d'una idea. Quindi la mancanza di fede, di fede in sé, nel dritto e nell'avvenire, perché l'uomo, confinato dall'individualismo dominatore nel cerchio ristretto della propria influenza, schiacciato sotto la vastità del concetto, o si rassegna a vivere schiavo, o si fa libero colla morte sul palco. - E questi vizi, che il lungo servaggio e Roma imposero alla Italia, stavano contro ad ogni tentativo più tremendi delle baionette tedesche. -
E guardammo al passato a vedere se potesse trarsene il rimedio. - Ma il passato c'insegnava a non disperare: il passato c'insegnava quante e quali fossero l'arti della tirannide, e le reliquie del servaggio nell'anime - non altro. La scienza de' padri s'era esercitata intorno ai principii, più che intorno alle applicazioni. Forse la fiamma di patria e di libertà, che gli ardeva, aveva illuminato ad essi quanto era vasto l'arringo. Ma le circostanze avevano affogato il concetto; e i tentativi non avevano assunta né la energia, né la vastità, né l'armonia che si richiedeva a tanta opera. Era necessaria una unità di principii e d'operazioni - e i moti prorompevano invece parziali, e provincialmente. Ma senza un moto universale, riescirà impossibile sempre il trionfo: senza la universalità dell'accordo precedente, il moto non proromperà simultaneo e veramente italiano mai - e per consumare ad un tratto le invidie e le animosità che vivono tuttora tra le provincie, vuolsi affratellarle tutte nella fratellanza del tentativo, del pericolo e della vittoria. Era necessario il diffondere lo spirito riformatore, il bisogno di rinnovamento sovra tutti i rami dell'incivilimento italiano - e limitavano la riforma a un ramo solo dell'umano intelletto, agli altri contendevano il progresso - e gli uomini che predicavano libertà politica, e indipendenza dalle vecchie abitudini di sommissione, bandivano la crociata addosso agli ingegni vogliosi d'emancipazione dalle teoriche antiche filosofiche e letterarie, rubavano agli Inglesi la bilancia de' poteri e i principii della monarchia costituzionale, mentre vilipendevano schiavi del nord e traditori della patria quanti tentavano rivendicarsi negli studi e nelle composizioni quella libertà che non s'era mai perduta nel settentrione - né badavano alla necessità di educare all'indipendenza intellettuale gli uomini che volevano trarre al concetto dell'indipendenza politica; però che l'uomo è uno, e l'intelletto non s'educa a un tempo a due sistemi contrari. La grande rigenerazione alla quale intendevano avea bisogno d'alimentarsi di sacrificio sublime, di forti esempli, di rinnegamento totale dell'individuo a pro d'un principio. Conveniva levar l'uomo all'altezza d'una generalità, levarlo a un concetto partito d'alto tanto che potesse abbracciare tutta quanta la umana natura. Conveniva scrivergli dentro la tavola de' suoi diritti e de' suoi doveri, dargli la coscienza d'una grande origine, prefiggergli una missione sociale, e rivelargliela nell'azzurro de' cieli stellati, nella grande armonia del creato, nell'universo fisico ridotto a simbolo d'un pensiero potente, nelle rovine del passato, nella idea generatrice delle religioni, nella profezia de' poeti, nel raggio onde il genio solca la terra, ne' moti inquieti del cuore, perch'egli da tutte le cose imparasse sé essere nato libero, gigante di facoltà e d'energia, re del mondo e della materia, non sottomesso mai ad altre leggi che alla eterna della ragione progressiva ed universale. Conveniva purificarne le passioni, animarle d'amore, cacciargli a fianco l'entusiasmo, ala dell'anima alle belle cose, e davanti a' suoi passi la vergine speranza col suo sorriso che dura in faccia al martirio - ed essi lo trattenevano nel materialismo, credenza fredda, scoraggiante ed individuale, rifugio a ogni uomo contro alla prepotenza delle superstizioni e della tirannide sacerdotale, ma nella quale non può durare senza che gli s'inaridisca il fiore dell'anima: - lo indugiavano nello sconforto d'una lotta eterna, avvezzandolo a contemplarsi dominato alla cieca e inesorabilmente dai fatti, mentre bisognava convincerlo che v'era tal forza dentro di lui indipendente da' fatti, padrona de' fatti, dominatrice dell'istesso destino: - lo angustiavario in una vicenda alterna d'azione e di reazione, mentr'era d'uopo stampargli in petto una coscienza di progresso invincibile, e di trionfo. Irridevano le vecchie credenze, né tentavano sostituirne altre nuove: spegnevano l'entusiasmo, e volevano risvegliarlo con nomi: parlavano di patria alle moltitudini, e struggevano la fede, patria dell'anime: la fede in una legge superiore di miglioramento, in un concetto di moto perenne che abbracci e promova tutta la serie de' fenomeni umani: - la fede che creò la potenza di Roma, la vasta dominazione del Maomettismo, i diciotto secoli del Cristianesimo, la Convenzione, Sand, e la Grecia risorta: - la fede che ridona la dignità perduta allo schiavo, e gli grida: Va! va! Iddio lo vuole! Iddio, che t'ha creato a immagine sua, e t'ha spirata una scintilla della sua onnipotenza! Questo avrebbero dovuto tentare i primi riformatori d'una nazione caduta in fondo, se i primi potessero far altro che intravvedere un rinnovamento e morire per esso. Poi, scendendo alle applicazioni, era necessario avere il popolo, suscitare le moltitudini; a farlo, bisognava convincerlo che i moti si tentavano per esso, pel suo meglio, per la sua prosperità materiale, perché i popoli ineducati non si movono per nudi vocaboli, ma per una realtà; e a convincerlo di queste intenzioni, bisognava adoprarlo, parlargli, cacciar nell'arena quel nome antico e temuto di repubblica, solo forse che parli ai popoli una parola di simpatia, una idea di utile positivo: - ed essi tremavano del popolo: disperavano - mosso che fosse - di poterlo dirigere, e lavoravano ad addormentarne il ruggito, o a moverlo, gli esibivano teoriche astruse di poteri equilibrati, idee metafisiche di lotta ordinata, sicché ne escisse quiete permanente allo Stato, e costituzioni accattate da altri paesi, provate oggimai inefficaci a durare, e non adattate ai costumi, alle abitudini, alle passioni. - Le rivoluzioni si preparano colla educazione, si maturano colla prudenza, si compiono colla energia, e si fanno sante col dirigerle al bene comune. Ma le rivoluzioni, a questi ultimi tempi, sorsero inaspettate, non preparate, artificialmente connesse; furono dirette al trionfo d'una classe sovra un'altra, d'un'aristocrazia nuova sovra una vecchia - e del popolo non si fece pensiero - poi, procedettero sulla fede di principii fittizi, lasciati all'arbitrio di governi astuti che gl'interpretassero, paurose di ogni cosa, disperate d'ogni soccorso che non venisse dalla diplomazia, o dallo straniero; l'una, arte essenzialmente menzognera, l'altro, essenzialmente sospetto, amico talvolta dei forti, non mai de' fiacchi. Noi vedemmo uomini insultare a re, imponendo loro leggi e patti che insegnavano aperta la diffidenza, e dimezzavano il loro potere - e nello stesso tempo fidarsi illimitatamente nelle loro promesse, e ne' loro giuri, come se i tiranni avessero un Dio nel cui nome giurare. Vedemmo assalita nelle costituzioni proposte l'aristocrazia, e non pertanto venir chiamata alla somma delle cose, come se le caste potessero mai suicidarsi. Leggemmo sulle bandiere il nome d'Italia, mentre si rinnegavano ne' proclami e nelle operazioni i fratelli vicini e insorti per la stessa causa, nell'ora stessa, in forza di concerto comune. Udimmo gridare indipendenza di territorio, mentre il barbaro guardava alle porte; e intanto l'andamento de' nuovi governi si fondava sulla speranza d'evitare una guerra, che la natura ha posta eterna fra il padrone e lo schiavo che rompe la sua catena - e si frenavano i giovani che volevano diffondersi in più largo terreno - e si decretavano toghe, non armi. - Errori che ci hanno fruttato taccia di codardia dagli stessi che ci hanno illusi vilmente e traditi: errori, figli forse più delle circostanze e della infamia de' gabinetti europei, che degli uomini preposti alle cose nostre; ma tali che il sostenerli avvedimenti politici di profonda esperienza, è oggimai parte d'inetti, o di traditori. -
E allora - guardammo d'intorno a noi; allora ci lanciammo nell'avvenire. L'anima sconfortata dalle lunghe delusioni si ritemprò nella coscienza d'una eterna missione, si rinfiammò nel sentimento d'un furore di patria, d'un voto di libertà ch'è la vita per noi. Gli errori de' padri erano voluti dai tempi: ma noi perché dovevamo insistere sugli errori de' padri? Gli anni maturano nuovi destini: e noi, contemplando il moto del secolo, intravvedemmo una giovine generazione, fervida di speranze - e la speranza è il frutto in germoglio - commossa a nuove cose dall'alito spirituale dell'epoca - agitata da un bisogno prepotente di forti scosse e di sensazioni: e di mezzo ad essa, tra la incertezza de' sistemi, tra l'anarchia de' principii, dall'individualismo del medio-evo, dal fango che fascia la vita italiana, vedemmo sorgere qua e là uomini che vivono e muojono per una idea, levarsi anime che, come Prometeo, protestano contro la fatalità che gli opprime e l'affrontano sole, apparire aspetti che hanno una profezia d'avvenire sulla fronte: esseri d'una natura superiore che la natura caccia sempre sulla terra al finire d'un'epoca per congiungerla colla nuova - e tutta la generazione, e que' pochi privilegiati non mancano, ad esser grandi, che d'un riconcentramento d'opinioni e tendenze, d'una unità nella direzione, d'una parola feconda, energica, incontaminata d'odio e paura, che riveli nudo e potente il voto del secolo. -
Questa parola noi la diremo. -
Questo voto noi tenteremo d'interpretarlo. Tutte le tendenze che ci parve intravvedere nel secolo, e che abbiamo accennate nel corso di quest'articolo, noi le svilupperemo nel nostro giornale coll'ardore di gente che né spera, né teme dai partiti politici, e non vede sulla terra se non uno scopo e una via per arrivarlo. E da queste tendenze ch'or sono in germe, da tutte le necessità che sgorgano innegabilmente dai fatti trascorsi, dalle ispirazioni dell'epoca, escirà, noi lo speriamo, un sistema che raccoglierà intorno a sé la generazione crescente. Non è che un sistema, ripetiamolo anche una volta, che noi abbiamo voluto accennare col nome di Giovine Italia; ma questo vocabolo noi lo scegliemmo, perché con un solo vocabolo ci parea di schierare innanzi alla gioventù italiana l'ampiezza de' suoi doveri, la solennità della missione che le affidano le circostanze, perch'essa intenda come l'ora è suonata di levarsi dal sonno ad una vita operosa e rigeneratrice. - E lo scegliemmo perché, scrivendolo, noi avevamo in animo mostrarci quali siamo: combattere a visiera levata; portare in fronte la nostra credenza, come i cavalieri del medio evo la tenevano sullo scudo - però che noi compiangiamo gli uomini che non sanno la verità, ma disprezziamo coloro che sapendola non osano dirlo. -
Vergini di vincoli, e di rancori privati, con un cuore ardente di sdegno generoso, ma schiuso all'amore, senz'altro desiderio, fuorché di morire pel progresso dell'umanità e per la libertà della patria, noi non dovremmo essere sospetti d'ambizioni personali, o d'invidie. - La invidia non è passione di giovani. - Fra noi chi cura gli individui? chi move guerra a' nomi? L'epoca de' nomi è consumata: siamo all'epoca de' principii; non difendiamo, né assaliamo che questi, non siamo inesorabili che su quel terreno. Là è il perno del futuro; là stanno le nostre più care speranze. - Le generazioni passano; i nomi e le battaglie intorno ad essi passeranno soffocate dal torrente popolare, che sta per diffondersi. Stendiamo un velo sui fatti che furono: chi può far che non siano? - ma l'avvenire è nostro; le teoriche del passato noi le rifiutiamo pel tempo che c'incalza. Noi cacciamo la nostra bandiera tra il mondo vecchio ed il nuovo - chi vuole s'annodi intorno a questa bandiera; chi non vuole, viva di memorie, ma non cerchi di sollevarne un'altra, caduta e lacera.
Che se tra gli uomini, a' quali l'esser nati in un'epoca anteriore alla nostra ha stillato un dubbio nell'anima che si voglia per noi e per le nostre dottrine rimoverli dalla impresa, vi sono alcuni che abbiano la canizie sul capo, e l'entusiasmo nel core, uomini che procedendo col tempo veglino lo sviluppo progressivo degli elementi rivoluzionari, e modifichino a seconda di questo sviluppo il loro piano d'operazione, oh vengano a noi! guardino spassionatamente alle nostre teoriche, a' nostri atti, ai nostri affetti - e vengano a noi! Vengano, e ci snudino le ferite onorate, che ottennero nei campi delle patrie battaglie: noi bacieremo quelle sante ferite; venereremo que' capegli canuti; accetteremo il loro consiglio, e raunandoci intorno ad essi, li mostreremo con orgoglio a' nostri nemici sclamando: noi abbiamo la voce del passato e quella dell'avvenire per la nostra causa! -
Sia dunque pace! - Pace è il voto dell'anime nostre. In nome della patria - in nome di quanto v'è di più sacro, noi gridiamo pace! - L'accusa di seminar la discordia ricada sulla testa degli uomini che si gridano liberi, e non ammettono progresso nelle cose umane - che parlano di concordia, e accumulano le interpretazioni maligne e i sospetti sulle parole proferite candidamente - che predicano la unione, e schizzano il veleno sulle intenzioni. - Con questi, non è via d'accordo possibile. -
Giovani miei confratelli - confortatevi, e siate grandi! - Fede in Dio, nel dritto, ed in noi! - era il grido di Lutero, e commosse una metà dell'Europa. Inalzate quel grido - e innanzi! I fatti mostreranno se c'ingannammo, dicendo che l'avvenire era nostro. -
I doveri dell'uomo
PREFAZIONE
L'avvenire, della Patria e vostro, voi non lo fonderete se non liberandovi da due piaghe che oggi purtroppo, spero per breve tempo, contaminano le classi più agiate e minacciano di sviare il progresso Italiano : il Macchiavellismo e il Materialismo. Il primo, travestimento meschino della scienza d'un Grande infelice, v'allontana dall'amore e dall'adorazione schietta e lealmente audace della Verità : il secondo vi trascina inevitabilmente, con il culto degli interessi, all'egoismo ed all'anarchia.
Voi dovete sottrarvi all'arbitrio e alla prepotenza degli uomini. E nella guerra che si combatte nel mondo tra il Bene e il Male, dovete dare il vostro nome alla Bandiera del Bene e avversare, senza tregua, il Male, respingendo ogni dubbia insegna, ogni transazione codarda, ogni ipocrisia di capi che cercano maneggiarsi fra i due ; sulla via del primo, voi m'avrete, finchè io vivo.
E perché quelle due Menzogne vi sono spesso affacciate con apparenze seduttrici e con un fascino di speranze che solo il culto di Dio e della Verità può tradurre in fatti per voi, ho creduto debito di scrivere, a premunirvi, questo libretto. Io v'amo troppo per adulare alle vostre passioni o accarezzare i sogni dorati coi quali altri tentano ottenere favore da voi.
La mia voce può apparirvi severa e troppo insistente a insegnarvi la necessità del sacrificio e della virtù per altrui. Ma io so, e voi, buoni e non guasti da una falsa scienza o dalla ricchezza, intenderete fra breve, che ogni vostro diritto non può essere frutto che d'un dovere compiuto.
GIUSEPPE MAZZINI - Aprile 23 - 1860.
I DOVERI DELL'UOMO
Io voglio parlarvi dei vostri doveri. Voglio parlarvi, come il core mi detta, delle cose più sante che noi conosciamo, di Dio, dell'Umanità, della Patria, della Famiglia. Ascoltatemi con amore com' io vi parlerò con amore. La mia parola è parola di convinzione maturata da lunghi anni di dolori e d'osservazioni e di studi. I doveri ch'io vi indicherò, io cerco e cercherò, finché io viva, adempirli, quanto le mie forze concedono. Posso errare, ma non di core. Posso ingannarmi, non ingannarvi. Uditemi dunque fraternamente : giudicate liberamente tra voi medesimi, se vi pare ch' io vi dica la verità, abbandonatemi se vi pare ch'io predichi errore; ma seguitemi, e operate a seconda dei miei insegnamenti, se mi trovate apostolo della verità. L'errore è sventura da compiangersi : ma conoscere la verità e non uniformarvi le azioni, è delitto che cielo e terra condannano.
Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? Perché, in una società dove tutti, volontariamente o involontariamente, v'opprimono, dove l'esercizio di tutti i diritti che appartengono all'uomo vi é costantemente rapito, dove tutte le infelicità sono per voi, e ciò che si chiama felicità é per gli uomini dell'altre classi, vi parlo io di sacrificio, e non di conquista, di virtù, di miglioramento morale, di educazione, e non di benessere materiale ? È questione che debbo mettere in chiaro prima di andare avanti, perché in questo appunto sta la differenza tra la nostra scuola e molte altre che vanno predicando oggi in Europa; poi, perché questa è domanda che sorge facilmente nell'anima irritata del lavoratore che soffre.
Siamo poveri, schiavi, infelici: parlateci di miglioramenti materiali, di libertà, di felicità. Diteci se siamo condannati a sempre soffrire o se dobbiamo alla nostra volta godere. Predicate il-Dovere ai nostri padroni, alle classi che ci stanno sopra e che trattando noi come macchine, fanno monopolio dei -beni che spettano a tutti. A noi, parlate di diritti: parlate dei modi di rivendicarceli; parlate della nostra potenza. Lasciate che abbiamo esistenza riconosciuta; ci parlerete allora di doveri e di sacrificio. Così dicono molti fra i nostri operai, e seguono dottrine ed associazioni corrispondenti al loro desiderio; non dimenticando che una sola cosa, ed è che il linguaggio invocato da essi si é tenuto da cinquanta anni in poi senz'avere fruttato un minimo di miglioramento materiale alla condizione degli operai.
Da cinquanta anni in poi, tutto quanto si è operato per il progresso e per il bene contro i governi assoluti o contro l'aristocrazia di sangue; s' è operato in nome dei Diritti dell'uomo, in nome della libertà come mezzo e del benessere come scopo alla vita. Tutti gli atti della Rivoluzione Francese e dell'altre che la seguirono e la imitarono, furono conseguenza d'una Dichiarazione dei Diritti dell'uomo. Tutti i lavori dei Filosofi, che la prepararono, furono fondati sopra una teoria di libertà, sull'insegnamento dei propri diritti ad ogni individuo. Tutte le scuole rivoluzionarie predicarono all'uomo, ch'egli é nato per la felicità, che ha diritto di ricercarla con tutti i suoi mezzi, che nessuno ha diritto d'impedirlo in questa ricerca, e ch'egli ha quello di rovesciare gli ostacoli incontrati sul suo cammino. E gli ostacoli furono rovesciati : la libertà fu conquistata; durò per anni in molti paesi; in alcuni ancor dura. La condizione del popolo ha migliorato ? I milioni che vivono alla giornata sul lavoro delle loro braccia, hanno forse acquistato una minima parte del benessere sperato, promesso ?
No; la condizione del popolo non ha migliorato; ha peggiorato anzi e peggiora in quasi tutti i paesi, e specialmente qui dov'io scrivo, il prezzo delle cose necessarie alla vita è andato progressivamente aumentando, il salario dell'operaio in molti rami d'attività progressivamente diminuendo, e la popolazione moltiplicando. In quasi tutti i paesi, la sorte degli uomini di lavoro è diventata più incerta, più precaria; le crisi che condannano migliaia d'operai all'inerzia per un certo tempo si sono fatte più frequenti. L'accrescimento annuo delle emigrazioni di paese in paese, e d'Europa alle altre parti del mondo, e la cifra crescente sempre degli istituti di beneficenza, delle tasse pei poveri, dei provvedimenti per la mendicità, bastano a provarlo. Questi ultimi provano anche che l'attenzione pubblica va più sempre svegliandosi sui mali del popolo; ma a diminuire visibilmente la loro inefficacia a quei mali, dimostra un aumento egualmente progressivo di miseria nelle classi alle quali tentano provvedere.
E nondimeno, in questi ultimi cinquanta anni, le sorgenti della ricchezza sociale e la massa dei beni materiali sono andate crescendo. La produzione ha raddoppiato. Il commercio, attraverso crisi continue, inevitabili nell'assenza assoluta d'organizzazione, ha conquistato più forza d'attività e una sfera più estesa alle sue operazioni. Le comunicazioni hanno acquistato pressoché dappertutto sicurezza e rapidità, e diminuito quindi, col prezzo del trasporto, il prezzo delle derrate. E d'altra parte, l'idea dei diritti inerenti alla natura umana é oggi mai generalmente accettata : accettata a parole e ipocritamente anche da chi cerca, nel fatto, eluderla. Perché dunque la condizione del popolo non ha migliorato? Perché il consumo dei prodotti, invece di ripartirsi equamente fra tutti i membri delle società europee, si é concentrato nelle mani di pochi uomini appartenenti a una nuova aristocrazia? Perché il nuovo impulso comunicato all'industria e al commercio ha creato, non il benessere dei più, ma il lusso d'alcuni?
La risposta é chiara per chi vuol addentrarsi un po' nelle cose. Gli uomini sono creature d'educazione, e non operano che a seconda del principio d'educazione che loro é dato. Gli uomini che promossero le rivoluzioni anteriori s'erano fondati sull'idea dei diritti appartenenti all'individuo : le rivoluzioni conquistarono la libertà : libertà individuale, libertà di insegnamento, libertà di credenze, libertà di commercio, libertà in ogni cosa e per tutti.
Ma che mai importavano i diritti riconosciuti a chi non aveva mezzo d'esercitarli? che importava la libertà d'insegnamento a chi non aveva né tempo, né mezzi per profittarne? che importava la libertà di commercio a chi non aveva cosa alcuna da porre in commercio, né capitali, né credito? La società si componeva, in tutti i paesi dove quei principi fondamentali furono proclamati, d'un piccolo numero d'individui possessori del terreno, del credito, dei capitali; e di vaste moltitudini d'uomini non aventi che le proprie braccia, forzati a darle, come arnesi di lavoro, a quei primi e a qualunque patto, per vivere : forzati a spendere in fatiche materiali e monotone l'intera giornata : cos'era per essi, costretti a combattere colla fame, la libertà, se non un'illusione, una amara ironia?
Perché così non fosse, sarebbe stato necessario che gli uomini delle classi agiate avessero consentito a ridurre il tempo dell'opera, a crescerne la retribuzione, a procacciare un'educazione uniforme gratuita alle moltitudini, a rendere gli strumenti di lavoro accessibili a tutti, a costituire un credito per il lavoratore dotato di capacità, di iniziativa e di buone intenzioni. Ora perché lo avrebbero fatto? Non era il benessere lo scopo supremo della vita? Non erano i beni materiali le cose desiderabili innanzi a tutte? Perché diminuirsene il godimento a vantaggio altrui? S'aiuti dunque chi può. Quando la società assicura ad ognuno che possa l'esercizio libero dei diritti spettanti all'umana natura, fa quanto é richiesta di fare. Se v'é chi per fatalità della propria condizione, non può esercitarne alcuno, si rassegni e non incolpi persona.
Era naturale che così dicessero, e così dissero infatti. E questo pensiero delle classi privilegiate di fortuna riguardo alle classi povere, diventò rapidamente pensiero d'ogni individuo verso ogni individuo. Ciascun uomo prese cura dei propri diritti e del miglioramento della propria condizione senza cercare di provvedere all'altrui; e quando i propri diritti si trovarono in urto con quelli degli altri, fu guerra : guerra non di sangue, ma d'oro e d'insidie : guerra meno virile dell'altra, ma egualmente rovinosa : guerra accanita nella quale i forti schiacciano inesorabilmente i deboli o gl'inesperti. In questa guerra continua, gli uomini si educarono all'egoismo, e all'avidità dei beni materiali esclusivamente.
La libertà di credenza ruppe ogni comunione di fede. La libertà di educazione generò l'anarchia morale. Gli uomini, senza vincolo comune, senza unità di credenza religiosa e di scopo, chiamati a godere e non altro, tentarono ognuno la propria via, non badando se camminando su quella non calpestassero le teste dei loro fratelli, fratelli di nome e nemici di fatto. A questo siamo oggi, grazie alla teoria dei diritti.
Certo, esistono diritti; ma dove i diritti di un individuo vengano a contrasto con quelli d'un altro, come sperare di conciliarli, di metterli in armonia, senza ricorrere a qualche cosa superiore a tutti i diritti ? E dove i diritti d'un individuo, di molti individui, vengano a contrasto con i diritti del paese, a che tribunale ricorrere? Se il diritto al benessere, al più gran benessere possibile, spetta a tutti i viventi, chi scioglierà la questione tra l'operaio e il capo-produttore?
Se il diritto all'esistenza é il primo inviolabile diritto d'ogni uomo, chi può comandare il sacrificio dell'esistenza di alcuni uomini per il miglioramento d'altri uomini? Lo comanderete in nome della Patria, della Società, della moltitudine dei vostri fratelli? Cos'é la Patria, per l'opinione della quale io parlo, se non quel luogo in cui i nostri diritti individuali sono più sicuri ? Cos'é la Società, se non un convegno di uomini, i quali hanno pattuito di mettere la forca di molti in appoggio dei diritti di ciascuno ? E voi, dopo avere insegnato per cinquanta anni all'individuo che la Società é costituita per assicurargli l'esercizio dei suoi diritti, vorrete domandargli di sacrificarli tutti alla Società, di sottomettersi, occorrendo, a continue fatiche, alla prigione, all'esilio, per migliorarla? Dopo avergli predicato per tutte le vie che lo scopo della vita é il benessere, vorrete a un tratto ordinargli di perdere il benessere e la vita stessa per liberare il proprio paese dallo straniero, o per procacciare condizioni migliori a una classe che non é la sua?
Dopo avergli parlato per anni in nome degli interessi materiali, pretenderete ch'egli, trovando davanti a sé ricchezza e potenza, non stenda la mano ad afferrarle, anche a scapito de' suoi fratelli?.
Operai Italiani, questa non é opinione, senza appoggio di fatti, venuta nella nostra mente; é storia, storia dei nostri tempi, storia le cui pagine grondano sangue e sangue del popolo. Interrogate tutti gli uomini che cambiarono la rivoluzione del 1830 in una sostituzione di persone ad altre persone, e, a modo d'esempio, fecero dei cadaveri dei vostri compagni di Francia, morti combattendo nelle tre giornate, uno sgabello alla propria potenza : tutte le loro dottrine, prima del 1830, erano fondate sulla vecchia idea dei diritti, non sulla credenza nei doveri dell'uomo. Voi li chiamate oggi traditori ed apostati, e non furono che conseguenti alla loro dottrina. Combattevano, con sincerità, il governo di Carlo X, perché quel governo era direttamente nemico alla classe d'onde essi uscivano, e violava, e tendeva a sopprimere i loro diritti. Combattevano in nome del ben essere ch'essi non possedevano quanto pareva loro di meritare.
Alcuni erano perseguitati nella libertà del pensiero; altri, ingegni potenti, si vedevano negletti, allontanati dagli impieghi che occupavano uomini di capacità inferiore alla loro. Allora anche i mali del popolo li irritavano. Allora scrivevano arditamente e di buona fede intorno ai diritti che appartengono a ogni uomo. Poi, quando i loro diritti politici e intellettuali si trovarono assicurati, quando la via agli impieghi fu loro aperta, quando ebbero conquistato il benessere che cercavano, dimenticarono il popolo, dimenticarono che i milioni, inferiori ad essi per educazione e per desideri, cercavano l'esercizio d'altri diritti e la conquista d'un altro benessere, posero l'animo in pace e non si curarono d'altri che di sé stessi.
Perché li chiamate traditori ? Perché non chiamate invece traditrice la loro dottrina ? Viveva e scriveva nello stesso tempo in Francia un uomo che non dovete dimenticare, più potente d'ingegno ch'essi tutti non erano : era allora nemico nostro; ma credeva nel Dovere : nel dovere di sacrificare l'intera esistenza al bene comune, alla ricerca e al trionfo della Verità : studiava attento gli uomini e i tempi : non si lasciava sedurre dagli applausi, né avvilire dalle delusioni : tentata e fallita una via, ritentava sopra un'altra il miglioramento dei più : e quando i tempi cambiati gli mostrarono un solo elemento capace d'operarlo, quando il popolo si mostrò sull'arena più virtuoso e credente che non tutti coloro i quali avevano preteso trattar la sua causa, egli, Lamennais, l'autore delle Parole d'un credente, che avete lette voi tutti, divenne il migliore apostolo della causa nella quale siamo fratelli. Eccovi, in lui e negli uomini de' quali ho parlato, rappresentata la differenza tra gli uomini dei diritti e quei del Dovere. Ai primi la conquista dei loro diritti individuali, togliendo ogni stimolo, basta perché s'arrestino : il lavoro dei secondi non s'arresta qui in terra che colla vita.
E tra i popoli interamente schiavi, dove la lotta ha ben altri pericoli, dove ogni passo che si muove verso il bene è segnato dal sangue d'un martire, dove il lavoro contro l'ingiustizia dominatrice é necessariamente segreto e privo dei conforti della pubblicità e della lode, quale obbligo, quale stimolo alla costanza può mantenere sulla via del bene gli uomini che riducono la santa guerra sociale che noi sosteniamo a un combattimento per i loro diritti? Parlo, s'intende, della generalità, e non delle eccezioni che esistono in tutte le dottrine. Perché, sedato il tumulto di spiriti e il movimento di azione contro la tirannide che trascina naturalmente alla lotta la gioventù, dopo qualche anno di sforzi, dopo delusioni inevitabili in impresa siffatta, quegli uomini non si stancherebbero ? Perché non preferirebbero il riposo comunque a una vita irrequieta, agitata di contrasti e pericoli, che può un giorno o l'altro finire in una prigione, sul patibolo, o nell'esilio ?
È storia purtroppo dei più fra gli Italiani d'oggidì, imbevuti come sono delle vecchie idee francesi : tristissima storia; ma come interromperla se non cambiando il principio da cui partono per dirigersi ? Come, e in nome di chi convincerli che i pericoli, le delusioni devono farli più forti, che hanno a combattere non per alcuni anni, ma per tutta la loro vita? Chi può dire ad un uomo: seguita a lottare per i tuoi diritti, quando lottare per essi gli costa più caro che non l'abbandonarli?
E chi può, anche in una società costituita su basi più giuste che non le attuali, convincere un uomo fondato unicamente sulla teoria dei diritti, ch'egli ha da mantenersi sulla via comune e occuparsi di dare sviluppo al pensiero sociale ? - Ponete ch'ei si ribelli; ponete ch'egli si senta forte e vi dica : rompo il patto sociale: le mie tendenze, le mie facoltà mi chiamano altrove: ho diritto sacro, inviolabile, di svilupparle, e mi pongo in guerra contro tutti: quale risposta potrete voi dargli stando alla sua dottrina? che diritto avete voi, perché siete maggiorità, d'imporgli ubbidienza e lacci che non s'accordano con i suoi desideri, colle sue aspirazioni individuali? che diritto avete voi di punirlo quando lui le vìola?
I diritti appartengono eguali ad ogni individuo : la convivenza sociale non può crearne uno solo. La Società ha più forza, non più diritti dell'individuo. Come dunque proverete voi all'individuo ch'eri deve confondere la sua volontà colla volontà dei suoi fratelli nella Patria o nell'Umanità? Col carnefice, colle prigioni? Le Società fin ora esistenti hanno fatto così. Ma questa é guerra, e noi vogliamo pace : é repressione tirannica, e noi vogliamo educazione.
EDUCAZIONE, abbiamo detto; ed é la gran parola che racchiude tutta quanta la nostra dottrina. La questione vitale che s'agita nel nostro secolo é una questione d' Educazione. Si tratta non di stabilire un nuovo ordine di cose colla violenza; un ordine di cose stabilito colla violenza é sempre tirannico quand'anche é migliore del vecchio: si tratta di rovesciare colla forza la forza brutale che s'oppone oggi a ogni tentativo di miglioramento, di proporre al consenso della nazione, messa in libertà d'esprimere la sua volontà, l'ordine che pare migliore, e di educare con tutti i mezzi possibili gli uomini a svilupparlo, ad operare conformemente.
Colla teoria dei diritti possiamo insorgere e rovesciare gli ostacoli; ma non fondare forte e durevole l'armonia di tutti gli elementi che compongono la Nazione. Colla teoria della felicità, del benessere dato per oggetto primo alla vita, noi formeremo uomini egoisti, adoratori della materia, che porteranno le vecchie passioni nell'ordine nuovo e lo corromperanno pochi mesi dopo. Si tratta dunque di trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli ai loro fratelli senza farli dipendenti dall'idea d'un solo o dalla forza di tutti. E questo principio é il DOVERE. Bisogna convincere gli uomini ch'essi, figli tutti d'un solo Dio, hanno ad essere qui in terra esecutori d'una sola Legge - che ognuno d'essi, deve vivere, non per sé, ma per gli altri - che lo scopo della loro vita non é quello di essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi e gli altri migliori - che il combattere l' ingiustizia e l'errore a beneficio dei loro fratelli, e dovunque si trova, é non solamente diritto, ma dovere: dovere da non negligersi senza colpa - dovere di tutta la vita.
Italiani, fratelli miei! intendetemi bene. Quand' io dico, che la conoscenza dei loro diritti non basta agli uomini per operare un miglioramento importante e durevole, non chiedo che rinunziate a questi diritti; dico soltanto che non sono se non una conseguenza di doveri adempiti, e che bisogna cominciare da questi per giungere a quelli. E quando io dico, che proponendo come scopo alla vita la felicità, il benessere, gl' interessi materiali, corriamo rischio di essere egoisti, non intento che non dobbiate occuparvene; dico che gli interessi materiali, solo cercati, proposti non come mezzi, ma come fine, conducono sempre a quel tristissimo risultato. Quanto, sotto gli Imperatori, gli antichi Romani si limitavano a chiedere pane e divertimenti, erano la razza più abbietta che dir si possa, e dopo aver subìto la tirannia stolida e feroce degli Imperatori, cadevano vilmente schiavi dei Barbari che invadevano.
In Francia e altrove i nemici d'ogni progresso sociale hanno seminato la corruzione e tentano sviare le menti dall'idea di mutamento cercando sviluppo all'attività materiale. E noi aiuteremmo il nemico colle nostre mani? I miglioramenti materiali sono essenziali, e noi combatteremo per conquistarceli; ma non perché importi unicamente agli uomini d'essere ben nutriti e alloggiati; bensì perché la coscienza della vostra dignità, e il vostro sviluppo morale non possono appressarsi finché state, come oggi, in un continuo duello colla miseria. Voi lavorate dieci o dodici ore della giornata come potete trovar tempo per educarvi? I più tra voi guadagnano appena tanto da sostentar sé e la loro famiglia : come possono trovar mezzi per educarsi ? La precarietà e le interruzioni del vostro lavoro vi fanno trapassare dalla eccessiva operosità alle abitudini dello sfaccendato : come potreste acquistar le tendenze all'ordine, alla regolarità, all'assiduità ? La scarsezza del vostro guadagno sopprime ogni speranza di risparmio efficace e tale che possa un giorno giovare ai vostri figli o agli anni della vostra vecchiaia : come potreste educarvi ad abitudini d'economia? Molti fra voi sono costretti dalla miseria a separare i fanciulli, non diremo dalle cure - quali cure d'educazione possono dare ai figli le povere mogli degli operai ? - ma dall'amore e dallo sguardo delle madri, cacciandoli, per alcuni soldi, ai lavori nocivi delle manifatture : come possono, in condizione siffatta, svilupparsi, ingentilirsi i sentimenti di famiglia ?
Non avete diritti di cittadini, né partecipazione alcuna d'elezione o di voto alle leggi che regolano i vostri atti e la vostra vita come potreste avere coscienza di cittadini e zelo per lo Stato e affetto sincero alle leggi? La giustizia é inegualmente distribuita fra voi e l'altre classi quindi dove imparereste il rispetto, e l'amore alla giustizia ? La società vi tratta senz'ombra di simpatia, quindi dove imparereste a simpatizzare colla società ? Voi dunque avete bisogno che cambino le vostre condizioni materiali perché possiate svilupparvi moralmente : avete bisogno ti lavorar meno per potere consacrare alcune ore della vostra giornata al progresso dell'anima vostra : avete bisogno di una retribuzione di lavoro che vi ponga in grado d'accumulare risparmi, d'acquietarvi n'animo sull' avvenire, di purificarvi soprattutto d'ogni sentimento di reazione, d'ogni impulso di vendetta, d'ogni pensiero d'ingiustizia verso chi vi fu ingiusto.
Dovete dunque cercare, e otterrete questo mutamento ; ma dovete cercarlo come mezzo, non come fine: cercarlo per senso di dovere, non unicamente di diritto : cercarlo per farvi migliori; non unicamente per farvi materialmente felici. Altrimenti, quale differenza sarebbe tra voi e i vostri tiranni ? Essi lo sono precisamente, perché non guardano che al benessere, alle voluttà, alla potenza.
Farvi migliori : questo ha da essere no scopo della vostra vita. Farvi stabilmente meno infelici, voi non potete, se non migliorando. I tiranni sorgerebbero a mille tra voi, se voi non combatteste che in nome degni interessi materiali, o d'una certa organizzazione. Poco importa che mutiate organizzazione, se nasciate voi stessi e gli altri con le passioni e con l'egoismo dell'oggi : le organizzazioni sono come certe piante che danno veleno o rimedi a seconda delle operazioni di chi le esegue. Gli uomini buoni fanno buone le organizzazioni cattive, i malvagi fanno tristi le buone. Si tratta di render migliori e convinte dei loro doveri le classi che oggi, volontariamente o involontariamente, vi opprimono; né potete riuscirvi se non cominciando a fare, per quanto é possibile, migliori voi stessi.
Quando dunque udite dirvi dagli uomini che predicano la necessità d'un cambiamento sociale, ch'essi
lo produrranno invocando unicamente i vostri diritti, siate loro riconoscenti delle buone intenzioni, ma diffidate della riuscita. I mani del povero sono noti in parte almeno, alle classi agiate; noti ma non sentiti. Nell'indifferenza generane nata dalla mancanza di una fede comune, nell'egoismo, conseguenza inevitabile della predicazione continuata da tanti anni del benessere materiale, quei che non soffrono si sono a poco a poco avvezzi a considerare quei mali come una triste necessità dell'ordine sociale o a lasciare la cura dei rimedi alle generazioni che verranno. La difficoltà non é nel convincerli ; é nello scuoterli dall' inerzia, nel ridurli, convinti che siano ad agire, ad associarsi, ad affratellarsi con voi per conquistare l'organizzazione sociale, che porrà fine, per quanto le condizioni dell'Umanità non concedono, ai vostri mali e ai loro terrori. Ora, questa é un'opera della fede, della fede nella missione che Dio ha dato alla creatura umana qui sulla Terra, nella responsabilità che pesa su tutti coloro che non la compiono, nel Dovere che impone a ciascuno di operare continuamente e con sacrificio a norma del Vero. Tutte le dottrine possibili di diritti e di benessere materiale non potranno che condurvi a tentativi che, se rimarranno isolati e unicamente appoggiati sulle vostre force, non riusciranno : non potranno che preparare in più breve dei delitti sociali : una guerra civile tra classe e classe.
Operai Italiani! Fratelli miei! Quando Cristo venne e cambiò la faccia del mondo, Lui non parlò di -diritti ai ricchi, che non avevano bisogno di conquistarli; ai poveri che ne avrebbero forse abusato, ad imitazione dei ricchi : non parlò di utile o d' interessi a una gente che gl' interessi e l'utile avevano corrotto : parlò di Dovere, parlò d'Amore, di Sacrificio, di Fede : disse che quegli solo sarebbe il primo fra tutti, che avrebbe giovato a tutti coll'opera sua.
E quelle parole sussurrate nell'orecchio ad una società che non aveva più scintilla di vita, la rianimarono, conquistarono i milioni, conquistarono il mondo e fecero progredire d'un passo l'educazione del genere umano. Operai Italiani ! noi siamo in un'epoca simile a quella di Cristo. Viviamo in mezzo a una società incadaverita com'era quella dell'Impero Romano, col bisogno nell'animo di ravvivarla, di trasformarla, d'associarne tutti i membri e i lavori in una sola fede, sotto una sola legge, verso uno scopo solo, sviluppo libero progressivo di tutte le facoltà che Dio ha messo in germe nella sua creatura. Cerchiamo che Dio regni sulla terra come nel Cielo, o meglio che la terra sia una preparazione al Cielo, e la Società un tentativo di avvicinamento progressivo al pensiero Divino.
Ma ogni atto di Cristo rappresentava la fede ch'ei predicava, e intorno a lui v'erano apostoli che incarnavano nei loro atti la fede ch'essi avevano accettato. Siate tali, e vincerete. Predicate il Dovere agli uomini delle classi che vi stanno sopra, e compite, per quanto é possibile, i doveri vostri : predicate la virtù, il sacrificio, l'amore; e siate virtuosi, e pronti al sacrificio e all'amore. Esprimete coraggiosamente i vostri bisogni e le vostre idee ; ma senza ira, senza rancore, senza minaccia : la più potente minaccia, se v' é chi ne abbia bisogno, é la fermezza, non l'irritazione del linguaggio. Mentre propagate tra i vostri compagni l' idea dei loro futuri destini, l'idea d'una Nazione che darà loro nome, educazione, lavoro e retribuzione proporzionata, e coscienza e missione d'uomini - mentre infondete in essi il sentimento della lotta inevitabile, alla quale essi devono prepararsi per conquistarla contro le forze dei tristi nostri governi e dello straniero - cercate istruirvi, migliorare, educarvi alla piena conoscenza e alla pratica dei vostri doveri.
È lavoro questo impossibile in gran parte d'Italia per le moltitudini : nessun piano d'educazione popolare può verificarsi tra noi senza un cambiamento nella condizione materiale del popolo, e senza una rivoluzione politica : chi s'illude a sperarlo e lo predica come preparativo indispensabile a ogni tentativo d'emancipazione, predica l'inerzia, non altro. Ma i pochi tra voi, ai quali le circostanze corrono un po' migliori e il soggiorno in paesi stranieri concede mezzi più liberi d'educazione, lo possono, quindi lo devono. E i pochi tra voi, imbevuti una volta dei veri principii dai quali dipende l'educazione d'un Popolo, basteranno a spargerli fra le migliaia, a dirigerli sulla via, e a proteggerli dai sofismi e dalle false dottrine che verranno a insidiarli.
DIO
(Crediamo che Dio è Dio, e l'Umanità è il suo Profeta)
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L'origine dei vostri DOVERI sta in Dio. La definizione dei vostri DOVERI sta nella sua legge. La scoperta progressiva, e l'applicazione della sua legge appartengono all'Umanità.
DIO esiste. Noi non dobbiamo né vogliamo provarvelo : tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo. Dio vive nella nostra coscienza, nella coscienza dell'Umanità, nell'Universo che ci circonda. La nostra coscienza lo invoca nei momenti più solenni di dolore e di gioia. L'umanità ha potuto trasformarne, gustarne, non mai sopprimerne il santo nome. L'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi. Non vi sono atei fra voi : se ve ne fossero, sarebbero degni non di maledizione, ma di compianto. Colui che può negar Dio davanti una notte stellata, davanti alla sepoltura dei suoi più cari, davanti al martirio, è grandemente infelice o grandemente colpevole. Il primo ateo fu senz'alcun dubbio un uomo che aveva celato un delitto agli altri uomini e cercava, negando Dio, liberarsi dall'unico testimonio a cui non poteva celarlo, e soffocare il rimorso che lo tormentava : forse fu un tiranno che aveva rapito con la libertà metà dell'anima ai suoi fratelli e tentava sostituire l'adorazione della Forza brutale alla fede nel Dovere e nel Diritto immortale.
Dopo lui, vennero qua e là, di secolo in secolo, uomini che per aberrazione di filosofia insinuarono l'ateismo; ma pochissimi e vergognosi : - vennero, in momenti non lontani da noi, moltitudini che per una irritazione contro un' idea di Dio falsa, stolta, architettata a proprio benefizio da una casta o da un potere tirannico, negarono Dio medesimo; ma fu un istante, e in quell' istante adorarono, tanto avevano bisogno di Dio, la dea Ragione, la dea Natura. Oggi, vi sono uomini che aborrono da ogni religione perché vedono la corruzione nelle credenze attuali e non indovinano la purità di quelle dell'avvenire; ma nessuno tra loro osa dirsi ateo : vi sono preti che prostituiscono il nome di Dio ai calcoli della venalità, o al terrore dei potenti : vi sono tiranni che lo importunano invocandolo a protettore delle loro tirannidi; ma perché la luce del sole ci viene spesso offuscata e guasta da sozzi vapori, negheremo il sole o la potenza vivificatrice del suo raggio sull'universo ? Perché dalla libertà i malvagi possono talvolta far sorgere l'anarchia, malediremo alla libertà? La fede in Dio brilla d'una luce immortale attraverso tutte le imposture e le corruttele che gli uomini addensano intorno a quel nome.
Le imposture o le corruttele passano, come passano le tirannidi : Dio resta, come resta il Popolo, immagine di Dio sulla terra. Come il Popolo attraverso schiavitù, patimenti e miserie, conquista a grado a grado coscienza, forza, emancipazione, il nome santo di Dio sorge dalle rovine dei culti corrotti a splendere circondato d'un culto più puro, più fervido e più ragionevole.
Io dunque non vi parlo di Dio per dimostrarvene l'esistenza, o per dirvi che dovete adorarlo : voi lo adottate, anche non nominandolo, ogni qualvolta voi sentite la vostra vita e la vita degli esseri che vi stanno intorno : ma per dirvi come dovete adorarlo - per ammonirvi intorno a un errore, che domina le menti di molti tra gli uomini delle classi che vi dirigono, o per esempio loro, di molti tra voi : errore grave o rovinoso quanto è l'ateismo.
Questo errore è la separazione, più o meno dichiarata di Dio, dall'opera sua, dalla Terra sulla quale voi dovete compiere un periodo della vostra vita. Da una parte, una gente che vi dice : Sta bene : Dio esiste; ma voi non potete più che ammetterlo ed adorarlo. La relazione tra lui e gli uomini, nessuno può intenderla o dichiararla. È questione da dibattersi fra Dio medesimo e la vostra coscienza. Pensate intorno a questo ciò che volete, ma non proponete la vostra credenza ai vostri simili; non cercate d'applicarla alle cose di questa terra. La politica è una cosa, la religione è un'altra. Non le confondete. Lasciate le cose del Cielo al potere spirituale stabilito qualunque esso sia, salvo a voi di non credergli, se vi pare ch'egli tradisca la sua missione : lasciate che ognuno pensi e creda a suo modo; voi non dovete occuparvi in comune che delle cose della terra. Materialisti o spiritualisti, credete voi nella libertà, e nell'eguaglianza degli uomini ? volete il ben essere per la maggioranza ? volete il suffragio universale ? riunitevi per ottenere codesto intento; non avete bisogno per questo d'intendervi sulle questioni che riguardano il cielo.
Avete d'altra parte uomini che vi dicono : " Dio esiste ; ma così grande, troppo superiore a tutte le cose create, perché voi possiate sperar di raggiungerlo colle opere umane. La terra è fango. La vita è un giorno. Distaccatevi dalla prima quanto più potete : non date più valore che non merita alla seconda. Che sono mai tutti gli interessi terreni a fronte della vita immortale dell'anima vostra ? Pensate a questa: guardate al Cielo. Che v' importa se voi vivete quaggiù in un modo o in un altro? Siete destinati a morire; e Dio vi giudicherà, secondo i pensieri che avrete dato, non alla terra, ma a lui. Soffrite? Benedite al Signore che vi manda quei patimenti. L'esistenza terrena è una prova. La vostra è terra d'esilio. Sprezzatela ed innalzatevi. Di mezzo ai patimenti, dalla miseria, dalla schiavitù, voi potete rivolgervi a Dio, e santificarvi nell'adorazione di Lui, nella preghiera, nella fede in un avvenire che vi compenserà largamente, e nel disprezzo delle cose mondane".
Di quei che così vi parlano, i primi non amano Dio; i secondi non lo conoscono. L'uomo è uno, direte ai primi. Voi non potete troncarlo in due; e far sì ch'egli concordi con voi nei principii che devono regolare l'ordinamento della società, quand'ei differisca intorno all'origine sua, ai suoi destini e alla sua legge di vita quaggiù. Le religioni governano il mondo. Quando gli uomini dell'India credevano d'esser nati, gli uni dalla testa, altri dalle braccia, altri dai piedi di Brama, Divinità loro, ordinavano la società secondo la divisione degli uomini in caste, assegnavano agli uni ereditariamente il lavoro intellettuale, ad altri la milizia, ad altri le opere servili, e si condannavano a una immobilità che ancora dura e durerà finché la credenza in quel principio non cada. Quando i Cristiani dichiararono al mondo, che gli uomini erano tutti figli di Dio e fratelli in lui, tutte le dottrine dei legislatori e dei filosofi dell'antichità che stabilivano l'esistenza di due nature negli uomini, non valsero ad impedire l'abolizione della schiavitù, e quindi un ordinamento radicalmente diverso nella società.
Ad ogni progresso delle credenze religiose noi possiamo mostrarvi corrispondente nella storia dell'Umanità un progresso sociale : alla vostra dottrina d'indifferenza in fatto di religione, voi non potete mostrarci altra conseguenza che l'anarchia. Voi avete potuto distruggere, non mai fondare : smentiteci, se potete. A forza d'esagerare un principio contenuto nel Protestantismo, e ch'oggi il Protestantismo sente il bisogno d'abbandonare - a forza di dedurre tutte le vostre idee unicamente dall'indipendenza dell'individuo - voi siete giunti, a che ? all'anarchia, cioè alla oppressione del debole, nel commercio; alla libertà, cioè alla derisione del debole che non ha mezzi, né tempo, né istruzione per esercitare i propri diritti, nell'ordinamento politico; all'egoismo, cioè all'isolamento e alla rovina del debole che non può aiutarsi da sé, della morale. Ma noi vogliamo Associazione : come ottenerla sicura se non da fratelli che credano negli stessi principi regolatori, che si uniscano nella stessa fede, che giurino nello stesso nome ? Vogliamo educazione come darla o riceverla, se non in virtù d'un principio che contenga l'espressione delle nostre credenze sull'origine, sul fine, sulla legge di vita dell'uomo su queste terra ? Vogliamo educazione comune : come darla o riceverla, senza una fede comune? Vogliamo formare Nazione : come riuscirvi, se non credendo in uno scopo comune, in un dovere comune ? E d'onde possiamo noi dedurre un dovere comune, se non dall'idea che ci formiamo di Dio e della sua relazione con noi ?
Certo : il suffragio universale è cosa eccellente; è il solo mezzo legale col quale un paese possa, senza crisi violente a ogni tanto, governarsi; ma il suffragio universale in un paese dominato da una fede darà l'espressione della tendenza, della volontà nazionale: in un paese privo di credenze comuni, cosa mai potrà esprimere se non l'interesse numericamente più forte e l'oppressione di tutti gli altri ? Tutte le riforme politiche in ogni paese irreligioso, o non curante di religione, dureranno quanto il capriccio o l'interesse degli individui vorranno e non più. L'esperienza degli ultimi cinquanta anni ci ha addottrinati, su questo punto, abbastanza.
Agli altri che vi parlano del Cielo, scompagnandolo dalla Terra, voi direte che cielo e terra sono, come la via e il termine della via, una cosa sola. Non dite che la terra è fango : la terra è di Dio. Dio la creava perché per essa salissimo a lui. La terra non è soggiorno d'espiazione o di tentazione è il luogo del nostro lavoro per un fine di miglioramento, del nostro sviluppo verso un grado d'esistenza superiore. Dio ci creava non per la contemplazione, ma per l'azione : ci creava a immagine sua, ed egli è Pensiero ed Azione, anzi non v'è in lui pensiero che non si traduca in azione. Noi dobbiamo, dite, sprezzare tutte cose mondane, e calpestare la vita terrena, per occuparci della celeste; ma cos'è mai la vita terrena, se non un preludio della celeste, un avviamento a raggiungerla? Non v'avvedete che voi, benedicendo all'ultimo gradino della scala per la quale noi tutti dobbiamo salire, e maledicendo al primo, ci troncate la via?
La vita d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo : nel periodo terreno come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser preparazione all'altro, ogni sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo continuo ascendente della vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella umanità complessiva che cresce con l'opera di ciascuno di noi. Ora Dio v'ha messo quaggiù sulla terra : v'ha messo intorno milioni di esseri simili a voi, il cui pensiero si alimenta col vostro pensiero, il cui miglioramento progredisce col vostro, la cui vita si feconda della vostra vita; vi ha dato, a salvarvi dai pericoli dell' isolamento, bisogni che non potete soddisfare soli, e istinti predominanti sociali che dormono nei bruti e che vi distinguono da essi : v'ha steso intorno quel mondo che voi chiamate Materia, magnifico di bellezza, pregno di vita, d'una vita, che, non dovete dimenticarlo, si mostra per ogni dove tanto che vi si vede il segno di Dio, ma aspetta nondimeno l'opera vostra, dipende nelle sue manifestazioni da voi, e si moltiplica di potenza quando più la vostra attività si moltiplica : v'ha posto dentro simpatie inestinguibili, la pietà per chi geme, la gioia per chi sorride, l'ira contro a chi opprime la creatura, il desiderio incessante del Vero, l'ammirazione pel Genio che scopre più parte di vero, l'entusiasmo per chi lo traduce in azione giovevole a tutti, la venerazione religiosa per chi, non potendo farlo trionfare, more martire, portando col proprio sangue testimonianza per esso - e voi negate, sprezzate questi indizi della vostra missione, che Dio v'ha profuso d'intorno, anzi cacciate l'anatema sui segni suoi, chiamandoci a concentrare tutte le nostre forze in un'opera di purificazione interna, imperfetta, impossibile quando è solitaria! Or Dio non punisce chi lo tenta così ?
Non degrada egli lo schiavo ? Non sommerge egli negli appetiti sensuali, negli istinti ciechi di quella che voi chiamate materia, metà dell'anima del povero giornaliero costretto a consumare, senza lume d'educazione, in una serie d'atti fisici, la vita divina ? Trovate fede religiosa più viva nel servo Russo che non nel Polacco combattente le battaglie della patria e della libertà ? Trovate amore più fervente di Dio nel suddito avvilito d'un Papa e d'un Re tiranno che non nel repubblicano Lombardo del dodicesimo secolo e nel repubblicano Fiorentino del decimoquarto ? "Dov'è lo spirito di Dio ivi è la libertà", ha detto uno de' più potenti Apostoli che noi conosciamo; e la religione che lui predicava decretò l'abolizione della schiavitù : chi può intendere e adorare convenientemente Dio strisciandosi ai piedi della sua creatura?
La vostra non è religione, è setta d'uomini che hanno dimenticato la loro origine, le battaglie che i loro padri sostennero contro una società incadaverita, e le vittorie che riportarono trasformando quel mondo terrestre che oggi voi, o contemplatori, sprezzate. Qualunque forte credenza sorga fra le rovine delle vecchie esaurite trasformerà l'ordinamento sociale esistente perché ogni forte credenza cerca applicarsi a tutti i rami dell'attività umana; perché la terra ha cercato sempre, in ogni epoca, conformarsi al cielo in che essa credeva; perché tutta intera la storia dell'Umanità ripete, sotto forme diverse e a gradi diversi secondo i tempi, la parola registrata nella Orazione Dominicale del Cristianesimo : Venga il tuo regno sulla terra, o Signore, siccome è nel cielo.
Venga il regno di Dio sulla terra, siccome è nel cielo: sia questa, o fratelli miei, meglio intesa e applicata che non fu per l'addietro, la vostra parola di fede, la vostra preghiera : ripetetela e operate perché si verifichi. Lasciate ch'altri tenti persuadervi la rassegnazione passiva, l'indifferenza alle cose terrene, la sottomissione ad ogni potere temporale anche ingiusto, replicandovi, male intesa, quell'altra parola : " Rendete a Cesare ciò ch'è di Cesare e ciò ch'è di Dio a Dio ". Possono dirvi cosa che non sia di Dio? Nulla è di Cesare se non in quanto è conforme alla Legge Divina. Cesare, ossia il potere temporale, il governo civile, non è che il mandatario, l'esecutore, quanto le sue forze e i tempi concedono, del disegno di Dio : dove tradisce il mandato, è vostro, non diremo diritto, ma dovere, mutarlo. A che siete quaggiù se non per affaticarvi a sviluppare coi vostri mezzi e nella vostra sfera il concetto di Dio ?
A che professare di credere nell'unità del genere umano, conseguenza inevitabile dell'Unità di Dio, se non lavorate a verificarla, combattendo le divisioni arbitrarie, le inimicizie che separano tuttavia le diverse tribù formanti l'Umanità ? A che credere nella libertà umana, base della umana responsabilità, se non ci adoperiamo a distruggere tutti gli ostacoli che impediscono la prima e viziano la seconda? A che parlare di Fratellanza pur concedendo che i nostri fratelli siano ogni dì conculcati, avviliti, sprezzati? La terra è la nostra lavoreria : non bisogna maledirla; bisogna santificarla. Le forze materiali che ci troviamo d'intorno sono i nostri strumenti di lavoro, non bisogna ripudiarli, bisogna dirigerli al bene.
Ma questo, voi, senza Dio, non potete. V'ho parlato di Doveri: v'ho insegnato che la sola conoscenza dei vostri diritti non basta a guidarvi durevolmente sulle vie del bene : non basta a darvi quel miglioramento progressivo, continuo, nella vostra condizione, che voi cercate : ora, senza Dio, d'onde il Dovere ? senza Dio, voi, a qualunque sistema civile vogliate appigliarvi, non potete trovare altra base che la Forza cieca, brutale, tirannica. Di qui non si esce. O lo sviluppo delle cose umane dipende da una legge di Provvidenza che noi tutti siamo incaricati di scoprire e di applicare, o è affidato al caso, alle circostanze del momento, all'uomo che sa meglio valersene. O dobbiamo obbedire a Dio, o servire ad uomini, uno o più non importa. Se non regna una Mente suprema su tutte le menti umane, chi può salvarci dall' arbitrio dei nostri simili, quando si trovino più potenti di noi ? Se non esiste una Legge santa inviolabile, non creata dagli uomini, quale norma avremo per giudicare se un atto è giusto o non lo è ? In nome di chi, in nome di che protesteremo contro l'oppressione e l'ineguaglianza?
Senza Dio, non v'è altro dominatore che il Fatto : il Fatto davanti al quale i materialisti s'inchinano sempre, abbia nome Rivoluzione o Bonaparte : il Fatto del quale i materialisti anch'oggi, in Italia ed altrove, si fanno scudo per giustificare l'inerzia, anche dove concordano teoricamente coi nostri principii. Ora comanderemo noi loro il sacrificio, il martirio in nome delle nostre opinioni individuali ? Cangeremo, in virtù solamente de' nostri interessi, la teorica in pratica, il principio astratto in azione ? Disingannatevi. Finché parleremo individui, in nome di quanto il nostro intelletto individuale ci suggerisce, avremo quel ch'oggi abbiamo: adesione a parole, non opere. Il grido che suonò in tutte grandi rivoluzioni, il grido Dio lo vuole, Dio lo vuole delle Crociate, può solo convertire gl'inerti in attivi, dar animo ai paurosi, entusiasmo di sacrificio ai calcolatori, fede a chi respinge col dubbio ogni umano concetto. Provate agli uomini che l'opera d'emancipazione e di sviluppo progressivo alla quale voi li chiamate, sta nel disegno di Dio: nessuno si ribellerà. Provate loro che l'opera terrestre da compiersi quaggiù è essenzialmente connessa colla loro vita immortale : tutti i calcoli del momento spariranno davanti all'importanza dell'avvenire. Senza Dio, voi potete imporre, non persuadere : potete essere tiranni alla volta vostra, non educatori ed Apostoli.
Dio lo vuole, Dio lo vuole! E' grido di popolo, o fratelli; è grido del vostro popolo, grido nazionale Italiano. Non vi lasciate ingannate, o voi che lavorate con sincerità d'amore per la vostra Nazione, da chi vi dirà forse che la tendenza Italiana non è che tendenza politica, e che lo spirito religioso s'è dipartito da essa. Lo spirito religioso non si dipartì mai dall' Italia, finché l'Italia, comunque divisa, fu grande ed attiva; si dipartì, quando nel secolo decimosesto, caduta Firenze, caduta sotto le armi straniere di Carlo V, e sotto i raggiri dei Papi ogni libertà di vita Italiana, noi cominciammo a perdere tendenze nazionali e a vivere spagnuoli, tedeschi, e francesi. Allora i nostri letterati incominciarono a far da buffoni di principi e ad accarezzare la svogliatezza dei padroni, ridendo di tutti e di tutto. Allora i nostri preti vedendo impossibile ogni applicazione di verità religiosa cominciarono a far bottega del culto, e a pensare a se stessi, non al popolo ch'essi dovevano illuminare e proteggere.
E allora, il popolo, sprezzato dai letterati, tradito spolpato dai preti, esiliato da ogni influenza nelle cose pubbliche, cominciò a vendicarsi ridendo dei letterati, diffidando dei preti, ribellandosi da tutte credenze, poiché vedeva corrotta l'antica e non poteva presentire più in là. Da quel tempo in poi noi ci trasciniamo tra le superstizioni comandate dall'abitudine o dai governi e la incredulità, abbietti e impotenti. Ma noi vogliamo risorgere grandi e onorati. E ricorderemo la tradizione Nazionale. Ricorderemo che col nome di Dio sulla bocca e colle insegne della loro fede nel centro della battaglia, i nostri fratelli lombardi vincevano, nel dodicesimo secolo, gl' invasori tedeschi, e riconquistavano le loro libertà manomesse.
Ricorderemo che i repubblicani delle città toscane si radunavano a parlamento nei tempi. Ricorderemo gli Artigiani Fiorentini che, respingendo il partito di sottomettere all'impero della famiglia Medici la loro libertà democratica, elessero, per voto solenne, Cristo capo della Repubblica - e il frate Savonarola predicante a un tempo il dogma di Dio e quello del Popolo - i Genovesi del 1746 liberatori, a furia di sassate, nel nome di Maria protettrice, della loro città dall'esercito tedesco che la occupava - e una catena d'altri fatti simili a questi nei quali il pensiero religioso protesse e fecondò il pensiero popolare Italiano. E il pensiero religioso dorme, aspettando sviluppo, nel nostro popolo : chi saprà suscitarlo, avrà più fatto per la Nazione che non con venti sètte politiche. Forse all'assenza di questo pensiero negli imitatori delle costituzioni e tattiche monarchiche forestiere che condussero i tentativi passati d'insurrezione in Italia tanto quanto all'assenza d'uno scopo apertamente popolare è dovuta la freddezza con che il popolo guardò finora a quei tentativi. Predicate dunque, o fratelli, in nome di Dio. Chi ha core Italiano, vi seguirà.
Predicate in nome di Dio. I letterati sorrideranno? Ebbene domandate ai letterati che cosa hanno fatto per la loro patria. I preti vi scomunicheranno : dite ai preti che voi conoscete Dio più ch'essi tutti non fanno, e che tra Dio, e la sua Legge, voi non avete bisogno d'intermediari. Il popolo vi intenderà e ripeterà con voi : Crediamo in Dio Padre, Intelletto ed Amore, Creatore ed Educatore dell'Umanità.
E in quella parola, voi e il Popolo vincerete.
LA LEGGE
Voi avete vita; dunque avete una legge di vita. Non v'è vita senza legge. Qualunque cosa esiste, esiste in un certo modo, secondo certe condizioni, con una certa legge. Una legge d'aggregazione governa i minerali: una legge di sviluppo governa le piante: una legge di moto governa gli astri: una legge governa voi e la vostra vita: legge tanto più nobile ed alta quanto più voi siete superiori a tutte le cose create sulla terra. Svilupparvi, agire, vivere secondo la vostra legge, è il primo, anzi l'unico vostro Dovere.
Dio v'ha dato la vita; Dio v'ha dunque dato la legge. Dio è l'unico Legislatore della razza umana. La sua legge è l'unica alla quale voi dobbiate ubbidire. Le leggi umane non sono valide e buone se non in quanto vi si uniformano, spiegandola ed applicandola: sono tristi ogni qualvolta la contraddicono o se ne discostano; ed è non solamente vostro diritto, ma vostro dovere disubbidirle e abolirle. Chi meglio spiega ed applica ai casi umani la legge di Dio, è vostro capo legittimo: amatelo e seguitelo. Ma da Dio in fuori non avete, né potete, senza tradirlo e ribellarvi da lui, avere padrone.
Nella coscienza della vostra legge di vita, della LEGGE DI DIO, sta dunque il fondamento della Morale, la regola delle vostre azioni e dei vostri doveri, la misura della vostra responsabilità : in essa sta pure la vostra difesa contro alle leggi ingiuste che l'arbitrio d'un uomo o di più uomini può tentare d'imporvi. Voi non potete, senza conoscerla, pretender nome o diritti di uomini. Tutti i diritti hanno la loro origine in una legge, e voi, ogni qualvolta non potete invocarla, potete essere tiranni o schiavi, non altro: tiranni se siete forti, schiavi dell'altrui forza se siete deboli. Ad essere uomini, vi bisogna conoscere la legge che distingue la natura umana da quella dei bruti, delle piante, dei minerali, e conformarvi le vostre azioni.
Ora come conoscerla ?
E' questa la domanda che in tutti i tempi l'umanità ha indirizzato a quanti hanno pronunziato la parola doveri; e le risposte sono anch'oggi diverse. Gli uni hanno risposto mostrando un Codice, un libro, e dicendo : qui dentro è tutta la legge morale.
Gli altri hanno detto : ogni uomo interroghi il proprio cuore; qui sta la definizione del bene e del male. Altri ancora, rigettando il giudizio dell'individuo, ha invocato il consenso universale, e dichiarato che dove l'umanità concorda in una credenza, quella credenza è la vera.
Erravano tutti.
E la storia del genere umano dichiarava impotenti, con fatti irrecusabili, tutte queste risposte.
Quelli che affermano trovarsi in un libro o sulla bocca d'un solo uomo tutta quanta la legge morale dimenticano che non vi è codice dal quale l'umanità, dopo una credenza di secoli, non si sia scostata per cercarne e ispirarne un'altra migliore, e che non vi è ragione, oggi specialmente, di credere che l'umanità cambi di metodo.
A quelli che sostengono la sola coscienza dell'individuo essere la norma del vero e del falso, ossia del bene e del male, basta ricordare, che nessuna religione, per santa che fosse, è stata senza eretici, senza dissidenti convinti e pronti ad affrontare il martirio in nome della loro coscienza. Oggi il Protestantismo si divide e suddivide in mille sètte tutte fondate sui diritti della coscienza dell' individuo; tutte accanite a farsi guerra tra loro, e perpetuanti l'anarchia di credenze, vera e sola sorgente della discordia che tormenta socialmente e politicamente i popoli dell'Europa.
E d'altra parte, agli uomini che rinnegano la testimonianza della coscienza dell'individuo per richiamarsi unicamente al consenso dell'umanità in una credenza, basta ricordare come tutte le grandi idee che migliorarono l'umanità cominciarono a manifestarsi in opposizione a credenze che l'umanità consentiva e furono predicate da individui che l'umanità derise, perseguitò, crocefisse.
Ciascuna dunque di queste norme è insufficiente a ottenere la conoscenza della LEGGE DI Dio, della Verità. E nondimeno, la coscienza dell'individuo è santa : il consenso comune dell'umanità è santo : e qualunque rinunzia a interrogare questo o quella, si priva d'un mezzo essenziale per conoscere la verità. L'errore generale fin qui è stato quello di volerla raggiungere con uno solo di questi mezzi esclusivamente : errore decisivo e funestissimo nelle conseguenze, perché non si può stabilire la coscienza dell'individuo, sola norma nella verità, senza cadere nell'anarchia, non si può invocare come inappellabile il consenso generale in un momento dato senza soffocare la libertà umana e rovinare nella tirannide.
Così - e cito questi esempi per mostrare come da queste prime basi dipenda, più che generalmente non si crede, tutto quanto l'edificio sociale - così gli uomini, servendo allo stesso errore, hanno ordinato la società politica, gli uni sul rispetto unicamente dei diritti dell'individuo, dimenticando interamente la missione educatrice della società; gli altri unicamente sui diritti sociali, sacrificando la libertà e l'azione dell'individuo (Parlo naturalmente dei paesi dove si è tentata col sistema monarchico costituzionale un'organizzazione qualunque della società: nei paesi governati dispoticamente non v'è società; i diritti sociali e i diritti dell'individuo sono egualmente sacrificati). . E la Francia dopo la sua grande rivoluzione, e l'Inghilterra segnatamente, c'insegnarono come il primo sistema non conduca che alla ineguaglianza e all'oppressione dei più; il Comunismo, fra gli altri, ci mostrerebbe, se potesse mai trapassare allo stato di fatto, come il secondo condanni a pietrificarsi la società togliendole ogni moto e ogni facoltà di progresso.
Così gli uni, considerando che i pretesi diritti dell'individuo, hanno ordinato, o meglio disordinato sistema economico, gli danno per unica base la teoria della libera concorrenza illimitata, mentre gli altri, non guardando che all'unità sociale, vorrebbero affidare al governo il monopolio di tutte le forze produttrici dello Stato: due concetti, il primo dei quali ci ha dato tutti i mali dell'anarchia, il secondo ci darebbe l'immobilità e tutti i mali della tirannide.
Dio v'ha dato il consenso dei vostri fratelli e la vostra coscienza, come due ali per innalzarvi quanto è possibile sino a lui. Perché v'ostinate a troncarne una ? Perché isolarvi, assorbirvi nel mondo ? Perché voler soffocare la voce del genere umano? Ambedue sono sacre; Dio parla ad ambedue. Dovunque s'incontrano, dovunque il grido della vostra coscienza è ratificato dal consenso dell'umanità, ivi è Dio, ivi siete certi di avere in pugno la verità : l'uno è la verificazione dell'altro.
Se i vostri doveri non fossero che negativi, se consistessero unicamente nel non fare il male, nel non nuocere ai vostri fratelli, forse nello stato di sviluppo in cui oggi sono anche i meno educati, il grido della vostra coscienza basterebbe a dirigervi. Siete nati al bene, e ogni qual volta voi operate direttamente contro la Legge, ogni qual volta voi commettete ciò che gli uomini chiamano delitto, v'è tal cosa in voi che v'accusa, tale una voce di rimprovero che voi potrete dissimulare agli altri, ma non a voi stessi. Ma i vostri più importanti doveri sono positivi. Non basta il non fare: bisogna fare.
Non basta limitarsi a non operare contro la Legge; bisogna operare a seconda della Legge. Non basta il non nuocere: bisogna giovare ai vostri fratelli.
Purtroppo finora la morale si è presentata ai più fra gli uomini in una forma più negativa che affermativa. Gli interpreti della Legge hanno detto " non ruberai, non ammazzerai " ; pochi, o nessuno, hanno insegnato gli obblighi che spettano all'uomo, e il come egli debba giovare ai suoi simili e al disegno di Dio nella creazione. Ora questo è il primo scopo della Morale; né individuo, consultando unicamente la propria coscienza, può raggiungerlo mai.
La coscienza dell'individuo parla in ragione della sua educazione, delle sue tendenze, delle sue abitudini, delle sue passioni. La coscienza dell'Irochese selvaggio parla un linguaggio diverso da quella dell'Europeo incivilito del XIX secolo. La coscienza dell'uomo libero suggerisce doveri che la coscienza dello schiavo non sospetta nemmeno. Interrogate il povero giornaliero Napoletano o Lombardo, al quale un cattivo prete fu l'unico apostolo di morale, al quale, se pur sa leggere, quella del catechismo Austriaco fu l'unica lettura concessa : egli vi dirà che i suoi doveri sono lavoro assiduo a ogni prezzo per sostenere la sua famiglia, sottomissione illimitata senza esame alle leggi quali esse siano, e il non nuocere altrui : a chi gli parlasse di doveri che lo legano alla patria e all'umanità, a chi gli dicesse " voi nuocete ai vostri fratelli accettando di lavorare per un prezzo inferiore all'opera, voi peccate contro a Dio e contro all'anima vostra obbedendo a leggi che sono ingiuste " ci risponderebbe, come chi non intende, inarcando le ciglia.
Interrogate l'operaio Italiano, al quale circostanze migliori o il contatto con uomini di più educato intelletto hanno insegnato più parte del vero; ci vi dirà che la sua patria è schiava, che i suoi fratelli sono ingiustamente condannati a vivere in miseria materiale e morale, e ch'egli sente il dovere di protestare, potendo, contro a questa ingiustizia.
Perché tanto divario fra i suggerimenti della coscienza in due individui dello stesso tempo e dello stesso paese? Perché fra dieci individui appartenenti in sostanza alla stessa credenza, quella che impone lo sviluppo e il progresso della razza umana, troviamo dieci convinzioni diverse sui modi d'applicare la credenza alle azioni, cioè sui doveri? Evidentemente, il grido della coscienza dell' individuo non basta, in ogni stato di cose e senz'altra norma, a rivelargli la legge. La coscienza basta sola a insegnarvi che una legge esiste, non quali sono questi doveri. Per questo il martirio non s'è mai, e comunque l'egoismo predominasse, esiliato dall'umanità; ma quanti martiri non sacrificarono l'esistenza per presunti doveri, a beneficio d'errori oggi patenti a ciascuno !
Vi è dunque bisogno d'una scorta alla vostra coscienza, d'un lume che le rompa d'intorno la tenebra, d'una norma che ne verifichi e ne diriga gl'istinti. E questa norma è l'Intelletto e l'umanità. Dio ha dato intelletto a ciascun di voi, perché lo educhiate a conoscere la sua legge. Oggi, la miseria, gli errori inveterati da secoli, e la volontà dei vostri padroni, vi contrastano fin la possibilità d'educarlo ; e per questo v'è necessario rovesciare quegli ostacoli colla forza. Ma quand'anche gli ostacoli saranno tolti di mezzo, l'intelletto di ciascun di voi sarà insufficiente a conoscere la legge di Dio, se non appoggiandosi all'intelletto dell'umanità. La vostra vita è breve : le vostre facoltà individuali sono deboli, incerte, e abbisognano d'un punto d'appoggio. Ora Dio v'ha messo vicino un essere la cui vita è continua, le cui facoltà sono la somma di tutte le facoltà individuali che si sono, da forse quattrocento secoli, esercitate; un essere che attraverso gli errori e le colpe degl'individui migliora sempre in sapienza e moralità : un essere nel cui sviluppo Dio ha scritto e scrive ad ogni epoca una linea della sua legge.
Quest'essere è l'UMANITA'.
L'Umanità, ha detto un pensatore del secolo scorso, è un uomo che impara sempre. Gl'individui muoiono; ma quel tacito di vero ch'essi hanno pensato, quel tanto di buono ch'essi hanno operato, non va perduto con essi : l'Umanità lo raccoglie e gli uomini che passeggiano sulla loro sepoltura ne fanno loro pro.
Ognuno di noi nasce oggi in una atmosfera d'idee e di credenze, elaborata da tutta l'Umanità anteriore : ognuno di noi porta, senza pur saperlo, un elemento più o meno importante alla vita dell'Umanità successiva.
L'educazione dell'Umanità progredisce come si innalzano in Oriente quelle piramidi alle quali ogni viandante aggiunge una pietra. Noi passiamo, viandanti d'un giorno, chiamati a compiere la nostra educazione individuale altrove; l'educazione dell'Umanità si mostra a lampi in ciascun di noi, si svela lentamente, progressivamente, continuamente nell'Umanità. L'Umanità è il Verbo vivente di Dio. Lo spirito di Dio la feconda, e si manifesta sempre più puro, sempre più attivo d'epoca in epoca in essa, un giorno per mezzo d'un individuo, un altro per mezzo d'un popolo.
Di lavoro in lavoro, di credenza in credenza, l'Umanità conquista via via una nozione più chiara della propria vita, della propria missione, di Dio e della sua legge.
Dio s'incarna successivamente nell'Umanità. La legge di Dio è una, sì come è Dio; ma noi la scopriamo articolo per articolo, linea per linea, quanto più s'accumula l'esperienza educatrice delle generazioni che precedono, quanto più cresce in ampiezza e in intensità l'associazione fra le razze, fra i popoli, fra gl'individui. Nessun uomo, nessun popolo, nessun secolo può presumere di scoprirla intera : la legge morale, la legge di vita dell'Umanità non può scoprirsi intera che dall'Umanità tutta quanta raccolta in associazione, quando tutte le forze, tutte le facoltà che costituiscono l'umana natura saranno sviluppate e in azione. Ma intanto quella parte dell'Umanità che è più inoltrata nell'educazione c'insegna col suo sviluppo parte della legge che noi cerchiamo. Nella sua storia leggiamo il disegno di Dio; nei suoi bisogni i nostri doveri: doveri che mutano o per dir meglio crescono con i bisogni, perché il nostro primo dovere sta nel concorrere a che l'Umanità salga prontamente quel grado di miglioramento e di educazione, al quale Dio e i tempi l'hanno preparata.
Voi dunque, a conoscere la Legge di Dio, avete bisogno d'interrogare non solamente la vostra coscienza, ma la coscienza, il consenso dell'Umanità; a conoscere i vostri doveri, avete bisogno d'interrogare i bisogni attuali dell'Umanità. La morale è progressiva come l'educazione del genere umano e di voi. La morale del Cristianesimo non era quella dei tempi Pagani; la morale del secolo nostro non è quella di diciotto secoli addietro. Oggi i vostri padroni, con la segregazione delle altre classi, col divieto d'ogni associazione, con la doppia censura imposta alla stampa, procacciano di nascondervi, con i bisogni dell'umanità, i vostri doveri. E nondimeno, anche prima del tempo in cui la nazione v'insegnerà gratuitamente dalle scuole d'educazione generale la storia dell'Umanità nel passato, e i suoi bisogni presenti, voi potete, volendo, imparare in parte almeno la prima e indovinare i secondi.
I bisogni attuali dell'umanità emergono in espressioni più o meno violente, più o meno imperfette, dai fatti che occorrono ogni giorno nei paesi ai quali non è legge assoluta l'immobilità del silenzio. Chi vi vieta, fratelli delle terre schiave, saperli? Qual forza di sospettosa tirannide può lungamente contendere a milioni d'uomini, moltissimi dei quali viaggiano fuori d'Italia e rimpatriano, la conoscenza dei fatti europei ? Se le associazioni pubbliche vi sono in quasi tutta Italia vietate, chi può vietar le segrete, quand'esse fuggano i simboli e le organizzazioni complicate, e non consistano che d'una catena fraterna stesa di paese in paese fino a toccare alcuno tra gli infiniti punti della frontiera? Non troverete voi sopra ogni punto della frontiera terrestre e marittima, uomini vostri, uomini che i vostri padroni hanno cacciato fuori di patria per aver voluto giovarvi, che vi saranno apostoli di verità, che vi diranno con amore ciò che gli studi e le tristi facilità dell'esilio hanno loro insegnato sui voti presenti e sulla tradizione dell'umanità ?
Chi può impedirvi, solo che voi vogliate, di ricevere alcuno degli scritti che i vostri fratelli stampano, qui nell'esilio, per voi ? Leggeteli e ardeteli, sì che il giorno dopo l'inquisizione dei vostri patroni non li trovi fra le vostre mani e non ne faccia argomento di colpa alle vostre famiglie; ma pur leggeteli e ripetete quel tanto che avrete potuto serbare a mente, ai più fidati de' vostri amici. Aiutateci colle offerte ad allargare la sfera dell'Apostolato, a compilare, a stampare per voi manuali di storia generale e di storia patria. Aiutateci, moltiplicando le comunicazioni, a diffonderli. Convincetevi che senza istruzione, voi non potete conoscere i vostri doveri convincetevi che se, dove la società si contende ogni insegnamento, la responsabilità d'ogni colpa è, non vostra, ma sua: la vostra incomincia dal giorno in cui una via qualunque all'insegnamento vi è aperta ma non vi entrate: dal giorno in cui vi si mostrano mezzi per mutare una società che vi condanna all'ignoranza, e voi non pensate ad usarne. Non siete colpevoli perché ignorate; siete colpevoli perché vi rassegnate a ignorare - perché mentre la vostra coscienza v'avverte che Dio non v'ha dato facoltà senza imporvi di svilupparle, voi lasciate dormire nell'anima vostra tutte le facoltà del pensiero - perché, mentre pur sapete che Dio non può avervi dato l'amore del vero senza darvi i mezzi di conseguirlo, voi, disperando, rinunziate a farne ricerca e accettate, senza esame, per verità l'affermazione del potente o del sacerdote venduto al potente.
Dio Padre ed Educatore dell' Umanità rivela nello spazio e nel tempo la sua legge all'umanità. Interrogate la tradizione dell'Umanità, il Consiglio dei vostri fratelli, non nel cerchio ristretto d'un secolo o d'una setta, ma in tutti i secoli e nella maggiorità degli uomini passati e presenti. Ogni volta che a quel consenso corrisponde la voce della vostra coscienza, voi siete certi del vero, certi d'avere una linea della legge di Dio.
Noi crediamo nell'umanità sola interprete della legge di Dio sulla terra; e dal consenso dell'umanità in armonia colla nostra coscienza, deduciamo quanto andrò via via dicendovi intorno ai vostri doveri.
DOVERI VERSO L'UMANITA'
I vostri primi doveri, primi non per tempo ma per importanza e perché senza intendere quelli non potete compiere se non imperfettamente gli altri, sono verso l'Umanità. Avete doveri di cittadini, di figli, di sposi, e di padri, doveri santi, inviolabili, dei quali vi parlerò a lungo tra poco; ma ciò che fa santi e inviolabili quei doveri, è la missione, il Dovere, che la vostra natura di uomini vi comanda. Siete padri per educare uomini al culto e allo sviluppo della Legge di Dio. Siete cittadini, avete una Patria, per potere facilmente, in una sfera limitata, col concorso di gente già stretta a voi per lingua, per tendenze, per abitudini, operare a benefizio degli uomini quanti sono e saranno, ciò che mal potreste operare perduti, voi soli e deboli, nell' immenso numero dei vostri simili. Quelli che v' insegnano morale, limitando la nozione dei vostri doveri alla famiglia o alla patria, v'insegnano, più o meno ristretto, l'egoismo, e vi conducono al male per gli altri e per voi medesimi. Patria e Famiglia sono come due circoli segnati dentro un circolo maggiore che li contiene; come due gradini d'una scala senza i quali non potreste salire più alto, ma sui quali non v'è permesso arrestarvi.
Siete uomini: cioè creature ragionevoli, socievoli e capaci, per mezzo unicamente dell'associazione, d'un progresso a cui nessuno può assegnare limiti; e questo è quel tanto che oggi sappiamo della Legge di vita data all'Umanità. Questi caratteri costituiscono la umana natura, che vi distingue dagli altri esseri che vi circondano e che è affidata a ciascuno di voi come un seme da far fruttare.
Tutta la vostra vita deve tendere all'esercizio e allo sviluppo ordinato di queste facoltà fondamentali della vostra natura. Qualunque volta voi sopprimete o lasciate sopprimere in tutto o in parte, una di queste facoltà, voi scadete dal rango di uomini fra gli animali inferiori e violate la legge della vostra vita, la Legge di Dio.
Scadete fra i bruti e violate la Legge di Dio qualunque volta voi sopprimete o lasciate sopprimere una delle facoltà che costituiscono l'umana natura in voi o in altri. Ciò che Dio vuole è non già che la sua Legge s'adempia in voi individui - se Dio non avesse voluto che questo, ci avrebbe creato soli - ma che s'adempia su tutta quanta la terra, fra tutti gli esseri ch'egli creava a immagine sua.
Ciò ch' Egli vuole è che il Pensiero di perfezionamento e d'amore da lui posto nel mondo si riveli e splenda più sempre adorato e rappresentato. La vostra esistenza terrestre, individuale, limitatissima com'è per tempo e per facoltà, non può rappresentarlo che imperfettissimo e a lampi. L'Umanità sola, continua per generazioni e per intelletto che si nutre dell'intelletto di tutti i suoi membri, può svolgere via via quel divino pensiero e applicarlo e glorificarlo. La vita vi fu dunque data da Dio perché ne usiate a benefizio dell'umanità, perché dirigiate le vostre facoltà individuali allo sviluppo delle facoltà dei vostri fratelli, perché aggiungiate con l'opera vostra un elemento qualunque all'opera collettiva di miglioramento e di scoperta del Vero che le generazioni lentamente, ma continuamente promuovono.
Dovete educarvi ed educare, perfezionarvi e perfezionare. Dio è in voi, non v'è dubbio; ma Dio è pure in tutti gli uomini che popolano con voi questa terra; Dio è nella vita di tutte le generazioni che furono, sono, e saranno, e hanno migliorato e miglioreranno progressivamente il concetto che l'Umanità si forma di Lui, della sua Legge, e dei nostri Doveri. Dovete adorarlo e glorificarlo per tutto ov'Egli è. L'Universo è il suo Tempio. Ed ogni profanazione non combattuta, non espiata, del Tempio di Dio, ricade su tutti quanti i credenti. Poco importa che voi possiate dirvi puri quand'anche poteste, isolandovi, rimanervi tali, se avete a due passi la corruzione e non cercate combatterla, tradite i vostri doveri. Poco importa che adoriate nell'anima vostra la Verità : se l' Errore governa i vostri fratelli in un altro angolo di questa terra che ci è madre comune, e voi non desiderate e non tentate, per quanto le forze vostre concedono, rovesciarlo, tradite i vostri doveri. L'umana natura è falsata nei milioni d'uomini ai quali, come a voi, Dio ha affidato l'adempimento concorde del suo disegno. E voi, rimanendovi inerti, osereste pure chiamarvi credenti ?
Un popolo, il Greco, il Polacco, il Circasso, sorge con una bandiera di patria e d'indipendenza, combatte, vince, o muore per quella. Cos'è che fa battere il vostro cuore al racconto delle battaglie, che lo solleva nella gioia alle sue vittorie, che lo contrista alla sua caduta?
Un uomo, vostro o straniero, si leva, nel silenzio comune, in un angolo della terra, proferisce alcune idee, ch'ei crede vere, le mantiene nella persecuzione e fra i ceppi, e muore, senza rinnegarle, sul palco. Perché lo onorate col nome di Santo e di Martire ? Perché rispettate e fate rispettare dai vostri figli la sua memoria ? E perché leggete con avidità i miracoli d'amor patrio registrati nelle storie Greche e li ripetete ai figli vostri con un senso d'orgoglio quasi fossero storie dei vostri padri ?
Quei fatti Greci sono vecchi di duemila anni e appartengono a un'epoca d'incivilimento che non è la vostra, né lo sarà mai. Quell'uomo che chiamate Martire moriva forse per idee che non sono le vostre, e troncava a ogni modo colla morte ogni via al suo progresso individuale quaggiù. Quel popolo che ammirate nella vittoria e nella caduta, è popolo straniero a voi, forse pressoché ignoto: parla un linguaggio diverso, e il modo della sua esistenza non influisce visibilmente sul vostro: che importa a voi se chi lo domina è il Sultano o il Re di Baviera, il Russo o un governo uscito dal consenso della nazione ?
Ma nel vostro cuore è una voce che grida: " Quegli uomini di duemila anni addietro, quelle popolazioni ch'oggi combattono lontane da voi, quel martire per le idee del quale voi non morreste, furono, sono fratelli vostri: fratelli non solamente per comunione di origine e di natura, ma per comunione di lavoro e di scopo. Quei Greci antichi passarono; ma l'opera loro non passò, e senza quella voi non avreste oggi quel grado di sviluppo intellettuale e morale che avete raggiunto. Quelle popolazioni consacrano col loro sangue un' idea di libertà nazionale per la quale voi combattete. Quel martire insegnava morendo che l'uomo deve sacrificare ogni cosa, e, occorrendo, la vita a quel ch'egli crede essere la Verità. Poco importa ch'egli e quanti altri segnano col loro sangue la fede tronchino qui sulla terra il proprio sviluppo individuale: Dio provvede altrove per essi.
Importa lo sviluppo dell'Umanità. Importa che la generazione ventura sorga, ammaestrata dalle vostre pugne e dai vostri sacrifici, più alta e più potente che voi non siete nella intelligenza della Legge, nell'adorazione della verità. Importa che fortificata dagli esempi la natura umana migliori e verifichi più sempre il disegno di Dio sulla terra. E in qualunque luogo la natura migliori, in qualunque luogo si conquisti una verità, in qualunque parte si muova un passo sulla via dell'educazione, del progresso.
Nella morale, è passo, è conquista che frutterà presto o tardi a tutta quanta l'Umanità. Siete tutti soldati d'un esercito che muove per vie diverse, diviso in nuclei diversi, alla conquista d'un solo intento. Oggi, voi non guardate che ai vostri capi immediati; le diverse assise, le diverse parole d'ordine, le distanze che separano i corpi d'operazione, le montagne che celano gli uni allo guardo degli altri, vi fanno spesso dimenticare questa verità e concentrano esclusivamente la vostra attenzione sul fine che v'è più prossimo. Ma v'è più alto di tutti voi chi abbraccia l'insieme e dirige le mosse. Dio solo ha il segreto della battaglia e saprà raccogliervi tutti in un campo e in una sola bandiera.
Quanta distanza tra questa credenza che fermenta nelle anime nostre e sarà base alla morale dell'Epoca che sta per sorgere, e quella che davano per base alla loro Morale le generazioni che oggi chiamiamo antiche! E com'è stretto il legame che passa fra l'idea che noi ci formiamo del Principato Divino e quella che ci formiamo dei nostri doveri! I primi uomini sentivano Dio, ma senza intenderlo, senza pur cercare d'intenderlo nella sua Legge: lo sentivano nella sua potenza, non nell'amore: concepivano confusamente una relazione qualunque fra lui e il proprio individuo; non altro. Poco atti a staccarsi dalla sfera degli oggetti sensibili, lo sostanziavano in uno di quelli, nell'albero che aveano veduto colpito dal fulmine, nella pietra presso alla quale avevano innalzato la loro tenda, nell'animale che s'era offerto primo al loro occhio. Era il culto che nella storia della religione si distingue col nome di feticismo. E allora gli uomini non conobbero che la famiglia, riproduzione in certo modo, del loro individuo: oltre il cerchio della famiglia non v'erano che stranieri, o più generalmente nemici: giovare a sé e alla famiglia era l'unica base della morale. Più dopo, l'idea di Dio s'ampliò. Dagli oggetti sensibili l'uomo risalì timidamente all'astrazione: generalizzò. Dio non fu più il protettore della famiglia, ma dell'associazione di più famiglie, della città, della gente. Al feticismo successe il politeismo, culto di molti Dei. Allora la morale ampliò anch'essa il suo cerchio d'azione. Gli uomini riconobbero l'esistenza dei doveri più estesi della famiglia, e lavorarono all'incremento della gente, della nazione.
Pur nondimeno, l'Umanità si ignorava. Ogni nazione chiamava barbari gli stranieri, li trattava siccome tali, e ne cercava colla forza o con l'arte, la conquista o l'abbassamento. Ogni nazione aveva stranieri e barbari nel suo seno, uomini, milioni d'uomini non ammessi ai riti religiosi dei cittadini, creduti di natura diversa, e schiavi fra i liberi. L'unità del genere umano non poteva essere ammessa che come conseguenza dell'unità di Dio. E l'unità di Dio, indovinata da alcuni rari pensatori dell' antichità, manifestata altamente da Mosè, ma colla restrizione funesta che un solo popolo era l'eletto di Dio, non fu riconosciuta che verso lo scioglimento dell' Impero Romano, per opera del cristianesimo. Cristo pose in fronte alla sua credenza queste due verità inseparabili : non v'è che un solo Dio, tutti gli uomini sono figli di Dio; e la promulgazione di queste due verità cambiò aspetto al mondo e ampliò il cerchio morale sino ai confini delle terre abitate. Ai doveri verso la famiglia e verso la patria s'aggiunsero i doveri verso l'umanità. Allora l'uomo imparò che dovunque egli trovava un suo simile, ivi era un fratello per lui, un fratello dotato d'un'anima immortale come la sua, chiamata a ricongiungersi al Creatore, e ch'ei gli doveva amore, partecipazione della fede, e aiuto di consiglio e d'opera dov'egli ne abbisognasse. Allora, presentimento d'altre verità contenute in germe nel Cristianesimo, s'udirono sulla bocca degli Apostoli parole sublimi, inintelligibili all'antichità, male intese o tradite anche dai successori: "siccome in un corpo sono molte membra, e ciascun membro esegue una diversa funzione, così, benché molti, noi siamo un corpo solo, e membra gli uni degli altri" (Paolo, Epistola ai Romani, cap.12. Vers.4,5) . "E vi sarà un solo ovile e un solo pastore !" (Giovanni, Evangelio, cap.10. Vers. 16).
Ed oggi, dopo diciotto secoli di studi ed esperienze e fatiche, si tratta di dare sviluppo a quei germi: si tratta d'applicare quella verità, non solamente a ciascun individuo, ma a tutto quell'insieme di facoltà e forze umane presenti e future che si chiama l'UMANITÀ : si tratta di promulgare non solamente che l'Umanità è un corpo solo e deve essere governato da una sola legge, ma che il primo articolo di questa Legge è Progresso, progresso qui sulla terra dove dobbiamo verificare quanto più possiamo del disegno di Dio ed educarci a migliori destini. Si tratta d'insegnare agli uomini che se l'Umanità è un corpo solo, noi tutti, siccome membra di quel corpo. dobbiamo lavorare al suo sviluppo e a farne più armonica, più attiva e più potente la vita. Si tratta di convincersi che noi non possiamo salire a Dio se non per l'anime dei nostri fratelli, e che dobbiamo migliorarle e purificarle anche dov'esse non chiedono. Si tratta, giacché l'Umanità intera può sola compiere quella parte del disegno di Dio ch'ei volle si compiesse quaggiù, di sostituire all'esercizio della carità verso gl'individui un lavoro d'associazione tendente a migliorar l'insieme, e di ordinare a siffatto scopo la famiglia e la Patria. Altri doveri più vasti si riveleranno a noi nel futuro, secondo se acquisteremo una idea meno imperfetta e più chiara della nostra Legge di vita. Così Dio Padre, per mezzo d'una lenta, ma continua educazione religiosa, guida al meglio l'umanità, e in quel meglio il nostro individuo migliora anch'esso.
Migliora in quel meglio, né, senza un miglioramento comune, voi potete sperare che migliorino le condizioni morali o materiali del vostro individuo. Voi, generalmente parlando, non potete, quando anche lo voleste, separare la vostra vita da quella dell' Umanità. Vivete in essa, d'essa, per essa. L'anima vostra, salve le eccezioni dei pochissimi straordinariamente potenti, non può svincolarsi dall'influenza degli elementi fra i quali s'esercita, come il corpo, comunque costituito robustamente, non può sottrarsi all'azione di un'aria corrotta che lo circondi. Quanti fra voi vorranno, colla sicurezza di cacciarli incontro alle persecuzioni, educare i figli a una sincerità senza limiti, dove la tirannide e lo spionaggio impongono di tacere o mentire i due terzi delle proprie opinioni?
Quanti vorranno educarli al disprezzo delle ricchezze in una società dove l'oro è l'unica potenza che ottenga onori, influenza, rispetto, anzi che protegga dall'arbitrio e dall'insulto dei padroni e dei loro agenti? Chi è di voi, che per amore e colle migliori intenzioni del mondo non abbia mormorato ai suoi cari in Italia: diffidate degli uomini; l'uomo onesto deve concentrarsi in se stesso e fuggire la vita pubblica; la carità comincia da casa; e sì fatte massime evidentemente immorali, ma suggeritevi dall'aspetto generale della società? Qual'è la madre che, sebbene appartenente a una fede che adora la croce di Cristo martire volontario dell'Umanità non abbia cacciato le braccia intorno al collo del figlio, e tentato svolgerlo da tentativi pericolosi per il bene dei suoi fratelli? E dov'anche trovaste in voi la forza d'insegnare il contrario, la società intera non distruggerebbe essa colle mille sue voci, coi mille suoi tristissimi esempi l'effetto della vostra parola ? Potete voi stessi purificare, innalzare l'anima vostra, in un'atmosfera di contaminazione e d'avvilimento ? e scendendo alle vostre condizioni materiali, pensate possano migliorare stabilmente per altra via che quella del miglioramento comune ? Milioni di lire sterline sono spesi annualmente qui in Inghilterra, ove io scrivo, dalla carità dei privati a sollievo degli individui caduti in miseria; e la miseria cresce annualmente, e la carità verso gli individui è provata impotente a sanare le piaghe, e la necessità di rimedi organici collettivi è più sempre universalmente sentita. Dove il paese è minacciato continuamente, in virtù delle leggi ingiuste che lo governano, d'una lotta violenta fra gli oppressori e gli oppressi, credete possano rifluire i capitali e abbondare le imprese vaste, lunghe, costose ? Dove i dazi e le proibizioni stanno nel capriccio d'un governo assoluto che non ha chi lo moderi, e le cui spese di eserciti, di spie, d' impiegati o di pensionati crescono coi bisogni della sua sicurezza, credete l'attività dell' industria e della manifattura possa ricevere uno sviluppo progressivo, continuo ?
Risponderete che basta ordinate meglio il governo e le condizioni sociali nella patria vostra ? Non basta. Nessun popolo vive in oggi esclusivamente dei propri prodotti. Voi vivete di cambi, d'importazioni e d'esportazioni. Una nazione straniera che impoverisca, nella quale diminuisca la cifra dei consumatori, è un mercato di meno per voi. Un commercio straniero che in conseguenza dei cattivi ordinamenti soggiaccia a crisi o a rovina, produce crisi o rovina nel vostro.
I fallimenti d'Inghilterra o d'America trascinano fallimenti Italiani.
Il credito è oggi istituzione non nazionale, ma Europea.
E inoltre, ogni tentativo di miglioramento nazionale che voi farete avrà nemici, in virtù delle Leghe contratte dai prìncipi, primi ad accorgersi che la questione è in oggi generale, tutti i governi. Né vi è speranza per voi se non nel miglioramento universale, nella fratellanza fra tutti i popoli dell'Europa e, per l'Europa, dell'Umanità. XXXXXXXX Voi dunque, o fratelli, per dovere e per utile vostro, non dimenticherete mai che i primi vostri doveri, i doveri, senza compiere i quali voi non potete sperare di compiere quei che la patria e la famiglia comandano, sono verso l'Umanità. La parola e l'opera vostra siano per tutti, sì come per tutti è Dio, nel suo amore e nella sua legge. In
qualunque terra voi siate, dovunque un uomo combatte per il diritto, per il giusto, per il vero, ivi è un vostro fratello: dovunque un uomo soffre, tormentato dall'errore, dall'ingiustizia, dalla tirannide, ivi è un vostro fratello.
Liberi e schiavi, SIETE TUTTI FRATELLI. Una è la vostra origine, una la legge, uno il fine per tutti voi. Una sia la credenza, una l'azione, una la bandiera sotto cui militate. Non dite: il linguaggio che noi parliamo è diverso: le lagrime, l'azione, il martirio formano linguaggio comune per gli uomini quanti sono, e che voi tutti intendete.
Non dite : l' Umanità è troppo vasta, e noi troppo deboli. Dio non misura le forze, ma le intenzioni. Amate l'Umanità. Ad ogni opera vostra nel cerchio della Patria o della famiglia, chiedete a voi stessi: se questo ch'e io faccio fosse fatto da tutti e per tutti, gioverebbe o nuocerebbe all'Umanità? e se la coscienza vi risponde : nuocerebbe, desistete: desistete, quand'anche vi sembri che dall'azione vostra uscirebbe un vantaggio immediato per la Patria o per la Famiglia.
Siate apostoli di questa fede, apostoli della fratellanza delle Nazioni e della unità, oggi ammessa in principio, ma nel fatto negata, del genere umano. Siatelo dove potete e come potete. Né Dio, né gli uomini possono esigere più da voi. Ma io vi dico che facendovi tali - facendovi tali, dov'altro non possiate, in voi stessi - voi gioverete all' Umanità. Dio misura i gradi di educazione che Lui fa salire al genere umano sul numero e sulla purità dei credenti. Quando sarete puri e numerosi, Dio che vi conta, vi aprirà il varco all'azione.
DOVERI VERSO LA PATRIA
I primi vostri Doveri, primi almeno per importanza, sono com' io vi dissi, verso l' Umanità. Siete uomini prima di essere cittadini o padri. Se non abbracciaste del vostro amore tutta quanta l'umana famiglia - se non confessaste la fede nella sua unità, conseguenza dell'unità di Dio, e nell'affratellamento dei Popoli che devono ridurla a fatto - se ovunque geme un vostro simile, ovunque la dignità della natura umana è violata dalla menzogna o dalla tirannide, voi non foste pronti, potendo, a soccorrere quel meschino o non vi sentiste chiamati, potendo, a combattere per risollevare gli ingannati o gli oppressi - voi tradireste la vostra legge di vita e non intendereste la religione che benedirà l'avvenire.
Ma che cosa può ciascuno di voi, con le sue forze isolate, fare per il miglioramento morale, per il progresso dell' Umanità? Voi potete esprimere, di tempo in tempo, sterilmente la vostra credenza; potete compiere, qualche rara volta, verso un fratello non appartenente alle vostre terre, un'opera di carità; ma non altro. Ora, la carità non è la parola della fede avvenire.
La parola della fede avvenire è l' associazione, la cooperazione fraterna verso un intento comune, tanto superiore alla carità quanto l'opera di molti fra voi che s'uniscono a innalzare concordi un edificio per abitarvi insieme è superiore a quella che compireste innalzando ciascuno una casupola separata e limitandovi a ricambiarvi gli uni con gli altri aiuto di pietre, di mattoni e di calce. Ma quest'opera comune voi, divisi di lingua, di tendenze, d'abitudini, di facoltà, non potete tentarla. L'individuo è troppo debole e l'Umanità troppo vasta. Mio Dio, - prega, salpando, il marinaio della Brettagna - proteggetemi: il mio battello è sì piccolo e il vostro Oceano così grande! E quella preghiera riassume la condizione di ciascun di voi, se non si trova un mezzo di moltiplicare indefinitamente le vostre forze, la vostra potenza d'azione.
Questo mezzo, Dio lo trovava per voi, quando vi dava una Patria, quando, come un saggio direttore di lavori distribuisce le parti diverse a seconda della capacità, ripartiva in gruppi, in nuclei distinti, l'Umanità sulla faccia del nostro globo e cacciava il germe delle Nazioni. I tristi governi hanno guastato il disegno di Dio che voi potete vedere segnato chiaramente, per quello almeno che riguarda la nostra Europa, dai corsi dei grandi fiumi, dalle curve degli alti monti e dalle altre condizioni geografiche : l'hanno guastato con la conquista, con l'avidità, con la gelosia dell'altrui giusta potenza guastato di tanto che oggi, dall' Inghilterra e dalla Francia infuori, non v'è forse Nazione i cui confini corrispondano a quel disegno.
Essi non conoscevano e non conoscono Patria fuorché la loro famiglia, la dinastia, l'egoismo di casta. Ma il disegno divino si compirà senza fallo. Le divisioni naturali, le innate spontanee tendenze dei popoli, si sostituiranno alle divisioni arbitrarie sancite dai tristi governi. La Carta d'Europa sarà rifatta. La Patria del Popolo sorgerà, definita dal voto dei liberi, sulle rovine della Patria dei re, delle caste privilegiate. Tra quelle patrie sarà armonia, affratellamento. E allora, il lavoro dell' Umanità verso il miglioramento comune, verso la scoperta e l'applicazione della propria legge di vita, ripartito a seconda delle capacità locali e associato, potrà compiersi per via di sviluppo progressivo, pacifico: allora, ciascuno di voi, forte degli affetti e dei mezzi di molti milioni d'uomini parlanti la stessa lingua, dotati di tendenze uniformi, educati dalla stessa tradizione storica, potrà sperare di giovare con l'opera propria a tutta quanta l'Umanità.
A voi uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definita d' Europa. In altre terre segnate con limiti più incerti o interrotti, possono insorgere questioni che il voto pacifico di tutti scioglierà un giorno, ma che hanno costato e costeranno forse ancora lagrime e sangue sulla vostra. Dio v' ha steso intorno linee di confini sublimi, innegabili: da un lato, i più alti monti d'Europa, l'Alpi; dall'altro, il Mare, l' immenso Mare. Aprite un compasso : collocate una punta al nord dell'Italia, su Parma : appuntate l'altra agli sbocchi del Varo e segnate con essa, nella direzione delle Alpi, un semicerchio : quella punta che andrà a fare il semicerchio, a cadere sugli sbocchi dell' Isonzo avrà segnato la frontiera che Dio vi dava. Sino a quella frontiera si parla, s' intende la vostra lingua : oltre quella, non avete diritti. Vostre sono innegabilmente la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, e le isole minori collocate fra quelle e la terraferma d'Italia.
La forza brutale può ancora per poco contendervi quei confini; ma il consenso segreto dei popoli li riconosce d'antico, e il giorno in cui levati unanimi all'ultima prova, pianterete la nostra bandiera tricolore su quella frontiera, l'Europa intera acclamerà sorta e accettata nel consorzio delle Nazioni l'Italia. A quest'ultima prova dovete tendere con tutti gli sforzi.
Senza Patria, voi non avete nome, né segno, né voto, né diritti, né battesimo di fratelli tra i popoli. Siete i bastardi dell' Umanità. Soldati senza bandiera, israeliti delle Nazioni, voi non otterrete fede né protezione : non avrete mallevadori.
Non v'illudete a compiere, se prima non vi conquistate una Patria, la vostra emancipazione da una ingiusta condizione sociale ; dove non è Patria, non è Patto comune al quale possiate richiamarvi: regna solo l'egoismo degli interessi, e chi ha predominio lo serba, giacché non vi è tutela comune a propria tutela. Non vi seduca l'idea di migliorare, senza sciogliere prima la questione Nazionale, le vostre condizioni materiali : non potete riuscirvi. Le vostre associazioni industriali, le consorterie di mutuo soccorso, sono buone com'opera educatrice, come fatto economico : rimarranno sterili finché non abbiate una Italia.
Il problema economico esige principalmente aumento di capitale e di produzione; e finché il vostro paese è smembrato in frazioni - finché, separati da linee doganali e difficoltà artificiali d'ogni sorta, non avete se non mercati ristretti dinanzi a voi - non potete sperare quell'aumento. Oggi - non v' illudete - voi non siete la classe operaia d'Italia, siete frazioni di quella classe: impotenti, ineguali al grande intento che vi proponete. La vostra emancipazione non potrà iniziarsi praticamente se non quando un Governo Nazionale, intendendo i segni dei tempi, avrà inserito, da Roma, nella Dichiarazione di Principi che sarà norma allo sviluppo della vita italiana, le parole : il lavoro è sacro ed è la sorgente della ricchezza d'Italia.
Non vi sviate dunque dietro a speranze di progresso materiale che, nelle vostre condizioni dell'oggi, sono illusioni. La Patria sola, la vasta e ricca Patria Italiana che si stende dalle Alpi all'ultima terra di Sicilia, può compiere quelle speranze. Voi non potete ottenere ciò che è vostro diritto se non obbedendo a ciò che vi comanda il Dovere. Meritate ed avrete.
Oh miei fratelli ! amate la Patria. La Patria è la nostra casa: la casa che Dio ci ha data, ponendovi dentro una numerosa famiglia che ci ama e che noi amiamo, con la quale possiamo intenderci meglio e più rapidamente che con altri, e che per la concentrazione sopra un dato terreno e per la natura omogenea degli elementi ch'essa possiede, è chiamata a un genere speciale d'azione. La Patria è la nostra lavoreria : i prodotti della nostra attività devono stendersi da quella a beneficio di tutta la terra; ma gli strumenti del lavoro che noi possiamo meglio e più efficacemente trattare, stanno in quella, e noi non possiamo rinunziarvi senza tradire l'intenzione di Dio e senza diminuire le nostre forze. Lavorando, secondo i veri principi, per la Patria, noi lavoriamo per l'Umanità : la Patria è il punto d'appoggio della leva che noi dobbiamo dirigere a vantaggio comune. Perdendo quel punto d'appoggio, noi corriamo rischio di riuscire inutili alla Patria e all' Umanità. Prima d'associarsi con le Nazioni che compongono l'Umanità, bisogna esistere come Nazione. Non vi è associazione che tra gli eguali; e voi non avete esistenza collettiva riconosciuta.
L' Umanità è un grande esercito, che muove alla conquista di terre incognite, contro nemici potenti e avveduti. I Popoli sono i diversi corpi, le divisioni di quell'esercito. Ciascuno ha un posto che gli è affidato: ciascuno ha un'operazione particolare da eseguire; e la vittoria comune dipende dall'esattezza con la quale le diverse operazioni saranno compiute. Non turbate l'ordine della battaglia. Non abbandonate la bandiera che Dio vi diede. Dovunque vi troviate, in seno a qualunque popolo le circostanze vi caccino, combattete per la libertà di quel popolo, se il momento lo esige; ma combattete come Italiani, così che il sangue che verserete frutti onore ed amore, non a voi solamente, ma alla vostra Patria.
E Italiano sia il pensiero continuo dell'anime vostre: Italiani siano gli atti della vostra vita; Italiani i segni sotto i quali v'ordinate a lavorare per l'Umanità. Non dite: io, dite : noi. La Patria s'incarni in ciascuno di voi. Ciascuno di voi si senta, si faccia mallevadore dei suoi fratelli: ciascuno di voi impari a far sì che in lui sia rispettata ed amata la Patria.
La Patria è una, indivisibile. Come i membri d'una famiglia non hanno gioia della mensa comune se un d'essi è lontano, rapito all'affetto fraterno, così voi non abbiate gioia e riposo finché una frazione del territorio sul quale si parla la vostra lingua è divelta dalla Nazione.
La Patria è il segno della missione che Dio v'ha dato da compiere nell' Umanità. Le facoltà, le forze di tutti i suoi figli devono associarsi pel compimento di quella missione. Una certa somma di doveri e di diritti comuni spetta ad ogni uomo che risponde al chi sei? degli altri popoli: sono Italiano. Quei doveri e quei diritti non possono essere rappresentati che da un solo Potere uscito dal vostro voto. La Patria deve aver dunque un solo Governo. I politici che si chiamano federalisti e che vorrebbero far dell' Italia una fratellanza di Stati diversi, smembrano la Patria e non ne intendono l'Unità. Gli Stati nei quali si divide oggi l' Italia non sono creazione del nostro popolo: uscirono da calcoli d'ambizione di prìncipi o di conquistatori stranieri, e non giovano che ad accarezzare la vanità delle aristocrazie locali, alle quali è necessaria una sfera più ristretta della grande Patria. Ciò che voi, popolo, creaste, abbelliste, consacraste con i vostri affetti, con le vostre gioie, con i vostri dolori, con il vostro sangue, è la Città, il Comune, non la Provincia o lo Stato. Nella Città, nel Comune dove dormono i vostri padri e vivranno i nati da voi, si esercitano le vostre facoltà, i vostri diritti personali, si svolge la vostra vita d'individuo. È della vostra Città che ciascuno di voi può dire ciò che cantano i Veneziani della loro: "Venezia la xe nostra…. l'avemo fatta nu".
In essa avete bisogno di libertà, come nella Patria comune avete bisogno d'associazione. Libertà di Comune e Unità di Patria, sia dunque la vostra fede. Non dite Roma e Toscana, Roma e Lombardia, Roma e Sicilia; dite : ROMA e Firenze, ROMA e Siena, ROMA e Livorno, e così per tutti i Comuni d'Italia: Roma per tutto ciò che rappresenta la vita Italiana, la vita della Nazione; il vostro Comune per quanto rappresenta la vita individuale. Tutte le altre divisioni sono artificiali, e non s'appoggiano sulla vostra tradizione Nazionale.
La Patria è una comunione di liberi e d'eguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine. Voi dovete farla e mantenerla tale. La Patria non è un aggregato, è una associazione. Non v'è dunque veramente Patria senza un diritto uniforme. Non v'è Patria dove l'uniformità di quel Diritto è violata dall'esistenza di caste, di privilegi, d' ineguaglianze - dove l'attività d'una porzione delle forze e facoltà individuali è cancellata o assopita - dove non è principio comune accettato, riconosciuto, sviluppato da tutti: vi è non Nazione, non popolo, ma moltitudine, agglomerazione fortuita di uomini che le circostanze riunirono, che circostanze diverse separeranno. In nome del vostro amore alla Patria, voi combatterete senza tregua l'esistenza d'ogni privilegio, d'ogni ineguaglianza sul suolo che v'ha dato vita. Un solo privilegio è legittimo: il privilegio del Genio quando il Genio si mostri affratellato con la Virtù; ma è privilegio concesso da Dio e non dagli uomini - e quando voi lo riconoscete seguendone le ispirazioni, lo riconoscete liberamente, esercitando la vostra ragione, la vostra scelta. Qualunque privilegio pretende sottomissione da voi in virtù della forza, d'eredità, d'un diritto che non sia diritto comune, è usurpazione, è tirannide; e voi dovete combatterla e spegnerla. La Patria deve essere il vostro Tempio. Dio al vertice, un popolo d'eguali alla base non abbiate altra formula, altra Legge morale, se non volete disonorare la Patria e voi. Le leggi secondarie che devono via via regolare la vostra vita siano l'applicazione progressiva di quella Legge suprema.
E perché lo siano, è necessario che tutti contribuiscano a farle. Le leggi fatte da una sola frazione di cittadini non possono, per natura di cose e d'uomini, riflettere che il pensiero, le aspirazioni, i desideri di quella frazione : rappresentano, non la Patria, ma un terzo, un quarto, una classe, una zona della Patria. La legge deve esprimere l'aspirazione generale, promuovere l'utile di tutti, rispondere a un battito del cuore della Nazione. La Nazione intera deve esser dunque, direttamente o indirettamente, legislatrice. Cedendo a pochi uomini quella missione, voi sostituite l'egoismo d' una classe alla Patria ch'è l'unione di tutte.
La Patria non è un territorio; il territorio non ne è che la base. La Patria è l'idea che sorge su quello; è il pensiero d'amore, il senso di comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio. Finché uno solo tra i vostri fratelli non è rappresentato dal proprio voto nello sviluppo della vita nazionale - finché uno solo vegeta ineducato fra gli educati - finché uno solo, capace e voglioso di lavoro, langue, per mancanza di lavoro, nella miseria - voi non avrete la Patria come dovreste averla, la Patria di tutti, la Patria per tutti. Il voto, l'educazione, il lavoro sono le tre colonne fondamentali della Nazione; non abbiate posa finché non siano per opera vostra solidamente innalzate.
E quando lo saranno - quando avrete assicurato a voi tutti il pane del corpo e quello dell'anima - quando liberi, uniti, intrecciate le destre come fratelli intorno a una madre amata, moverete in bella e santa armonia allo sviluppo delle vostre facoltà e della missione Italiana - ricordatevi che quella missione è l'Unità morale d' Europa: ricordate gl'immensi doveri ch'essa vi impone. L'Italia è la sola terra che abbia due volte gettato la .grande parola unificatrice alle nazioni disgiunte. La vita d'Italia fu vita di tutti. Due volte Roma fu la Metropoli, il Tempio del mondo Europeo: la prima quando le nostre aquile percorsero conquistatrici da un punto all'altro le terre sconosciute e le prepararono all'Unità con le istituzioni civili: la seconda, quando, domati dalla potenza della natura, delle grandi memorie e dell' ispirazione, religiosa i conquistatori settentrionali, il genio d'Italia s'incarnò nel Papato e adempì da Roma la solenne missione, cessata da quattro secoli, di diffondere la parola d' Unità dell'anime ai popoli del mondo Cristiano.
Albeggia oggi per la nostra Italia una terza missione; di tanto più vasta quanto più grande e potente dei Cesari e dei Papi sarà il POPOLO ITALIANO, la Patria Una e Libera che voi dovete fondare. Il presentimento di questa missione agita l'Europa e tiene incatenati all' Italia l'occhio e il pensiero delle Nazioni.
I vostri doveri verso la Patria stanno in ragione dell'altezza di questa missione. Voi dovete mantenerla pura d'egoismo, incontaminata di menzogna e delle arti di quel gesuitismo politico che chiamano diplomazia.
La politica della Patria sarà fondata per opera vostra sull'adorazione ai principii, non sull'idolatria dell'Interesse o dell'Opportunità.
L'Europa ha Paesi per i quali la Libertà è sacra al di dentro, violata sistematicamente al di fuori; popoli che dicono: altro è il Vero, altro l'Utile; altra cosa è la teorica, altra è la pratica. Quei paesi espieranno lungamente, inevitabilmente la loro colpa nell' isolamento, nell'oppressione e nell'anarchia. Ma voi sapete la missione della nostra Patria e seguirete altra via. Per voi l' Italia avrà sì come un solo Dio nei cieli, una sola verità, una sola fede, una sola norma di vita politica sulla terra. Sull'edificio che il Popolo d' Italia innalzerà più sublime del Campidoglio e del Vaticano, voi pianterete la bandiera della Libertà e dell'Associazione sì che rifulga sugli occhi a tutte le Nazioni, né la velerete mai per terrore di despoti o libidine d'interessi d'un giorno.
Avrete audacia sì come fede. Confesserete altamente il pensiero che fermenta in cuore all' Italia davanti al mondo e a quei che si dicono padroni del mondo. Non rinnegherete mai le Nazioni sorelle. La vita della Patria si svolgerà per voi bella e forte, libera di paure servili e di scettiche esitazioni, serbando per base il popolo, per norma le conseguenze dei suoi principi logicamente dedotte ed energicamente applicate, per forza la forza di tutti, per risultato il miglioramento di tutti, per finte il compimento della missione che Dio le dava. E perché voi sarete pronti a morire per l' Umanità, la vita della Patria sarà immortale.
DOVERI VERSO LA FAMIGLIA
La Famiglia è la Patria del cuore. Vi è un Angelo nella Famiglia che rende, con una misteriosa influenza di grazie, di dolcezza e d'amore, il compimento dei doveri meno arido, i dolori meno amari. Le sole gioie pure e non miste di tristezza che sia dato all'uomo di godere sulla terra, sono, grazie a quell'Angelo, le gioie della Famiglia.
Chi non ha potuto, per fatalità dei circostanze, vivere, sotto le ali dell'Angelo, la vita serena della famiglia, ha un'ombra di mestizia stesa sull'anima, un vuoto che nulla riempie nel cuore; ed io che scrivo per voi queste pagine, lo so. Benedite Iddio che creava quell'Angelo, o voi che avete le gioie e le consolazioni della Famiglia. Non le tenete in poco conto, perché vi sembri di poter trovare altrove gioie più fervide o consolazioni più rapide ai vostri dolori.
La Famiglia ha in sé un elemento di bene raro a trovarsi altrove, la durata. Gli affetti, in essa, vi si stendono intorno lenti, inavvertiti, ma tenaci e durevoli come l'edera intorno alla pianta : vi seguono d'ora in ora : s'immedesimano taciti colla vostra vita.
Voi spesso non li discernete, poiché fanno parte di voi; ma quando li perdete, sentite come se un non so che d'intimo, di necessario al vivere vi mancasse. Voi errate irrequieti e a disagio: potete ancora procacciarvi brevi gioie o conforti; non il conforto supremo, la calma, la calma dell'onda del lago, la calma del sonno della fiducia, del sonno che il bambino dorme sul seno materno.
L'ANGELO DELLA FAMIGLIA E' LA DONNA. Madre, sposa, sorella, la Donna è la carezza della vita, la soavità dell'affetto diffusa sulle sue fatiche, un riflesso sull'individuo della Provvidenza amorevole che veglia sull'Umanità. Sono in essa tesori di dolcezza consolatrice che basta ad ammorzare qualunque dolore. Ed essa è inoltre per ciascun di noi l' iniziatrice dell'avvenire. Il primo bacio materno insegna al bambino l'amore. Il primo santo bacio d'amica insegna all'uomo la speranza, la fede nella vita; e l'amore e la fede creano il desiderio del meglio, la potenza di raggiungerlo grado a grado, l'avvenire insomma, il cui simbolo vivente è il bambino, legame tra noi e le generazioni future. Per essa, la Famiglia, con il suo Mistero divino di riproduzione, accenna all'eternità.
Abbiate dunque, o miei fratelli, sì come santa la Famiglia. Abbiatela come condizione inseparabile della vita, e respingete ogni assalto che potesse venirle mosso da uomini imbevuti di false e brutali filosofie o da incauti che, irritati nel vederla sovente nido d'egoismo e di spirito di casta, credono, come il barbaro, che il rimedio al male stia per sopprimerla.
La Famiglia è concetto di Dio, non vostro. La Potenza umana non può sopprimerla. Come la Patria, più assai che la Patria, la Famiglia è un elemento della vita.
Ho detto più assai che la Patria. La Patria sacra oggi, sparirà forse un giorno, quando ogni uomo rifletterà nella propria coscienza la legge morale dell' Umanità: la Famiglia durerà quanto l'uomo. Essa è la culla dell' Umanità. Come ogni elemento della vita umana, essa deve essere aperta al Progresso, migliorare d'epoca in epoca le sue tendenze, le sue aspirazioni; ma nessuno potrà cancellarla.
Per la Famiglia più sempre santa e inanellata sempre alla Patria: è questa la vostra missione. Ciò che la Patria è per l' Umanità, la Famiglia deve esserlo per la Patria. Com' io v' ho detto che la parte della Patria è quella d'educare uomini, così la parte della Famiglia è quella d'educare cittadini, Famiglia e Patria sono i due punti estremi d'una sola linea. E dove non è così, la Famiglia diventa Egoismo, tanto più schifoso e brutale quanto più prostituisce, sviandola dal vero scopo, la cosa la più santa, gli affetti.
Oggi, l'egoismo regna spesso purtroppo e forzatamente nella Famiglia. Le tristi istituzioni sociali lo generano. In una società fondata su spie, sbirri, prigioni e patiboli, la povera madre, tremante ad ogni nobile aspirazione del figlio, è sospinta a insegnargli la diffidenza, a dirgli: bada! l'uomo che ti parla di Patria, di Libertà, d'Avvenire, e che tu vorresti stringerti al petto, non è forse che un traditore.
In una società nella quale il merito è pericoloso, e la ricchezza è la sola base della potenza, della sicurezza, della difesa contro la persecuzione e il sopruso, il padre è trascinato dall'affetto a dire al giovine anelante la Verità: bada, la ricchezza è la tua tutela: la Verità sola non può esserti scudo contro l'altrui forza, contro l'altrui corruttela.
Ma io vi parlo d'un tempo in cui, col vostro sudore e col vostro sangue, avrete fondato ai figli una Patria di liberi costituita sul merito, sul bene che ciascun di voi avrà fatto ai suoi fratelli. Fino a quel tempo, voi purtroppo non avete innanzi che una sola via di miglioramento, un solo supremo dovere da compiere : ordinarvi, prepararvi, scegliere l'ora opportuna e combattere, conquistarvi con l'insurrezione la vostra Italia. Allora soltanto potrete soddisfare senza gravi e continui ostacoli agli altri vostri doveri. E allora, mentr' io sarò probabilmente sottoterra, rileggete queste mie pagine: i pochi consigli fraterni ch'esse contengono vengono da un cuore che vi ama e sono scritti con la coscienza del vero.
Amate, rispettate la donna. Non cercate in essa solamente un conforto, ma una forza, una ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali e morali.
Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna. Un lungo pregiudizio ha creato, con una educazione disuguale e una perenne oppressione di leggi, quell'apparente inferiorità intellettuale dalla quale oggi argomentano per mantenere l'oppressione. Ma la storia delle oppressioni, non v'insegna che chi opprime si appoggia sempre sopra un fatto creato da lui? Le caste feudali contesero a voi, figli del popolo, fin quasi ai nostri giorni l'educazione; poi dalla mancanza d'educazione argomentarono e argomentano anche oggi per escludervi dal santuario della città, dal recinto dove si fanno le leggi, dal diritto del voto che inizia la vostra missione sociale.
I padroni dei Neri in America dichiarano radicalmente inferiore e incapace d'educazione la razza e perseguitano intanto qualunque si adoperi a educarla. Da mezzo secolo, i fautori delle famiglie regnanti affermano noi Italiani non adatti alla libertà, e intanto, con le leggi e con la forza brutale d'eserciti assoldati, mantengono chiusa ogni via perché possa da noi vincersi, se pure esistesse, l'ostacolo, come se la tirannide potesse mai essere educazione alla libertà.
Ora noi tutti fummo e siamo tuttavia rei di una colpa simile verso la Donna. Allontanate da voi fin l'ombra di quella colpa; però che non è colpa più grave davanti a Dio di quella che divide in due classi l'umana famiglia e impone o accetta che l'una soggiaccia all'altra. Davanti a Dio Uno e Padre non vi è uomo né donna; ma l'essere umano, l'essere nel quale, sotto l'aspetto d'uomo o di donna, s'incontrano tutti i caratteri che distinguono l'Umanità dall'ordine degli animali: tendenza sociale, capacità d'educazione, facoltà di progresso. Dovunque si rivelano questi caratteri, ivi esiste l'umana natura, eguaglianza quindi di diritti e doveri. Come due rami che muovono distinti da uno stesso tronco, l'uomo e la donna muovono, varietà, da una base comune, che è l'umanità.
Non esiste disuguaglianza fra l'uno e l'altra; ma come spesso accade fra due uomini, diversità di tendenze, di vocazioni speciali. Sono due note d'un accordo musicale disuguali o di natura diversa ? La donna e l'uomo sono le due note senza le quali l'accordo umano non è possibile. Hanno doveri e diritti generali diversi due Popoli chiamati dalle loro tendenze speciali o dalle condizioni in cui vivono l'uno a diffondere il pensiero dell'associazione umana per via di colonie, l'altro a predicarlo con la produzione di capolavori d'arte o di letteratura universalmente ammirati ?
Ambedue quei Popoli sono apostoli, consapevoli o no, dello stesso concetto divino: eguali e fratelli in esso. L'uomo e la donna hanno, come quei due Popoli, funzioni distinte nell'Umanità; ma quelle funzioni sono sacre egualmente, necessarie allo sviluppo comune, ambedue rappresentazione del Pensiero che Dio poneva, come anima, nell' Universo.
Abbiate dunque la Donna siccome compagna e partecipe, non solamente delle vostre gioie o dei vostri dolori, ma delle vostre aspirazioni, dei vostri pensieri, dei vostri studi, e dei vostri tentativi di miglioramento sociale. Abbiatela eguale nella vostra vita civile e politica. Siate le due ali dell'anima umana verso l'ideale che dobbiamo raggiungere. La Bibbia Mosaica ha detto : Dio creò l'uomo e dall'uomo la donna; ma la vostra Bibbia, la Bibbia dell'avvenire dirà : Dio creò l'Umanità, manifestata nella donna e nell'uomo.
Amate i figli che la provvidenza vi manda: ma amateli di vero, profondo, severo amore; non dell'amore snervato, irragionevole, cieco, che è egoismo per voi, rovina per essi. In nome di ciò che v'è di più sacro, non dimenticate mai che voi avete in cura le generazioni future, che avete verso quelle anime che vi sono affidate, verso l'Umanità, verso Dio, la più tremenda responsabilità che l'essere umano possa conoscere: voi dovete iniziarle, non alle gioie o alle cupidigie della vita, ma alla vita stessa, ai suoi doveri, alla legge Morale che la governa.
Poche madri, pochi padri, in questo secolo irreligioso, intendono segnatamente nelle classi agiate, la gravità, la santità della missione educatrice : poche madri, pochi padri pensano che le molte vittime, le lotte incessanti e il lungo martirio dei nostri tempi sono frutto in gran parte dell'egoismo innestato trenta anni addietro nelle anime da madri deboli o da padri incauti i quali lasciarono che i loro figli s'avvezzassero a considerare la vita non come dovere e missione, ma come ricerca di piaceri e studio del proprio benessere. Per voi, uomini del lavoro, i pericoli sono minori; i più fra i nati da voi imparano purtroppo la vita delle privazioni. E minori sono d'altra parte in voi, costretti dalla povera condizione sociale a continue fatiche, le possibilità d'educare come importerebbe. Pur nondimeno potete anche voi compiere in parte l'ardua missione. Lo potete con l'esempio e con la parola. Lo potete con l'esempio:
"I vostri figli saranno simili a voi, corrotti o virtuosi secondo che sarete voi stessi virtuosi o corrotti. Come mai sarebbero essi onesti, pietosi, umani, se voi mancate di probità, se siete senza viscere per i vostri fratelli ? come reprimerebbero i loro grossolani appetiti, se vi vedono abbandonati all' intemperanza ? come serberebbero intatta l' innocenza nativa, se voi non temete d'oltraggiare davanti ad essi il pudore con atti indecenti o con oscene parole? Voi siete il vivente modello sul quale si formerà la pieghevole loro natura. Dipende da voi che i vostri figli riescano uomini o bruti" (Lamennais, Libro del Popolo, XII).
E potete educare con la parola. Parlate loro di Patria, di ciò ch'essa fu, di ciò che deve essere.
Quando, la sera, dimenticate, fra il sorriso della madre e l'ingenuo favellìo dei fanciulli seduti sulle vostre ginocchia, le fatiche della giornata, ridite ad essi i grandi fatti dei popolani delle antiche nostre repubbliche; insegnate loro i nomi dei buoni che amarono l'Italia e il suo popolo e per una via di sciagure, di calunnie e di persecuzioni, tentarono migliorarne i destini. Instillate nei loro giovani cuori, non l'odio contro gli oppressori, ma l'energia di proposito contro l'oppressione. Imparino dal vostro labbro e dal tranquillo assenso materno, come sia bello seguire le vie della Virtù, come sia grande piantarsi apostoli della verità, come sia santo sacrificarsi, occorrendo, per i propri fratelli. Infondete nelle tenere menti, insieme ai germi della ribellione contro ogni autorità usurpata o sostenuta dalla forza, la riverenza alla vera, all'unica Autorità, l'autorità della Virtù coronata dal Genio. Fate che crescano, avversi egualmente alla tirannide ed all'anarchia, nella religione della coscienza inspirata, non incatenata, dalla tradizione. La Nazione deve aiutarvi in questa opera. E voi avete, in nome dei vostri figli, diritto di esigerlo. Senza Educazione Nazionale non esiste veramente Nazione.
Amate i parenti. La Famiglia che procede da voi non vi faccia mai dimenticare la famiglia dalla quale procedete. Purtroppo sovente i nuovi vincoli allentano gli antichi, mentre non dovrebbero essere se non un nuovo anello nella catena d'amore che deve annodare in uno tre generazioni della Famiglia. Circondate d'affetti teneri e rispettosi sino all'ultimo giorno le teste canute della madre, del padre. Infiorate ad essi la via della tomba.
Diffondete con la continuità dell'amore sulle loro anime stanche un profumo di fede e d'immortalità. E l'affetto che serbate inviolato ai parenti vi sia pegno di quello che vi serberanno i nati da voi. Parenti, sorelle e fratelli, sposa, figli siano per voi come rami collocati in ordine diverso sulla stessa pianta. Santificate la Famiglia nell'unità dell'amore. Fatene come un Tempio dal quale possiate congiunti sacrificare alla Patria.
Io non so se sarete felici; ma so che, così facendo, anche di mezzo alle possibili avversità, sorgerà per voi un senso di pace serena, un riposo di tranquilla coscienza, che vi darà forza contro ogni prova, e vi terrà schiuso un raggio azzurro di cielo in ogni tempesta.
DOVERI VERSO SE STESSI
Io vi ho detto: "voi avete vita; dunque avete una legge di vita….. Svilupparvi, agire, vivere secondo la legge di vita, è il primo, anzi l'unico vostro Dovere". Vi ho detto che per conoscere quale sia la legge della vostra vita, Dio vi ha dato due mezzi: la "vostra" coscienza e la coscienza dell' Umanità, il consenso dei vostri fratelli. Vi ho detto che ogni qualvolta, interrogando la vostra coscienza, troverete la sua voce in armonia con la grande voce del genere umano trasmessavi dalla storia, voi siete certi d'avere la verità eterna, immutabile, in pugno.
Voi potete oggi difficilmente interrogare a dovere la grande voce che l'Umanità vi tramanda attraverso la Storia: vi mancano finora libri buoni davvero e popolarmente scritti, e vi manca il tempo; ma gli uomini che per ingegno e coscienza meglio rappresentano, da oltre un mezzo secolo, gli studi storici e la scienza dell'Umanità, hanno raccolto da quella voce alcuni caratteri della nostra Legge di Vita; hanno raccolto che la natura umana è essenzialmente educabile, essenzialmente sociale: hanno raccolto che come non vi né uò esservi che un solo Dio, non vi è né può esservi che una sola Legge per l'uomo individuo e per l' Umanità collettiva: hanno raccolto che il carattere fondamentale, universale, di questa Legge è PROGRESSO.
Da queste verità, oggi mai innegabili perché confermate da tutti i rami dell'umano sapere, scendono tutti i vostri doveri verso voi stessi, e scendono pure tutti i vostri diritti i quali sommano in uno: il diritto di non essere menomamente inceppati e d'essere dentro certi limiti, aiutati nel compimento dei vostri doveri.
Voi siete e vi sentite liberi. Tutti i sofismi d'una misera filosofia che vorrebbe sostituire una dottrina di non so quale fatalismo al grido della coscienza umana, non valgono a cancellare due testimonianze invincibili a favore della libertà: il rimorso e il Martirio. Da Socrate a Gesù, da Gesù fino agli uomini che muoiono a ogni tanto per la Patria, i Martiri di una Fede protestano contro quella servile dottrina, gridandovi: "noi amavamo la vita; amavamo esseri che ce la facevano cara e che ci supplicavano di cedere: tutti gl' impulsi del nostro cuore dicevano vivi ! a ciascuno di noi; ma per la salute delle generazioni avvenire, scegliemmo di morire. Da Caino alla spia volgare dei nostri giorni, i traditori dei loro fratelli, gli uomini che si sono messi sulla via del male, sentono nel fondo dell'anima una condanna, una irrequietezza, un rimprovero che dice a ciascun di essi: perché ti allontanasti dalle vie del bene? Voi siete liberi e quindi responsabili. Da questa libertà morale, scende il vostro diritto alla libertà politica, il vostro dovere di conquistarvela e mantenerla inviolata, il dovere in altrui di non menomarla.
Voi siete educabili. Esiste in ciascun di voi una somma di facoltà, di capacità intellettuali, di tendenze morali, alle quali l'educazione sola può dare moto e vita, e che, senza quella, giacerebbero sterili, inerti, non rivelandosi che a lampi, senza regolare sviluppo.
L'educazione è il pane dell'anima. Come la vita fisica, organica, non può crescere e svolgersi senza alimenti, così la vita morale, intellettuale, ha bisogno, per ampliarsi, e manifestarsi, delle influenze esterne e d'assimilarsi parte almeno delle idee, degli affetti, delle altrui tendenze. La vita dell' individuo, s'innalza, come la pianta, varietà dotata d'esistenza propria e di caratteri speciali, sul terreno comune, si nutre degli elementi della vita comune. L'individuo è un rampollo dell'UMANITA' e alimenta e rinnova le proprie forze nelle sue. Quest'opera alimentatrice, rinnovatrice, si compie con l'Educazione che trasmette, direttamente o indirettamente all' individuo i risultati dei progressi di tutto quanto il genere umano. È dunque non solamente come necessità della vostra vita, ma come una santa comunione con tutti i vostri fratelli, con tutte le generazioni che vissero, cioè pensarono ed operarono, prima della vostra, che voi dovete conquistarvi, nei limiti del possibile, educazione : educazione morale ed intellettuale, che abbracci e fecondi tutte le facoltà che Dio vi dava come deposito da far fruttare, e che istituisca e mantenga un legame tra la vostra vita individuale e quella dell' Umanità collettiva.
E perché quest'opera educatrice si compisse più rapidamente, perché la vostra vita individuale si inanellasse più certamente e più intimamente con la vita collettiva di tutti, con la vita dell' Umanità, Dio vi ha fatto esseri essenzialmente sociali. Ogni essere al di sotto di voi può vivere da per sé, senz'altra comunione che con la natura, con gli elementi del mondo fisico: voi non potete. Avete a ogni passo necessità dei vostri fratelli; e non potete soddisfare ai più semplici bisogni della vita senza giovarvi dell'opera loro. Superiori ad ogni altro essere grazie all'associazione con i vostri simili, siete, se isolati, inferiori di forza a molti animali, e deboli e incapaci di sviluppo e di piena vita.
Tutte le più nobili aspirazioni del vostro cuore come l'amor della Patria, e anche le meno virtuose come il desiderio di gloria e dell'altrui lode, accennano alla tendenza congenita in voi, ad accomunare la vostra vita con la vita dei milioni che vivono intorno a voi. Voi siete dunque chiamati all'associazione. Essa centuplica le vostre forze : fa vostre le idee altrui, vostro l'altrui progresso; e innalza, migliora e santifica la vostra natura cogli affetti e col sentimento crescente dell'unità dell'umana famiglia. Quanto più sarà vasta la vostra associazione con i vostri fratelli, quanto più intima e complessiva, tanto più innanzi sarete sulla via del vostro miglioramento.
La Legge della vita non può compiersi tutta se non dal lavoro riunito di tutti. E ad ogni grande progresso, ad ogni scoperta d'un frammento di quella Legge, corrisponde nella Storia un allargamento dell'associazione umana, un contatto più vasto fra popoli e popoli. Quando i primi Cristiani vennero a proclamare l'unità della natura umana di fronte alla filosofia pagana che ammetteva due nature, di padroni e di schiavi, il popolo Romano aveva portato le sue aquile a passeggiare fra tutti i popoli noti d' Europa. Prima che il Papato, - dannoso oggi, utile nei primi secoli dell' istituzione - venisse a dire : il potere spirituale è superiore al temporale, gli invasori chiamati Barbari avevano messo in contatto violento il mondo Germanico col mondo Latino. Prima che l' idea di Libertà applicata ai popoli promovesse il concetto di nazionalità che agita oggi l' Europa e trionferà, le guerre della Rivoluzione e dell' Impero avevano suscitato e chiamato in azione un elemento fino allora appartato, l'elemento Slavo.
Voi siete, finalmente, esseri progressivi. Questa parola PROGRESSO, ignota all' antichità, sarà d'ora innanzi una parola sacra per l'Umanità. Essa racchiude tutta una trasformazione sociale, politica, religiosa.
L'antichità, gli uomini delle vecchie religioni Orientali e del Paganesimo, credevano nel Fato, nel Caso, in una Potenza arcana, inintelligibile, padrona arbitraria delle cose umane, creatrice e distruggitrice alternativamente senza che l'uomo potesse intenderne, promuoverne, o accelerarne i bisogni. Credevano l'uomo impotente a fondare cosa alcuna durevole, permanente, sulla nostra terra. Credevano che i popoli, condannati ad aggirarsi nel cerchio descritto dagli individui quaggiù, sorgessero, salissero a potenza poi volgessero a vecchiaia, e fatalmente, irrevocabilmente, perissero.
Con un orizzonte d' idee e di fatti assai ristretto davanti e senza conoscenza di Storia fuorché della loro nazione e spesso della loro città, guardavano al genere umano unicamente come ad un aggregato di uomini, senza vita e legge propria, e non derivavano i loro pensieri fuorché dalla contemplazione dell' individuo.
La conseguenza di siffatte dottrine era una tendenza ad accettare i fatti predominanti senza curare o sperare di mutarli. Dove le circostanze avevano impiantato una forma repubblicana, gli uomini di quei tempi erano repubblicani; dove signoreggiava il dispotismo, erano schiavi noncuranti di progresso e sottomessi. Ma poi che dappertutto, sotto la forma repubblicana come sotto la tirannide, trovavano divisa la famiglia umana o in quattro caste, come in oriente, o in due, di cittadini liberi e di schiavi, come nella Grecia, accettavano la divisione delle caste o la credenza in due nature diverse d'uomini; e l'accettarono i più potenti intelletti del mondo Greco, Platone e Aristotile. L'emancipazione della vostra classe era, tra siffatti uomini, una impossibilità.
Gli uomini che fondarono, sulla parola di Gesù, una Religione superiore a tutte le credenze del vecchio Oriente e del Paganesimo, intravidero, non conquistarono, la santa idea contenuta in questa parola: Progresso. Intesero l'unità della razza umana, intesero l'unità della legge, intesero il dovere di perfezionamento nell'uomo : non intesero la potenza data da Dio all'uomo per compierlo, né insegnarono la via per la quale si compie. Si limitarono essi pure a desumere le norme della vita dalla contemplazione dell'individuo; l' Umanità, come corpo collettivo, rimase loro ignota. Conobbero la "Provvidenza" e la sostituirono alla cieca "Fatalità" degli antichi; ma la conobbero come protettrice dell'individuo, non come Legge dell' Umanità, Collocati fra l'immensità dello scopo di perfezionamento che intravedevano e la breve povera vita dell'individuo sentirono il bisogno di un termine intermediario tra l'uno e l'altro, fra l'uomo e Dio e non possedendo l'idea dell' Umanità collettiva ricorsero a una incarnazione divina; dichiararono che la fede in essa era sorgente unica di salute, di forza, di grazia, all'uomo.
Non sospettando la rivelazione continua che scende da Dio sull'uomo attraverso l' Umanità, credettero in una rivelazione immediata, unica, scesa ad un tempo stesso determinato, e per favore speciale di Dio. Videro il legame che annoda gli uomini in Dio, non videro quello che li annoda qui sulla terra nell' Umanità. Poco importava la serie delle generazioni a chi non sentiva come l'una agisse sull'altra; s'avvezzarono dunque a non contemplarle; si adoprarono a staccare l'uomo dalla terra, dalle cose concernenti l'Umanità intera, e finirono per mettere in opposizione la terra, che abbandonarono ad ogni Potere di fatto e che chiamarono soggiorno d'espiazione, e il cielo a cui l'uomo poteva, per virtù di grazia e di fede, salire, dal quale esiliarono per sempre chi ne mancasse.
La rivelazione essendo per essi immediata ed unica in un dato periodo, ne dedussero che nulla poteva aggiungersi e che i depositari di quella rivelazione erano infallibili.
Dimenticavano che il fondatore della loro religione era venuto, non ad annientare la legge, ma a continuarla, aggiungendovi. Dimenticavano, che in un solenne momento e con un sublime istinto dell'avvenire, Gesù aveva detto "Io vi dico le cose che voi potete in oggi intendere, praticare; ma verrà dopo me lo spirito di verità, vi parlerà non per autorità propria, ma raccogliendo l' ispirazione da tutti,l'ispirazione collettiva" (Evangelico di Giovanni, Capo XVI) . E' in quelle parole la profezia dell' idea del Progresso e della rivelazione continua del Vero per mezzo dell' Umanità: vi è la giustificazione della formula che Roma ridesta propose all' Italia con le parole Dio e il Popolo, scritte in fronte ai suoi decreti repubblicani. Ma gli uomini delle credenze del medio-evo non potevano intenderla. Non erano maturi i tempi. XXXXXXX Tutto l'edilizio delle credenze che successero al Paganesimo posa, a ogni modo, sulle basi ora accennate. E' chiaro che neppure su queste poteva fondarsi la vostra emancipazione qui sulla terra.
Mille trecento anni dopo le parole di Gesù ora citate, un uomo, Italiano, il più grande fra gl'Italiani, ch'io conosca, scriveva le verità seguenti:
"Dio è Uno; l'Universo è un pensiero di Dio; l'Universo é dunque Uno esso pure. Tutte le cose vengono da Dio. Tutte partecipano, più o meno, della natura divina, a secondo del fine pel quale sono create. L'uomo è nobilissimo fra tutte le cose : Dio ha versato in lui più della sua natura che non sulle altre. Ogni cosa che viene da Dio tende al perfezionamento del quale é capace. La capacità di perfezionamento nell'uomo é indefinita. L' Umanità é Una. Dio non ha fatto cosa inutile; e poiché esiste una Umanità, deve esistere uno scopo unico pur tutti gli uomini, un lavoro da compiersi pur opera d'essi tutti. Il genere umano dovrebbe dunque lavorare unito sì che tutte le forze intellettuali diffuse in esso ottengano il più alto sviluppo possibile nulla sfera del pensiero e dell'azione. Esiste dunque una Religione universale della natura umana" .
Quell'uomo aggiungeva che questa Religione universale, questa Unità del mondo doveva avere chi la rappresentasse: e accennava a Roma, la Città Santa, le di cui pietre, Egli diceva, erano meritevoli di riverenza..
L'uomo che scriveva quelle idee aveva nome DANTE. Ogni città d'Italia, quando l' Italia sarà libera ed una, dovrebbe innalzargli una statua, perché quelle idee contengono in germe la Religione dell'Avvenire. Egli le scriveva in libri latini e italiani che s'intitolavano: "Della Monarchia" e "Convito", difficili a intendersi ed oggi incompresi anche dagli uomini che si dicono letterati. Ma le idee, cacciate una volta che siano nel mondo dell'intelletto, non muoiono più. Altri le raccoglie anche dimenticandone la sorgente.
Gli uomini ammirano la quercia: e nessuno pensa al germe dal quale essa è uscita!
Il germe che Dante cacciava fruttò. Raccolto e fecondato di tempo in tempo da qualche potente intelletto, si svolse in pianta sul finire del secolo passato. L' idea del Progresso siccome Legge della Vita accettata, sviluppata, verificata sulla storia, confermata sulla scienza, diventò bandiera dell'avvenire. Oggi, non c' é ingegno severo che non la ponga a cardine dei suoi lavori.
Oggi sappiamo che la Legge della Vita é PROGRESSO : Progresso pur l'individuo, Progresso per l'Umanità.
L' Umanità compie quella Legge sulla terra; l'Individuo sulla terra e altrove. Un solo Dio; una sola Legge. Quella Legge s'adempie lentamente, inevitabilmente, nell'Umanità fin dal primo suo nascere. La verità non s'è mai manifestata tutta o tutta ad un tratto. Una rivelazione continua, manifesta, d'epoca in epoca, un frammento della Verità, una parola della Legge. Ognuna di quelle parole modifica profondamente, sulla via del Meglio, la vita umana e costituisce una credenza, una Fede. Lo sviluppo dell' Idea religiosa é dunque indefinitamente progressivo; sono quasi colonne d'un Tempio, le credenze successive, svolgendo e purificando più sempre quell' Idea, costituiranno un giorno il Panteon dell' Umanità, la grande unica Religione della nostra Terra. Gli uomini benedetti da Dio di Genio e di singolare Virtù ne sono gli Apostoli: il Popolo, il senso collettivo dell'Umanità, ne é l' interprete; accetta quella rivelazione di Verità, la trasmette da una generazione all'altra, e la rende pratica, applicandola ai diversi rami, alle diverse manifestazioni della vita umana.
L' Umanità è simile ad un uomo che vive indefinitamente e che impara sempre. Non vi è dunque, né può esservi infallibilità di uomini e di Poteri; non vi è né può esservi casta privilegiata di depositari ed interpreti della Legge : non vi è né può esservi necessità d'intermediario tra Dio e l'uomo, dall'Umanità infuori. Dio, prefiggendo un disegno provvidenziale d' Educazione progressiva all'Umanità, ponendo l'istinto del progresso nel cuore di ogni uomo, ha messo pure nell'umana natura le facoltà e le forze necessarie a compierlo.
L'uomo individuo, creatura libera e responsabile, può usarne o abusarne a seconda ch'egli si mantiene sulla via del Dovere o cede alle cieche seduzioni dell' Egoismo; egli può indugiare o accelerare il proprio progresso; ma il disegno Provvidenziale non può cancellarsi da forza umana. L' Educazione dell' Umanità deve compiersi; noi vediamo quindi uscire dalle invasioni barbariche che sembravano spegnere la civiltà un nuovo incivilimento superiore all'antico e diffuso su più ampia zona di terra: vediamo dalla tirannide esercitata dagli individui uscire, subito dopo, un più rapido sviluppo di libertà.
La Legge, il Progresso, devono compiersi, come altrove, qui sulla terra. Non vi è opposizione fra terra e cielo; ed è bestemmia il supporre che l'opera di Dio, la casa che Egli ci ha dato, possa, senza peccato, sprezzarsi, abbandonarsi ai Poteri quali essi siano, alle influenze del Male, dell'Egoismo o della Tirannide.
La Terra non è soggiorno d'espiazione; è soggiorno di lavoro a pro dell' ideale, del Vero e del Giusto che ciascuno di noi ha in germe nell'anima; gradino verso un Miglioramento che noi non possiamo raggiungere se non glorificando, con le opere, Iddio nell' Umanità, e consacrandoci a tradurre in fatto quanta più parte possiamo del suo disegno. Il giudizio che s'adempirà su ciascun di noi, e che ci farà inoltrare sulla scala del Perfezionamento o ci condannerà a trascinarci nuovamente nello stadio tristemente o sterilmente percorso, si fonderà sul bene che avremo fatto ai nostri fratelli, sul grado di progresso che avremo aiutato altri a salire.
L'associazione più sempre intima, più e più sempre vasta, con i nostri simili è il mezzo per cui si moltiplicano le nostre forze, il campo sul quale si compiono i nostri Doveri, la via per ridurre in atto il Progresso. Noi dobbiamo tendere a far dell' intera Umanità una Famiglia, ogni membro della quale rappresenti in sé, a beneficio degli altri, la Legge morale. E come il perfezionamento dell' Umanità si compie d'epoca in epoca, di generazione in generazione, il perfezionamento dell' individuo si compie d'esistenza in esistenza, più o meno rapidamente a seconda dell'opere nostre.
Sono queste alcune delle verità contenute in quella parola Progresso, dalla quale uscirà la Religione dell'Avvenire. In essa sola può compirsi la vostra emancipazione.
* LA LIBERTA'
*L' EDUCAZIONE
Voi vivete. La vita che è in voi non è opera del Caso; la parola Caso non ha senso alcuno, e non fu trovata che ad esprimere l' ignoranza degli uomini su certe cose. La vita che è in voi viene da Dio e rivela nel suo sviluppo progressivo un disegno intelligente. La vostra vita ha dunque necessariamente un fine, uno scopo.XXXXXXXXXX Il fine ultimo, per il quale fummo creati, ci è tuttora ignoto, e non può essere altrimenti; né per questo dobbiamo negarlo. Sa il bambino lo scopo a cui dovrà tendere nella Famiglia, nella Patria, nell'Umanità ? No; ma lo scopo esiste, e noi cominciamo a saperlo per lui. L' Umanità è il bambino di Dio: sa Egli il fine verso il quale essa deve svilupparsi.
L'Umanità comincia oggi appena a intendere che la legge è Progresso: comincia appena a intendere in modo incerto qualche cosa dell'Universo che ha intorno; e la maggior parte degli individui che la compongono è tuttavia inutile, per barbarie, servitù o mancanza assoluta d'educazione, allo studio di quella Legge, all'esame dell' Universo che bisogna intendere prima di intendere noi stessi.
Una minoranza degli uomini che popolano la piccola nostra Europa è sola capace di sviluppare verso lo scopo della conoscenza le sue facoltà intellettuali. In voi stessi, privi i più di istruzione, e soggiogati tutti dalla fatalità di un lavoro fisico male ordinato, dormono mute senza poter portare alla piramide della scienza il loro tributo. Come potremmo dunque pretendere di conoscere oggi ciò che richiede l'opera associata di tutti? Come ribellarci contro il nostro non avere raggiunto ancora ciò che sostituirebbe l'ultimo grado del nostro Progresso terrestre, quando cominciarono appena a balbettare, pochi e non associati, quella sacra e feconda parola ?
Rassegnamoci dunque all' ignoranza sulle cose che ci sono per lungo tempo ancora inaccessibili, e non abbandoniamo fanciullescamente irritati, lo studio di quelle che possiamo scoprire. La scoperta del Vero esige modestia e temperanza di desiderio quanto esige costanza. L' impazienza, l'orgoglio umano, hanno perduto o sviato dal retto sentiero molte più anime che non la deliberata tristizia. È questa verità che l'Antichità ha voluto insegnarci, quando ci narrava che il Despota voglioso di raggiungere il cielo non seppe innalzare se non una Torre di confusione, e che i Giganti assalitori dell'Olimpo giacciono, fulminati, sotto i nostri monti vulcanici.
Ciò di cui importa convincerci è questo, che, qualunque sia il fine verso cui tendiamo, noi non potremo scoprirlo e raggiungerlo, se non con lo sviluppo progressivo e con l'esercizio delle nostre facoltà intellettuali. Le nostre facoltà sono gli strumenti di lavoro che Dio ci da. È dunque necessario che il loro sviluppo sia promosso e aiutato; il loro esercizio protetto e libero. Senza libertà, voi non potete compiere alcuno dei vostri doveri. Voi avete dunque diritto alla Libertà e Dovere di conquistarla in ogni modo contro qualunque Potere la neghi.
Senza libertà non esiste Morale, perché non esistendo libera scelta fra il bene ed il male, fra la devozione al progresso comune e lo spirito d'egoismo, non esiste responsabilità. Senza libertà non esiste società vera, perché tra liberi e schiavi non può esistere associazione, ma solamente dominio degli uni sugli altri. La libertà è sacra come l'individuo, del quale essa rappresenta la vita. Dove non è libertà, la vita è ridotta ad una pura funzione organica. Lasciando che la sua libertà sia violata, l'uomo tradisce la propria natura e si ribella contro i decreti di Dio.
Non v'è libertà dove una casta, una famiglia, un uomo si assuma il dominio sugli altri in virtù di un preteso diritto divino, in virtù di un privilegio derivato dalla nascita, o in virtù di ricchezza. La libertà dev'essere per tutti e davanti a tutti. Dio non delega la sovranità ad alcun individuo; quella parte di sovranità che può essere rappresentata sulla nostra terra è da Dio affidata all'Umanità, alle Nazioni, alla Società. Ed anche quella cessa e abbandona quelle frazioni collettive dell' Umanità, quand'esse non la dirigano al bene, all'adempimento del disegno provvidenziale.
Non esiste dunque Sovranità di diritto in alcuno; esiste una Sovranità dello scopo e degli atti che vi s'accostano. Gli atti e lo scopo verso cui camminano devono essere sottomessi al giudizio di tutti. Non v'è dunque né può esservi sovranità permanente. Quella istituzione che si chiama Governo non è se non una Direzione; una missione affidata ad alcuni per raggiungere più sollecitamente lo scopo della Nazione; e se quella missione è tradita, il potere di direzione affidato a quei pochi deve cessare. Ogni uomo chiamato al Governo è un amministratore del pensiero comune; deve essere eletto, e sottomesso a revoca ogni qualvolta lo fraintenda o deliberatamente lo combatta. Non può esistere dunque, ripeto, casta o famiglia che ottenga il Potere per diritto proprio, senza violazione della vostra libertà.
Come potreste chiamarvi liberi davanti ad uomini ai quali spettasse facoltà di comando senza vostro consenso ? la Repubblica è l'unica forma legittima e logica di Governo.
Voi non avete padrone fuorché Dio nel cielo e il Popolo sulla terra. Quando avete scoperto una linea della Legge, dei voleri di Dio, dovete, benedicendo, eseguirla. Quando il Popolo, l'unione collettiva dei vostri fratelli, dichiara che tale è la sua credenza, dovete piegar la testa e astenervi da ogni atto di ribellione.
Ma vi sono cose che costituiscono il vostro individuo e sono essenziali alla vita umana. E su queste, neppure il popolo ha signoria. Nessuna maggioranza, nessuna forza collettiva può rapirvi ciò che vi fa essere uomini. Nessuna maggioranza, può decretare la tirannide e spegnere o alienare la propria libertà. Contro il popolo suicida che ciò facesse, voi non potete usare la forza, ma vive e vivrà eterno in ciascun di voi il diritto di protesta nei modi che le circostanze vi suggeriranno.
Voi dovete avere libertà in tutto ciò ch' è indispensabile ad alimentare, moralmente e materialmente la vita. Libertà personale: libertà di movimento; libertà di credenza religiosa; libertà d'opinioni su tutte le cose; libertà di esprimere con la stampa o in ogni altro modo pacifico il vostro pensiero; libertà di associazione per poterlo fecondare con il contatto del pensiero altrui; libertà di lavoro; libertà di traffico per i suoi prodotti - sono tutte cose che nessuno può togliervi, salvo alcune rare eccezioni che qui non importa dire, senza grave ingiustizia, senza che sorga in voi il dovere di protestare.
Nessuno ha diritto, in nome della Società, d' imprigionarvi o di sottomettervi a restrizioni personali o di sorveglianza, senza dirvi il perché, senza dirvelo con il minore indugio possibile, senza condurvi sollecitamente davanti al potere giudiziario del paese. Nessuno ha diritto d'inceppare con restrizioni di passaporti od altre il vostro trasferirvi di parte in parte della terra che è vostra Patria. Nessuno ha diritto di persecuzione, d'intolleranza, di legislazione esclusiva sulle vostre opinioni religiose: nessuno, fuorché la grande pacifica voce dell'Umanità, ha diritto di frapporsi tra Dio e la vostra coscienza.
Dio vi ha dato il Pensiero: nessuno ha diritto di vincolarlo e sopprimerne l'espressione, ch'è la comunione dell'anima vostra con l'anima dei vostri fratelli e l'unica via di progresso che abbiamo. La stampa deve essere illimitatamente libera: i diritti dell' intelletto sono inviolabili, ed ogni censura preventiva è tirannide; la Società può, come tutte le altre colpe, punire soltanto le colpe di stampa, la predicazione del delitto, l'insegnamento dichiaratamente immorale; la punizione in virtù di un giudizio solenne è conseguenza della responsabilità umana, mentre ogni intervento anteriore è negazione della libertà.
L'associazione pacifica è santa come il pensiero : Dio ne poneva in voi la tendenza come avviamento perenne al progresso e pegno dell' Unità che la famiglia umana deve un giorno raggiungere: nessun potere ha diritto d'impedirla o di limitarla. Ciascun di voi ha dovere di usare della vita che Dio gli diede, di serbarla, di svilupparla; a ciascun di voi corre quindi debito di lavoro, solo mezzo di sostenerla materialmente; il lavoro è sacro: nessuno ha diritto di vietarlo, d'incepparlo o di renderlo con regolamenti arbitrari impossibile; nessuno ha diritto di restringere il libero traffico dei suoi prodotti: la terra che vi è Patria è il vostro mercato, e nessuno può limitarlo.
Ma quando avrete ottenuto che queste libertà siano sacre - quando avrete finalmente costituito lo Stato sul voto di tutti e in modo che l'individuo abbia schiuse davanti a lui tutte le vie che possono condurre allo sviluppo delle sue facoltà - allora, ricordatevi che al di sopra di ciascun di voi sta lo scopo che è vostro dovere raggiungere: perfezionamento morale vostro e d'altrui, comunione più sempre intima e vasta fra tutti i membri della famiglia umana, sì che un giorno essa non riconosca che una sola Legge.
" Voi dovete formare la famiglia universale, edificare la Città di Dio, tradurre in fatto progressivamente, con un continuo lavoro, l'opera sua nell' Umanità .
" Quando, amandovi gli uni cogli altri come fratelli, voi vi tratterete reciprocamente sì come tali, e ciascuno, cercando il proprio bene nel bene di tutti, unirà la propria vita alla vita di tutti, i propri interessi agl' interessi di tutti, pronto sempre a sacrificarsi per tutti i membri della comune fa miglia egualmente pronti a sacrificarsi per lui, i più fra i mali che pesano oggi sulla razza umana spariranno come i vapori addensati all'orizzonte spariscono al levarsi del sole; e ciò che Dio vuole si compierà: però che è suo volere che l'amore unendo a poco a poco più sempre strettamente gli elementi dispersi dell'umanità, e ordinandoli in un solo corpo, essa sia una, com'Egli è uno".
Le parole ora citate di un uomo che visse e morì santamente e amò il popolo e il suo avvenire d' immenso amore, non vi escano, o miei fratelli, mai dalla mente. La libertà non è che un mezzo; guai a voi e al vostro avvenire se vi abituate mai a guardarla, come fine ! Il vostro individuo ha doveri e diritti propri che non possono essere abbandonati ad alcuno; ma guai a voi ed al vostro avvenire se il rispetto che dovete avere per ciò che costituisce la vostra vita individuale potesse mai degenerare in un fatale egoismo.
La vostra libertà non è la negazione d'ogni autorità, è la negazione d'ogni autorità che non rappresenti lo scopo collettivo della Nazione, e che presuma impiantarsi e mantenersi sovr'altra base che su quella del libero spontaneo vostro consenso. Dottrine di sofisti hanno in questi ultimi tempi pervertito il santo concetto della Libertà: gli uni l'hanno ridotto a un gretto immorale individualismo, hanno detto che l'"io è tutto" e che il lavoro umano, e l'ordinamento sociale non devono tendere che al soddisfacimento dei suoi desideri: gli altri hanno dichiarato che ogni governo, ogni autorità è un male inevitabile, ma da restringersi, da vincolarsi quanto più si può; che la libertà non ha limiti; che lo scopo d'ogni Società è unicamente quello di promuoverla indefinitamente; che un uomo ha diritto di usare e abusare della libertà, purché questa non ridondi direttamente nel male altrui; che un governo non ha missione fuorché quella d' impedire che un individuo non nuoccia all'altro.
Respingete, o miei fratelli, queste false dottrine: sono esse che indugiano anche oggi l'Italia sulle vie della sua grandezza avvenire. Le prime hanno generato l'egoismo di classe; le seconde fanno d'una società che deve, se ben ordinata, rappresentare il vostro scopo e la vostra vita collettiva, non altro che uno s birro o soldato di polizia incaricato di mantenere una pace apparente tutte trascinano la libertà ad essere un'anarchia; cancellano l'idea di miglioramento morale collettivo; cancellano la missione educatrice, la missione di Progresso che la società deve assumersi.
Se voi poteste intendere a questo modo la Libertà, voi meritereste di perderla e, presto o tardi, la perdereste.
La vostra Libertà sarà santa, perché si svilupperà sotto il predominio dell' Idea del Dovere, della Fede nel perfezionamento comune. La vostra Libertà fiorirà protetta da Dio e dagli uomini, perché essa non sarà il diritto di usare e di abusare delle vostre facoltà nella direzione che a voi piaccia di scegliere, ma perché essa sarà il diritto di scegliere liberamente, a seconda delle vostre tendenze, i mezzi per fare il bene.
L' EDUCAZIONE
Dio vi ha fatti educabili. Voi dunque avete dovere di educarvi per quanto è in voi, e diritto a che la società alla quale appartenete non vi impedisca nella vostra opera educatrice, vi aiuti in essa e vi supplisca quando i mezzi di educazione vi manchino.
La vostra libertà, i vostri diritti, la vostra emancipazione da condizioni sociali ingiuste, la missione che ciascun di voi deve compiere qui sulla terra, dipendono dal grado di educazione che vi è dato raggiungere. Senza educazione voi non potete scegliere giustamente fra il bene e il male; non potete acquistar coscienza dei vostri diritti; non potete ottenere quella partecipazione nella vita politica senza la quale non riuscirete ad emanciparvi; non potete definire a voi stessi la vostra missione.
L'educazione è il pane delle anime vostre. Senza essa, le vostre facoltà dormono assiderate, infeconde, come la potenza di vita che cova nel germe dorme isterilita, se esso è cacciato in terreno non dissodato, senza benefizio d'irrigazione e cure dell'assiduo coltivatore.
Oggi voi o non avete educazione o l'avete da uomini e da poteri che nulla rappresentano fuorché se stessi e, non servendo a un principio regolatore, sono condannati essenzialmente a mutilarla o falsarla. I meno tristi fra i vostri educatori credono aver soddisfatto al debito loro, quando hanno inegualmente aperto sul territorio che reggono un certo numero di scuole dove i vostri figli possono ricevere un grado qualunque d'insegnamento elementare. Questo insegnamento consiste principalmente nel leggere, scrivere e computare.
Insegnamento simile si chiama "istruzione"; e differisce dall'"educazione" quanto i nostri organi differiscono dalla nostra vita. I nostri organi non sono la vita; non ne sono che semplici strumenti e mezzi di manifestarla; non la signoreggiano, non la dirigono: possono mantenere infatti la vita la più santa o la più corrotta. Così l' istruzione somministra mezzi per praticare ciò che l'educazione insegna; ma non può sostituirsi all'educazione.
L' "educazione" s'indirizza alle facoltà morali; l'"istruzione" alle intellettuali. La prima sviluppa nell'uomo la conoscenza dei suoi doveri; la seconda rende l'uomo capace di praticarli. Senza istruzione, l'educazione sarebbe troppo sovente inefficace; senza educazione, l'istruzione sarebbe come una leva mancante d'un punto di appoggio. Voi sapete leggere, ma a che serve se non sapete in quali libri si trovi l'errore, in quali la verità ? Voi sapete, scrivendo, comunicare i vostri pensieri a vostri fratelli che importa, quando i vostri pensieri non accennassero che ad egoismo ? L' istruzione, come la ricchezza può essere sorgente di bene e di male a seconda delle intenzioni colle quali siadopra; consacrata al progresso di tutti, è mezzo d'incivilimento e di libertà; rivolta all'utile proprio, diventa mezzo di tirannide e di corruttela.
Oggi in Europa, l'istruzione disunita da un grado corrispondente di educazione morale è piaga gravissima che mantiene l'ineguaglianza fra classe e classe d'uno stesso popolo e inchina gli animi al calcolo, all'egoismo, alle transazioni fra il giusto e l'ingiusto, alle false dottrine.
La distinzione fra gli uomini i quali vi offrono più o meno istruzione e quei che vi predicano educazione, è più grave che voi non pensate, e merita che io spenda alcune parole.
Due dottrine, due scuole, dividono il campo di quelli che combattono per la libertà contro il dispotismo. La prima dichiara che la sovranità risiede nell' individuo; la seconda sostiene ch'essa vive unicamente nella società, e prende a norma il consenso manifestato dalla maggioranza. La prima crede aver compiuto la propria missione quando ha proclamato i diritti creduti inerenti alla natura umana e tutelato la libertà; la seconda guarda quasi esclusivamente all'associazione, e desume dal patto che la costituisce i doveri d'ogni individuo. La prima non vede più in là di ciò che io chiamai istruzione, perché l'istruzione tende infatti a dare facilità di sviluppo, senza norma generale, alle facoltà individuali; la seconda intende la necessità di una educazione che è per essa la manifestazione del programma sociale.
La prima guida inevitabilmente all'anarchia morale: la seconda, se dimentica i diritti della libertà, corre rischio di cadere nel dispotismo della maggioranza.
Alla prima apparteneva tutta quella generazione di uomini chiamati in Francia dottrinari, che tradì le speranze del popolo dopo la rivoluzione del 1830 e, gridando libertà d' istruzione e non altro, perpetuò il monopolio governativo nella classe borghese che ha più mezzi per dare sviluppo alle proprie facoltà individuali; la seconda non è sventuratamente rappresentata in oggi che da Sette e Poteri appartenenti a vecchie credenze, ostili al dogma dell'avvenire, il Progresso.
Tutte e due quelle scuole peccano di tendenze anguste, esclusive.
Il vero è questo: La Sovranità è in Dio, nella Legge morale, nel disegno provvidenziale che governa il mondo e ch'è via via rivelato dalle ispirazioni del Genio virtuoso e dalle tendenze dell'Umanità nelle epoche diverse della sua vita: e nello scopo che bisogna raggiungere, nella missione che bisogna compiere. Non è sovranità nell' individuo, non è nella società se non in quanto l'uno e l'altra si uniformino a quel disegno, a quella Legge, e si dirigano a quello scopo. Un individuo o è il migliore interprete della Legge morale e governa in suo nome, o è un usurpatore da rovesciarsi.
Il semplice voto di una maggioranza non costituisce sovranità se avversi evidentemente alle norme morali supreme, o chiuda deliberatamente la via al Progresso futuro. Bene sociale, Libertà, Progresso: al di fuori di questi tre termini non può esistere Sovranità.
L'Educazione insegna qual sia il Bene sociale.
L' Istruzione assicura all' individuo la libera scelta dei mezzi per ottenere un progresso successivo nel concetto del Bene.
A voi importa prima d'ogni altra cosa che i vostri figli imparino quale insieme di principi e credenze diriga la vita dei loro fratelli nel tempo in cui sono chiamati a vivere e nella terra ch'è stata loro assegnata : - quale sia il programma morale, sociale e politico della loro Nazione: - quale lo spirito della legislazione dalla quale le opere debbono venire giudicate: - quale il grado del progresso raggiunto dall' Umanità: - quale quello da raggiungersi. E vi importa ch'essi sentano fin dai primi anni giovanili d'essere stretti in uno spirito di eguaglianza e d'amore verso un intento comune, con i milioni di fratelli dati loro da Dio.
L' Educazione, che deve dare ai vostri figli insegnamento siffatto, non può venire che dalla Nazione.
Oggi, l'insegnamento morale è anarchia. Lasciato esclusivamente ai padri, è nullo dove la miseria e la necessità d'un lavoro materiale quasi continuo tolgono ad essi tempo per educare e mezzi per sostituire educatori a se stessi; tristo, se l'egoismo e la corruttela hanno pervertito e contaminato la famiglia. I fanciulli sono dati a tendenze superstiziose o materialiste, di libertà o di rassegnazione codarda, di aristocrazia o non azione contro essa, a seconda dell' istitutore, prete o laico, che le tendenze paterne scelgono dove esistono mezzi. Come possono, cresciuti a gioventù, affratellarsi in concordia di opere e rappresentare in sé l'unità del paese ?
La società li chiama a promuovere lo sviluppo d'una idea comune alla quale non furono iniziati mai. La società li punisce per violazioni di leggi talora ignote, e delle quali lo spirito e lo scopo non sono insegnati mai dalla società al cittadino. La società desidera da essi cooperazione e sacrificio per un fine che nessuna scuola svolge ad essi sull'aprirsi della loro vita civile.
Strano a dirsi, gli uomini della dottrina, alla quale ho accennato poc'anzi, riconoscono in ciascun individuo il dritto d'ammaestrare i giovani; non lo riconoscono nell'associazione di tutti, nella Nazione. Il loro grido: libertà d'insegnamento disereda la Patria d'ogni direzione morale. Dichiarano importantissima l'unità del sistema monetario e dei pesi; l'unità dei principii, sui quali la vita nazionale deve avere fondazione e sviluppo, è nulla per essi.
Voi non dovete lasciarvi adescare da quel grido che tutti quasi i fautori moderni di Costituzioni ripetono l'uno dopo l'altro.
Senza Educazione Nazionale non esiste moralmente Nazione.
La coscienza nazionale non può uscir che da quella.
Senza Educazione Nazionale comune a tutti i cittadini, eguaglianza di doveri e di diritti è una formula vuota di senso: la conoscenza dei doveri, la possibilità dell'esercizio dei diritti, sono lasciate al caso della fortuna o all'arbitrio di chi sceglie l'educatore.
Gli uomini che si dichiarano avversi all'unità dell'educazione invocano la libertà. Libertà di chi ? Dei padri o dei figli? La libertà dei figli è violata, nel loro sistema, dal dispotismo paterno: la libertà delle giovani generazioni sacrificata alle vecchie: la libertà di progresso diventa illusione. Le credenze individuali, false forse ed avverse al progresso, sono trasmesse, sole e autorevoli, di padre in figlio, nell'età in cui l'esame è impossibile: più tardi, nelle condizioni dei più tra voi, la fatalità d'un lavoro materiale di tutte l'ore, vieterà all'anima giovane nella quale si saranno stampate quelle credenze, di raffrontarle con altre e modificarle.
In nome di quella libertà menzognera, il sistema anarchico del quale io vi parlo tende a fondare e perpetuare il pessimo fra i dispotismi, la casta morale.
Ciò che quel sistema protegge ha nome arbitrio, non libertà. Libertà vera non esiste senza eguaglianza; e l'eguaglianza non può esistere fra chi non muove da una base, da un principio comune, da una coscienza uniforme del Dovere. La libertà non s'esercita che al di là di quella coscienza. Io vi dissi poche pagine addietro che la libertà vera non consiste nel diritte di scegliere il male, ma nel diritto di scegliere fra le vie che conducono al bene. La libertà che invocano quei falsi filosofi è l'arbitrio dato al padre di scegliere il male pel figlio. Che? Se un padre minacciasse di mutilazione qualunque il corpo del suo fanciullo, la società interverrebbe invocata da tutti; e l'anima, la mente di quell'essere, sarà forse da meno del corpo? La società non potrà proteggerla dalla mutilazione delle facoltà, l'ignoranza; dalla deviazione del senso morale, la superstizione?
Quel grido di libertà d'insegnamento sorse giovevole un tempo e sorge giovevole anche oggi dovunque l'educazione morale è monopolio d'un governo dispotico, d'una casta retrograda, di un sacerdozio avverso, per natura di dogma, al Progresso: fu un'arma contro la tirannide; una parola d'emancipazione imperfetta ma indispensabile. Giovatevene ovunque siete schiavi. Ma io vi parlo d'un tempo in cui la fede religiosa avrà scritto sulle porte del tempio la parola PROGRESSO e tutte le istituzioni ripeteranno sotto varie forme quella parola, e l'Educazione Nazionale dirà sul finire dell' insegnamento all'allievo: a te, destinato a vivere sotto un Patto comune fra noi, noi abbiamo detto le basi fondamentali di quel Patto, i principi nei quali crede in oggi la tua Nazione; ma bada che il primo fra quei principi è Progresso; bada che la tua missione d'uomo e di cittadino è quella di migliorare, ove tu possa, la mente e il core dei tuoi fratelli: va' esamina, raffronta; e se scopri verità superiore a quella che noi crediamo di possedere, promulgala arditamente e avrai la benedizione della tua Patria. Allora, non prima, respingete quel grido di libertà d'insegnamento come ineguale ai vostri bisogni e funesto all' Unità della Patria, chiedete, esigete l' impianto d'un sistema d'educazione nazionale gratuita, obbligatoria per tutti.
La Nazione deve ad ogni cittadino la trasmissione del suo programma. Ogni cittadino deve ricevere nelle sue scuole l' insegnamento morale - un corso di nazionalità comprendente un quadro sommario dei progressi dell' Umanità, la Storia Patria e l'esposizione popolare dei principi che reggono la legislazione del paese - e l'istruzione elementare intorno alla quale non v' è dissenso. Ogni cittadino deve imparare in esso l' eguaglianza e l'amore.
Trasmesso quel programma, la libertà ripiglia i suoi diritti. Non solamente l'insegnamento della famiglia, ma ogni altro è sacro. Ogni uomo ha diritto illimitato di comunicare ad altri le proprie idee: ogni uomo ha diritto d'ascoltarle. La Società deve proteggere, incoraggiare la libera espressione del Pensiero, sotto ogni forma; e aprire ogni via, perché il programma sociale possa svilupparsi e modificarsi per il bene.
ASSOCIAZIONE E PROGRESSO
Dio vi ha fatti "sociali" e "progressivi". Voi dunque avete dovere d'associarvi e di progredire quanto comporta la sfera d'attività nella quale le circostanze vi collocarono, e avete diritto a che la società alla quale appartenete non vi impedisca nella vostra opera d'associazione e di progresso, vi aiuti in essa e vi supplisca, quando i mezzi d'associazione e di progresso vi manchino
La libertà vi dà facoltà di scegliere fra il bene ed il male, cioè fra il dovere e l'egoismo. L'educazione deve insegnarvi la scelta. L'associazione deve darvi le forze colle quali potrete tradurre la scelta in atto. Il progresso è il fine a cui dovete mirare scegliendo, ed è ad un tempo quando è visibilmente compiuto, la prova che non v' ingannaste nella scelta. Dove una sola di queste condizioni è tradita o negletta, non esiste uomo né cittadino, o esistè imperfetto o inceppato nel suo sviluppo.
Voi dunque dovete combattere per tutte, e segnatamente per il diritto d'Associazione, senza il quale la Libertà e l'Educazione riescono inutili. Il diritto d'Associazione è sacro come la Religione che è l'Associazione delle anime. Voi siete tutti figli di Dio: siete dunque fratelli; e chi può senza delitto limitare l'associazione, la comunione tra fratelli?
Questa parola "comunione" che io ho proferita pensatamente vi fu detta dal Cristianesimo, che gli uomini dichiararono, nel passato, religione immutabile e non è se non un gradino sulla scala delle manifestazioni religiose dell' Umanità. Ed è una santa parola. Essa diceva agli uomini ch'erano una sola famiglia di eguali in Dio; e riuniva il signore ed il servo in un solo pensiero di salvezza, di speranze e di amore nel Cielo.
Era un immenso progresso sui tempi anteriori, quando popolo e filosofi credevano l'anime dei cittadini e degli schiavi essere di diversa natura. E bastava al Cristianesimo quella missione. La comunione era il simbolo dell'eguaglianza e della fratellanza dell'animo; e spettava all' Umanità d'ampliare e sviluppare la verità nascosta in quel simbolo.
La Chiesa non poteva e non fece. Timida e incerta a principio, alleata coi Signori e col potere temporale più tardi e imbevuta, anche per utile proprio, di una tendenza all'aristocrazia che non era nello spirito del fondatore, essa smarrì di tanto la via, che diminuì, retrocedendo, il valore della Comunione, limitandola per i laici alla comunione nel solo pane e serbando ai sacerdoti la comunione sotto le due specie.
D'allora in poi, il grido di quanti sentivano il diritto di una comunione illimitata, senza distinzione fra ecclesiastici e laici, per tutta quanta la famiglia umana, fu: comunione sotto le due specie al popolo il calice al popolo!
Nel XV secolo, quel grido fu grido di moltitudini sollevate, preludio alla Riforma religiosa santificato dal martirio. Un santo uomo, Giovanni Huss di Boemia, capo di quel moto, perì tra le fiamme accese dall' Inquisizione. Oggi i più tra voi ignorano la storia di quelle lotte o le credono lotte di fanatici per questioni semplicemente teologiche. Ma quando la Storia fatta popolare dall'educazione Nazionale vi avrà insegnato come ogni progresso nella questione religiosa trascini un progresso corrispondente nella vita civile, intenderete il giusto valore di quelle contese, e onorerete la memoria di quei martiri come di vostri benefattori.
Noi dobbiamo a quei martiri e a quei che li precedettero se oggi sappiamo che non v'è casta privilegiata fra Dio e gli uomini; che i migliori per virtù e per sapienza di cose divine ed umane possono e devono consigliarci e dirigerci sulle vie del bene, ma senza monopolio di potenza o supremazia di classe; e che il diritto di comunione è eguale per tutti. Ciò ch' è santo nel Cielo è santo sulla Terra. E la Comunione degli uomini in Dio porta con sé l'associazione degli uomini nella vita terrestre. L'associazione religiosa dell'anime genera il diritto dell'associazione nella facoltà e nell'opere che fanno realtà del pensiero.
Sia dunque l'Associazione dovere e diritto per voi.
Taluni a limitarne il diritto fra i cittadini, vi diranno che l'associazione è lo Stato, la Nazione: che voi ne siete o dovete esserne tutti i membri: e che quindi ogni associazione parziale tra voi è o avversa allo Stato o superflua.
Ma lo Stato, la Nazione non rappresentano se non l'associazione dei cittadini in quelle cose, in quelle tendenze che sono comuni a tutti gli uomini che ne sono parte. Esistono tendenze e fini che non abbracciano tutti i cittadini, ma solamente un certo numero d'essi. E come le tendenze e il fine comune a tutti generano la Nazione, le tendenze e il fine comuni a parecchi fra i cittadini devono generare l'associazione speciale.
Poi - e questa è base fondamentale al diritto d'associazione - l'associazione è la mallevadoria del Progresso. Lo Stato rappresenta una certa somma, un certo insieme di principi nei quali l'università dei cittadini consente nel periodo in cui lo Stato è fondato. Ponete che un nuovo e vero principio, un nuovo e ragionevole sviluppo delle verità che danno vita allo Stato, s'affaccino a taluni fra i cittadini: come potranno diffonderne, senza associarsi, la conoscenza ?
Ponete che in conseguenza di scoperte scientifiche, di nuove comunicazioni aperte fra popoli e popoli o d'altra cagione, si manifesti, per un certo numero d'uomini appartenenti allo Stato, un nuovo interesse: come potranno quei che lo intendono primi conquistargli luogo fra gli interessi da lungo esistenti se non affratellando i propri mezzi, le proprie forze ?
L' inerzia, il riposo nella condizione di cose esistente e sancita dal comune consenso, sono troppo connaturali agli animi, perché un solo individuo possa, colla sua parola, scuoterli e vincerli. L'associazione di una minoranza di giorno in giorno crescente lo può. L'associazione è il metodo dell'avvenire. Senz'essa, lo Stato rimarrebbe immobile, incatenato al grado raggiunto di civiltà.
L'associazione deve essere progressiva nel fine a cui tende, non contraria alle verità conquistate per sempre dal consenso universale dell' Umanità e della Nazione. Una associazione che s'impiantasse per agevolare il furto dell'altrui proprietà, una associazione che facesse obbligo ai suoi membri della poligamia, una associazione che dichiarasse doversi sciogliere la Nazione o predicasse lo stabilimento del Dispotismo sarebbe illegale. La Nazione ha diritto di dire ai suoi membri: noi non possiamo tollerare che si diffondano in mezzo a noi dottrine violatrici di ciò che costituisce la natura umana, la Morale, la Patria. Uscite e stabilite fra voi, al di là dei nostri confini, l'associazione che le vostre tendenze vi suggeriscono.
L'associazione deve essere pacifica. Essa non può avere altre armi che l'apostolato della parola deve proporsi di persuadere, non di costringere.
L'associazione deve essere pubblica. Le associazioni segrete, armi di guerra legittima dove non è Patria né Libertà, sono illegali e possono essere sciolte dalla Nazione, quando la Libertà è diritto riconosciuto, quando la Patria protegge lo sviluppo e l'inviolabilità del pensiero. Se l'associazione deve schiudere la via al Progresso, essa deve essere sottomessa all'esame e al giudizio di tutti.
E finalmente l'Associazione deve rispettare in altrui i diritti che sgorgano dalle condizioni essenziali dell'umana natura. Una associazione che violasse, come le corporazioni del medio evo, la libertà del lavoro o tendesse direttamente a restringere la libertà di coscienza, potrebbe essere respinta, governativamente, dalla Nazione.
Da questi limiti infuori, la libertà d'associazione fra cittadini è sacra, inviolabile, come il progresso che ha vita in essa. Ogni Governo che s'attentasse di restringerla tradirebbe la missione sociale: il popolo dovrebbe, prima ammonirlo, poi, esaurite le vie pacifiche, rovesciarlo.
E sono queste, o miei fratelli, le basi principali sulle quali poggiano i vostri Doveri, le sorgenti dalle quali scendono i vostri Diritti. Infinite sono le questioni speciali che possono sorgere nella vostra vita civile; ma non è parte di questo lavoro prevederle e aiutarvi a scioglierle. Intento unico del mio lavoro era additarvi, come fiaccole sulla via, i principi che devono predominare su tutte e nella severa applicazione dei quali troverete sempre modo di scioglierle. E parmi d'averlo fatto.
Vi ho additato Dio come sorgente del Dovere e pegno d'eguaglianza tra gli uomini : - la legge morale come sorgente d'ogni legge civile, e base d'ogni vostro giudizio sulla condotta di chi fa le leggi : - il popolo, voi, noi, l'universalità dei cittadini che formano la Nazione, come il solo legittimo interprete della legge e sorgente d'ogni potere politico.
Vi ho detto che il carattere fondamentale della legge è Progresso: progresso indefinito, continuo d'epoca in epoca; progresso in ogni ramo d'attività umana, in ogni manifestazione del pensiero, dalla religione fino all'industria, fino alla distribuzione della ricchezza.
Vi ho accennato quali sono i vostri doveri verso l'Umanità, verso la Patria, verso la Famiglia, verso Voi Stessi. E ho desunto quei doveri dalle condizioni che costituiscono la creatura umana e che è obbligo vostro di sviluppare. Quelle condizioni, inviolabili in ogni uomo, sono : libertà, educabilità, socialità, capacità, necessità di progresso. E da quei caratteri, senza i quali non esiste uomo né cittadino, ho desunto i vostri doveri, i vostri diritti, e le condizioni generali del Governo che voi dovete cercare alla Patria.
Non dimenticate mai quei principi. Vigilate a ciò che non siano violati mai. Incarnateli in voi. Sarete liberi e migliorerete.
Il lavoro ch' io ho impreso per voi sarebbe dunque compiuto, se una tremenda obbiezione non sorgesse dalle viscere della società com' è oggi ordinata contro la possibilità di compiere quei doveri, d'esercitar quei diritti : l' ineguaglianza dei mezzi.
Per compiere doveri, per esercitare diritti, sono necessari tempo, sviluppo intellettuale, certezza di vita fisica.
Ora, moltissimi fra voi non hanno in oggi questi elementi di progresso. La loro vita è una continua incerta battaglia per conquistare i mezzi di sostenere l'esistenza materiale. Non si tratta per essi di progredire; si tratta di vivere.
Esiste dunque un vizio radicale, profondo, nella società com' è oggi ordinata. E il mio lavoro sarebbe inutile, s' io non definissi quel vizio e non v'additassi la via di correggerlo.
La questione economica sarà dunque soggetto di un'ultima parte del mio lavoro.
QUESTIONE ECONOMICA - CONCLUSIONE
Molti, troppi fra voi, sono poveri. Per i tre quarti almeno degli uomini che appartengono alla classe operaia, agricola o industriale, la vita è una lotta d'ogni giorno per conquistarsi i mezzi indispensabili all'esistenza. Essi lavorano con le loro braccia dieci, dodici, talvolta quattordici ore della giornata, e da questo assiduo, monotono, penoso lavoro, ritraggono appena il necessario alla vita fisica. Insegnare ad essi il dovere di progredire, parlar loro di vita intellettuale e morale, di diritti politici, di educazione, è, nell'ordine sociale attuale, una vera ironia. Essi non hanno tempo né mezzi per progredire. Spossati, affranti, pressoché istupiditi da una vita spesa in un cerchio di poche operazioni meccaniche, essi v' imparano un muto, impotente, spesso ingiusto rancore contro la classe degli uomini, che li impiegano; cercano l'oblio dei dolori presenti e dell' incertezza del domani negli stimoli delle forti bevande, e si coricano in luoghi ai quali è meglio adatto il nome di ovile che non quello di stanza, per ridestarsi allo stesso esercizio delle forze fisiche.
È tristissima condizione e bisogna mutarla.
Voi siete uomini, e come tali avete facoltà, non solamente fisiche, ma intellettuali e morali che è vostro dovere di sviluppare; dovete essere cittadini, e come tali, dovete esercitare, per il bene di tutti, diritti i quali richiedono un certo grado di educazione, una certa somma di tempo.
E' chiaro che voi dovete lavorar meno e guadagnare più che oggi non fate. Figli tutti di Dio e fratelli in Lui e tra noi, noi siamo chiamati a formare una sola grande famiglia. In questa famiglia possono esistere disuguaglianze generate dalle diverse attitudini, dalle diverse capacità, dal diverso desiderio di lavoro ; ma un principio deve signoreggiarla: "chiunque è disposto a dare, per il bene di tutti, ciò ch'egli può di lavoro, deve ottenerne compenso tale che lo renda capace di sviluppare, più o meno, la propria vita sotto tutti gli aspetti che la definiscono".
E' questo l' "ideale" al quale dobbiamo tutti studiar modo d'avvicinarci più sempre di secolo in secolo. Ogni mutamento, ogni rivoluzione che non vi s'accosti di un passo, che non faccia corrispondere al progresso "politico" un progresso sociale, che non promuova di un grado il miglioramento materiale delle classi più povere, viola il disegno di Dio, si riduce a una guerra di fazioni contro fazioni in cerca di una dominazione illegittima, è una menzogna ed un male.
Ma "fino a qual punto" possiamo raggiungere oggi lo scopo ? E "come", per quali vie possiamo raggiungerlo ? Alcuni fra i vostri più timidi amici hanno cercato il rimedio nella "moralità" dell'operaio. Fondando casse di risparmio o altre simili istituzioni, hanno detto agli operai: "recate qui il vostro soldo; economizzate; astenetevi da ogni eccesso nelle bevande o in altro; emancipatevi dalla miseria con le privazioni".
E sono ottimi consigli perché mirano alla moralizzazione dell'operaio, senza la quale tutte le riforme riescono inutili. Ma né sciolgono la questione di miseria intorno alla quale io vi parlo, né tengono conto alcuno del dovere "sociale". Pochissimi tra voi "possono" economizzare quel soldo. E quei pochissimi possono, accumulando lentamente, provvedere in parte agli anni della vecchiaia, mentre la questione economica deve mirare a provvedere agli anni virili, allo sviluppo, all'espansione possibile della vita quando è attiva e potente e può giovare efficacemente al progresso della Patria e dell'Umanità. Per ciò che riguarda i beni materiali, la questione sta nel come "accrescere" la ricchezza, la produzione; e quei consigli neppure vi accennano. Inoltre, la Società che vive del lavoro e chiede, ogniqualvolta è minacciata, tributo di sangue ai figli del popolo, ha debiti sacri verso di loro.
Altri, non nemici, ma poco curanti del popolo e del grido di dolore che sorge dalle viscere degli uomini del lavoro, paurosi d'ogni innovazione potente, e legati a una scuola detta degli "economisti" che combattè con merito e con vantaggio in tutte le battaglie della libertà dell'industria, ma senza por mente alla necessità di "progresso" e di "associazione" inseparabili anch'esse dalla natura umana, sostennero e sostengono, come i "filantropi" dei quali or ora parlai, che ciascuno può, anche nella condizione di cose attuale, edificare colla propria attività la propria indipendenza; che ogni mutamento nella costituzione del lavoro riuscirebbe superfluo o dannoso; e che la formula "ciascuno per sé, libertà per tutti" è sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo di agi e conforti fra le classi che costituiscono la Società. Libertà di traffichi interni, libertà di commercio fra le nazioni, abbassamento progressivo delle tariffe daziarie specialmente sulle materie prime, incoraggiamenti dati generalmente alle grandi imprese industriali, alla moltiplicazione delle vie di comunicazione, alle macchine che rendono più attiva la produzione: questo è quanto, secondo gli "economisti", può farsi dalla Società: ogni suo intervento al di là, per essi, sorgente di male.
Se ciò fosse vero, la piaga della miseria sarebbe insanabile; e Dio tolga, o fratelli miei, che io possa mai gettare, convinto, come risposta ai vostri patimenti e alle vostre aspirazioni, questa risposta disperata, atea, immorale. Dio ha statuito per voi un migliore avvenire che non è quello contenuto nei rimedi degli economisti.
Quei rimedi non mirano infatti che ad accrescere possibilmente e per un certo tempo la "produzione" della ricchezza, non a farne più equa la "distribuzione". Mentre i "filantropi" contemplano unicamente l'"uomo" e si affannano a renderlo più morale senza farsi carico di accrescere, per dargli campo a migliorarsi, la ricchezza comune, gli "economisti" non guardano che a fecondare le sorgenti della "produzione" senza occuparsi dell'"uomo". Sotto il regime esclusivo di libertà ch'essi predicano e che ha più o meno regolato il mondo economico nei tempi a noi più vicini, i documenti più innegabili ci mostrano aumento d'attività produttrice e di capitali, non di prosperità universalmente diffusa: la miseria delle classi operaie è la stessa di prima. La libertà di concorrere per chi nulla possiede, per chi, non potendo risparmiare sulla giornata, non ha di che iniziare la concorrenza, è menzogna, com'è menzogna la libertà politica per chi mancando di educazione, d'istruzione, di mezzi e di tempo, non può esercitarne i diritti.
L'accrescimento delle facilità dei traffici, i progressi nei modi di comunicazione emanciperebbero a poco a poco il lavoro dalla tirannide del commercio, dalla classe intermedia fra la produzione e i consumatori; ma non giovano a emanciparlo dalla tirannide del capitale, non danno i mezzi del lavoro a chi non li ha. E per difetto di un'equa distribuzione della ricchezza, d' un più giusto riparto dei prodotti, d'un aumento progressivo della cifra dei consumatori, il capitale stesso si svia dal suo vero scopo economico, s'immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece di spandersi tutto nella circolazione, si dirige verso la produzione d'oggetti superflui, di lusso, di bisogni fittizi, invece di concentrarsi sulla produzione degli oggetti di prima necessità per la vita, o si avventura in pericolose e spesso immorali speculazioni.
Oggi il "capitale" - e questa è la piaga della Società economica attuale - è despota del lavoro. Delle tre classi che oggi formano, economicamente, la Società – "capitalisti", cioè detentori dei mezzi o strumenti del lavoro, terre fattorie, numerario, materie prime - imprenditori, capi-lavoro, commercianti, che rappresentano o dovrebbero rappresentare l'intelletto - e operai che rappresentano il lavoro manuale - la prima, sola, è padrona del campo, padrona di promuovere, indugiare, accelerare, dirigere verso certi fini di lavoro. E la sua parte negli utili del lavoro, nel valore della produzione, è comparativamente determinata : la locazione degli strumenti del lavoro non varia se non tra limiti noti e ristretti; e il tempo, fino a un certo segno almeno, è suo, non in balìa dell'assoluto bisogno. La parte dei secondi è incerta, dipendente dal loro intelletto, dalla loro attività, ma segnatamente dalle circostanze, dallo sviluppo maggiore o minore della concorrenza e dal rifluire o ritirarsi, in conseguenza d'eventi non calcolabili, dei capitali.
La parte degli ultimi, degli "operai", è il "salario", determinato "anteriormente" al lavoro e senza riguardo agli utili maggiori o minori che usciranno dall' impresa; e i limiti fra i quali il salario s'i aggira, sono determinati dalla relazione che esiste fra il lavoro offerto e il lavoro richiesto, in altri termini, tra la "popolazione" degli operai ed il "capitale". Ora la prima tendendo all'aumento e ad un aumento che supera generalmente, non fosse che di poco, l'aumento del secondo, il salario tende, dove altre cause non si interpongano, a scendere. E il tempo non è nelle mani dell'operaio: le crisi finanziarie o politiche, la subìta applicazione di nuove macchine ai rami diversi dell'attività industriale, le irregolarità nella produzione e il suo frequente soverchio accumularsi in un'unica direzione inseparabile da una poco illuminata concorrenza, il riparto ineguale del popolo dei lavoranti su certi punti o su certi rami d'attività, e dieci altre cause interrompendo il lavoro, non lasciano all'operaio la libera scelta delle sue condizioni. Da un lato sta per lui l'assoluta miseria, dall'altro l'accettazione d'ogni patto che gli venga proposto.
Condizione siffatta di cose ha, ripeto, il germe in sé di una piaga che bisogna curare. I rimedi preposti dagli economisti sono inefficaci per questo.
E nondimeno, vi è progresso nella condizione della classe alla quale voi appartenete : progresso storico, continuo, che ha superato ben altre difficoltà. Voi foste schiavi, voi foste servi, voi siete in oggi "assalariati". Vi emancipaste dalla schiavitù, dal servaggio; perché non vi emancipereste dal giogo del salario per diventare produttori liberi, padroni della totalità del valore della produzione ch'esce da voi?
Perchè tra l'opera vostra e l'opera della Società che ha doveri sacri verso i suoi membri, non si compirebbe pacificamente la più grande, la più bella rivoluzione che possa idearsi, quella che, dando come base economica al consorzio umano, il lavoro, come base alla proprietà i frutti del lavoro, raccoglierebbe, sotto una sola legge d'equilibrio tra la produzione e il consumo, senza distinzione di classi, senza predominio tirannico d'uno degli elementi del lavoro sull'altro, tutti i figli della stessa madre, la PATRIA?
***
Il senso del dovere sociale verso gli uomini del lavoro, al quale ho accennato finora, andava, grazie soprattutto la predicazione repubblicana, crescendo negli animi e assicurando l'avvenire popolare delle rivoluzioni, quando sorsero negli ultimi trent'anni, in Francia segnatamente, alcune scuole di uomini buoni generalmente e amici del popolo, ma trascinati da soverchio amore di sistema e da vanità individuale, che sotto nome di SOCIALISMO proposero dottrine esclusive, esagerate, avverse spesso alla ricchezza già conquistata dall'altre classi ed economicamente impossibili, e spaventando la moltitudine dei piccoli borghesi e suscitando diffidenza fra ordine ed ordine di cittadini, fecero retrocedere la questione e divisero in due il campo repubblicano.
In Francia, il primo effetto di quella diffidenza e di quel terrore fu il più facile trionfo del colpo di Stato. Io non posso esaminare ora con voi ad uno ad uno quei diversi sistemi, che furono chiamati San simonismo, Fourierismo, Comunismo, o con altro nome. Fondati quasi tutti sopra idee buone in sé e accettate da quanti appartengono alla Fede del Progresso, le guastavano o le cancellavano con i mezzi di applicazione che proponevano falsi o tirannici. Ed è necessario ch' io v'accenni brevemente in che cosa peccavano, perché le promesse affacciate al popolo da quei sistemi sono così splendide che potrebbero facilmente sedurvi e voi correreste rischio, abbracciandole, di ritardare un avvenire d'emancipazione infallibile e non lontano. Vero è - e questo dovrebbe bastare a svegliare un dubbio potente nell'anime vostre - che quando le circostanze chiamarono al potere taluni fra quegli uomini, essi neppure tentarono l'applicazione pratica delle loro dottrine: giganti d'audacia nelle loro pagine, retrocessero davanti alla realtà delle cose.
Se esaminando un giorno attentamente quei sistemi, ricorderete le idee fondamentali ch' io sono andato finora indicandovi e i caratteri inseparabili dalla natura umana, voi troverete ch'essi violano tutti la Legge del Progresso, il modo con cui questo si compie nell'umanità, e o l'una o l'altra delle facoltà che costituiscono l'Uomo.
Il Progresso si compie per legge che nessuna potenza umana può rompere, grado a grado, con lo sviluppo, con la modificazione perpetua degli elementi che manifestano l'attività della vita. Gli uomini hanno spesso, in certe epoche, in certi paesi, e sotto l'influenza di certi pregiudizi e di certi errori, dato il nome di elementi, di condizioni della vita sociale, a cose che non hanno radice nella natura, ma solamente nelle abitudini convenzionali d'una società traviata, e che dopo quell'epoca o al di là dei limiti di quei paesi, spariscono.
Ma voi potete scoprire quali veramente siano gli elementi inseparabili dall'umana natura, interrogando, come altrove vi dissi, gli istinti dell'anime vostre e verificando nella tradizione di tutti i tempi, di tutti i paesi, se quei vostri istinti siano stati sempre gli istinti dell' Umanità. E quelli che una voce congenita in voi (e la grande voce dell' Umanità) vi additano come elementi costitutivi della vita, devono essere modificati, sviluppati sempre d'epoca in epoca, ma non possono essere aboliti mai.
Tra questi elementi della vita umana, oltre la Religione, la Libertà, l'Associazione ed altri accennati nel corso di questo lavoro, è pure la Proprietà. Il principio, l'origine della Proprietà, sta nella natura umana e rappresenta la necessità della vita materiale dell' individuo ch'egli ha dovere di mantenere. Come, per mezzo della religione, della scienza, della libertà, l'individuo è chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare il mondo morale ed intellettuale, egli è pure chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare, per mezzo del lavoro materiale, il mondo fisico. E la proprietà è il segno, la rappresentazione del compimento di quella missione, della quantità di lavoro con il quale l' individuo, ha trasformato, sviluppato, accresciuto le forze produttrici della natura.
La proprietà è dunque eterna nel suo principio, e voi la trovate esistente e protetta attraverso tutta quanta l'esistenza dell' Umanità. Ma i modi coi quali la proprietà si governa sono mutabili, destinati a subire, come tutte l'altre manifestazioni della vita umana, la legge del Progresso. Quelli che, trovando la proprietà costituita in un certo modo, dichiarano quel modo inviolabile e combattono quanti intendono trasformarlo, negano dunque il Progresso: basta aprire due volumi di storia appartenente a due epoche diverse per trovarvi un cambiamento nella costituzione della Proprietà. E quelli che trovandola, in una certa epoca, mal costituita, dichiarano che bisogna abolirla, cancellarla dalla società, negano un elemento dell'umana natura, e se potessero mai riuscire, ritarderebbero il Progresso, mutilando la Vita: la proprietà riapparirebbe inevitabilmente poco tempo dopo, e probabilmente sotto la forma che aveva al tempo della sua abolizione.
La proprietà è in oggi mal costituita, perché l'origine del riparto attuale sta generalmente nella conquista, nella violenza con la quale, in tempi lontani da noi, certi popoli e certe classi invadenti s'impossessarono delle terre e dei frutti di un lavoro non compiuto da essi.
La proprietà è mal costituita, perché le basi del riparto dei frutti d'un lavoro compiuto dal proprietario e dall'operaio, non sono fondate sopra una giusta eguaglianza proporzionata al lavoro stesso.
La proprietà è mal costituita, perché conferendo a chi l'ha diritti politici e legislativi che mancano all'operaio, tende ad esser monopolio di pochi e inaccessibile ai più.
La proprietà è mal costituita, perché il sistema delle tasse è mal costituito, e tende a mantenere un privilegio di ricchezza nel proprietario, aggravando le classi povere e togliendo loro ogni possibilità di risparmio.
Ma se, invece di correggere vizi e modificare lentamente la costituzione della Proprietà, voi voleste abolirla, sopprimereste una sorgente di ricchezza, di emulazione, di attività, e somigliereste al selvaggio che per cogliere il frutto troncava l'albero.
Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di "pochi"; bisogna aprire la via perché i "molti" possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo sì che il lavoro solo possa produrla.
Bisogna avviare la società verso basi più eque di rimunerazione tra il proprietario o capitalista e l'operaio.
Bisogna mutare il sistema delle tasse, tanto che non colpiscano la somma necessaria alla vita e lascino al popolano facoltà di economie produttive a poco a poco di proprietà.
E perché ciò avvenga, bisogna sopprimere i privilegi politici concessi alla proprietà, e far sì che tutti contribuiscano all'opera legislativa.
Ora tutte queste cose sono possibili e giuste. Educandovi, ordinandovi a chiederle con insistenza, poi a volerle, potreste ottenerle; mentre cercando l'abolizione della proprietà, cerchereste una impossibilità, fareste un' ingiustizia verso chi l' ha conquistata con il proprio lavoro, e diminuireste la produzione invece di accrescerla.
***
L'abolizione della proprietà individuale nondimeno è il rimedio proposto da parecchi tra i sistemi socialisti dei quali vi parlo, e segnatamente del comunismo. Altri vanno oltre; e trovando il concetto religioso, il concetto governativo, il concetto di patria falsati dagli errori religiosi, dagli uomini del privilegio e dall'egoismo delle dinastie, chiedono l'abolizione d'ogni religione, d'ogni governo, d'ogni nazionalità. Questo è procedere di fanciulli o di barbari. Perché, in nome delle malattie generate da un'aria corrotta, non tenterebbero la soppressione d'ogni gas respirabile ?
L' idea di chi vorrebbe, in nome della libertà, fondare l'anarchia e cancellare la società per non lasciare che l'individuo con i suoi diritti, non ha bisogno, con voi, di confutazioni da me; tutto il mio lavoro combatte quel sogno colpevole che rinnega progresso, doveri, fratellanza umana, solidarietà di nazioni, ogni cosa che voi ed io veneriamo. Ma il disegno di quei che, limitandosi alla questione economica, chiedono l'abolizione della proprietà individuale e l'ordinamento del comunismo, tocca l'estremo opposto, nega l'individuo, nega la libertà, chiude la via al progresso e "impietra", per così dire, la società.
La formula generale del comunismo è la seguente: la proprietà d'ogni cosa che produce, terre, capitali, mobili, strumenti di lavoro, sia concentrata nello Stato; lo Stato assegni la sua parte di lavoro a ciascuno; lo Stato assegni a ciascuno una retribuzione, secondo alcuni, con assoluta eguaglianza, secondo altri, a seconda dei suoi bisogni.
Questa, se mai fosse possibile, sarebbe vita di castori, non di uomini.
La libertà, la dignità, la coscienza dell' individuo spariscono in un ordinamento di macchine produttrici. La vita fisica può esservi soddisfatta: la vita morale, la vita intellettuale sono cancellate, e con esse l'emulazione, la libera scelta del lavoro, la libera associazione, gli stimoli a produrre, le gioie della proprietà, che sono tutte ragioni che inducono a progredire. La famiglia umana è, in quel sistema, un armento al quale basta essere condotto ad una sufficiente pastura. Chi tra voi vorrebbe rassegnarsi a programma siffatto?
L'eguaglianza è conquistata, dicono. Quale ? L'eguaglianza nella distribuzione del lavoro? E' impossibile. I lavori sono di natura diversa, non calcolabili sulla durata o sulla natura di lavoro compiuto in un'ora, ma sulla difficoltà, sulla minore o maggiore sgradevolezza del lavoro, per il dispendio di vitalità che trascina con sé, sull'utile conferito da esso alla società. Come calcolare l'eguaglianza di un'ora di lavoro passata in una miniera, o nel purificare l'acqua corrotta di una palude con un'ora passata in un filatoio? La impossibilità di siffatto calcolo è tale che ha suggerito a taluno tra i fondatori di sistemi l'idea di far che ciascuno debba compiere un certo ammontare di lavoro in ogni ramo di utile attività: rimedio assurdo che renderebbe impossibile la bontà dei prodotti senza giungere a sopprimere l' ineguaglianza tra il debole ed il robusto, tra il capace e il lento, nell' intelletto, tra l'uomo di temperamento linfatico e l'uomo di temperamento nervoso. Il lavoro può essere facile e gradito all'uno è grave e difficile all'altro.
L'eguaglianza nel riparto dei prodotti ? È impossibile. O l'eguaglianza sarebbe assoluta e costituirebbe una immensa ingiustizia, non distinguendo tra i bisogni diversi, risultato dell'organismo, né tra le forze e le capacità acquistate per un senso di dovere e le forze e le capacità ricevute, senza merito alcuno, dalla natura. O la eguaglianza sarebbe relativa e calcolata sui bisogni diversi; e non tenendo conto della produzione individuale, violerebbe i diritti di proprietà che il lavorante deve avere per i frutti del suo lavoro.
Poi, chi sarebbe arbitro di decidere intorno ai bisogni d'ogni individuo? Lo Stato?
Operai, fratelli miei, siete voi disposti ad accettare una gerarchia di capi padroni della proprietà comune, padroni dello spirito per mezzo di una educazione esclusiva, padroni dei corpi per mezzo della determinazione dell'opera, delle capacità, dei bisogni? Non è questo il rinnovamento dell'antica schiavitù ? Non sarebbero quei capi trascinati dalla teoria d'interesse che rappresenterebbero, e sedotti dall'immenso potere concentrato nelle loro mani, fondatori della dittatura ereditaria delle antiche caste ?
No; il Comunismo non conquista l'eguaglianza fra gli uomini del lavoro: non aumenta la produzione - che è la grande necessità dell'oggi - perché fatta sicura la vita, la natura umana, come s'incontra nei più, è soddisfatta, e l'incentivo a un accrescimento di produzione da diffondersi su tutti i membri della società diventa sì piccolo che non basta a scuotere la facoltà; non migliora i prodotti; non conforta al progresso nelle invenzioni, non sarà mai aiutata dalla incerta, ignara direzione collettiva dell'ordinamento. Ai mali che affaticano i figli del popolo, il Comunismo non ha che un rimedio per proteggerli dalla fame. Ora non può farsi questo, non può assicurarsi il diritto alla vita ed al lavoro dell'operaio, senza sovvertire tutto quanto l'ordine sociale, senza isterilire la produzione, senza inceppare il progresso, senza cancellare la libertà dell' individuo, e incatenarlo in un ordinamento soldatesco, tirannico?
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Il rimedio alle vostre condizioni non può trovarsi in organizzazioni generali, arbitrarie, architettate di sana pianta da uno o altro intelletto, contraddicenti alle basi universali adottate nel vivere civile e impiantate immediatamente per via di decreti. Noi non siamo quaggiù per "creare" l'umanità, ma per "continuarla": possiamo e dobbiamo modificarne, ordinarne meglio gli elementi costitutivi, non possiamo sopprimerli. L'umanità è e sarà sempre ribelle a disegni siffatti. Il tempo che voi spendereste intorno a quelle illusioni, sarebbe dunque tempo perduto.
Non può trovarsi in aumenti di salari "imposti" dall'autorità governativa, senz'altri cambiamenti che aumentino i capitali: l'aumento delle spese di salari, cioè l'aumento delle spese di produzione, trascinerebbe il rincaro dei prodotti, quindi la diminuzione del consumo e quella quindi del lavoro per gli operai.
Non può trovarsi in cosa alcuna che cancelli la "libertà", consacrazione e stimolo del lavoro; né in cosa alcuna che diminuisca i capitali, strumenti del lavoro e della produzione.
Il rimedio alle vostre condizioni è "l'unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani".
Quando la società non conoscerà distinzione fuorché di produttori e consumatori o meglio quando ogni uomo sarà produttore e consumatore - quando i frutti del lavoro, invece di ripartirsi tra quelle serie d' intermediari che, cominciando dal capitalista e scendendo sino al venditore al minuto, accresce sovente del cinquanta per cento il prezzo dei prodotto, rimarranno interi al lavoro - le cagioni permanenti di miseria spariranno per voi. Il vostro avvenire è nella vostra emancipazione dalle esigenze di un capitale arbitro oggi di una produzione alla quale rimane straniero.
Il vostro avvenire "materiale e morale". Guardatevi intorno. Ovunque voi trovate il capitale e il lavoro riuniti nelle stesse mani - ovunque i frutti del lavoro sono, non fosse altro, ripartiti fra quanti lavorano, in ragione del loro aumento, in ragione dei loro benefizi dell'opera collettiva - voi trovate diminuzione di miseria e a un tempo aumento di moralità. Nel Cantone di Zurigo, nell' Engadina, in molte altre parti di Svizzera dove il contadino è proprietario, e terra, capitale, lavoro, sono congiunti in un solo individuo - in Norvegia, nelle Fiandre, nella Frisia Orientale, nell'Holstein, nel Palatinato Germano, nel Belgio, nell'Isola di Guernesey sulle coste inglesi - è visibile una prosperità comparativamente superiore a quella di tutte l'altre parti d'Europa dove manca al coltivatore la proprietà della terra. Una razza d'agricoltori popola quelle contrade note per onestà, dignità, indipendenza e modi schiettamente leali. Le abitudini dei lavoranti nelle miniere di Cornwall in Inghilterra come quelle dei navigatori Americani che trafficano conla China e sono addetti alla pesca delle balene, fra i quali è in vigore la partecipazione agli utili dell' impresa, sono riconosciute, da documenti ufficiali, migliori che non quelle dei lavoranti sottomessi unicamente alla legge del salario predeterminato.
"Il lavoro associato, il riparto dei frutti del lavoro, ossia del ricavato dalla vendita dei prodotti, tra i lavoranti in proporzione del lavoro compiuto e del valore di quel lavoro": è questo il futuro sociale. In questo sta il segreto della vostra emancipazione. Foste "schiavi" un tempo: poi "servi": poi "assalariati": sarete fra non molto, purché lo vogliate, liberi produttori e fratelli nell'associazione.
Associazione libera, volontaria, ordinata su certe basi, da voi medesimi, tra uomini che si conoscono e si stimano l'un l'altro, non forzata, non imposta dall'autorità governativa, non ordinata senza riguardo ad affetti e vincoli individuali, tra uomini considerati non come esseri liberi e spontanei, ma come cifre e macchine produttrici.
Associazione amministrata con fratellanza repubblicana da vostri delegati e dalla quale potrete, volendo, ritirarvi, non soggiacente al dispotismo dello Stato e di una gerarchia costituita arbitrariamente e ignara dei vostri bisogni e delle vostre attitudini.
Associazione di "nuclei" formati a seconda delle vostre tendenze, non come vorrebbero gli autori dei sistemi che io vi accennai, di "tutti" gli uomini appartenenti a un dato ramo d'attività industriale o agricola.
Il concentramento di "tutti" gli individui addetti, nello Stato o anche in una sola città, ad un'arte in una sola società produttrice, ricondurrebbe l'antico tirannico monopolio delle Corporazioni, renderebbe i produttori arbitri dei prezzi a danno dei consumatori, darebbe forma legale all'oppressione delle minoranze; esilierebbe l'operaio malcontento da ogni possibilità di lavoro; e sopprimerebbe ogni necessità di progresso spegnendo ogni rivalità di lavoro, ogni stimolo alle invenzioni.
L'Associazione tentata timidamente e in circostanze sfavorevoli in Francia negli ultimi venti anni, poi in Inghilterra e nel Belgio, e coronata di successo dovunque fu tentata con fermo volere e spirito di sacrificio, contiene il segreto di tutta una trasformazione sociale che dovrebbe, in virtù delle vostre tradizioni e dell' iniziativa di progresso sociale che fu sempre in voi, compiersi in Italia. E questa trasformazione, emancipandovi dalla schiavitù del salario, ravviverebbe a un tempo, a pro di tutte le classi, la produzione e migliorerebbe lo stato economico del paese.
Oggi il capitalista tende generalmente a guadagnare quanto più può per ritrarsi dall'arena del lavoro; sotto l'ordinamento dell'associazione, voi non tendereste che ad accertare la continuità del lavoro, cioè della produzione. Oggi, il capo, direttore dei lavori, fatto tale non da una speciale attitudine ma dal suo trovarsi fornito di capitali, è spesso improvvido, avventato, incapace; una associazione, diretta da delegati, non vigilata da tutti i suoi membri, non correrebbe rischi simili. Oggi, il lavoro è spesso diretto verso la produzione d'oggetti superflui, non necessari grazie l'ineguaglianza capricciosa e ingiusta delle retribuzioni, i lavoranti abbondano in un ramo di attività e fanno difetto in un altro; l'operaio, limitato a una mercede determinata, non ha motivo per consacrare all'opera sua tutto lo zelo del quale è capace, tutta l'attività con la quale si potrebbe moltiplicare o migliorare i prodotti. E l'associazione porrebbe evidentemente rimedio a queste e ad altre cagioni di perturbazione o d'inferiorità nella produzione.
Libertà di ritrarsi, senza nuocere all'associazione - eguaglianza dei soci nell'elezione di amministratori a tempo o meglio soggetti a revoca – ammissione, posteriormente alla fondazione, senza esigenza di capitale da versarsi e costituzione d'un prelevamento, a pro del fondo comune, sui benefizi dei primi tempi - -indivisibilità, perpetuità del capitale collettivo - retribuzione per tutti eguale alle necessità della vita - riparto degli utili a seconda della quantità e della qualità del lavoro di ciascuno - sono queste le basi generali che voi, se volete far opera di sacrificio e di avvenire per l'elemento al quale appartenete, dovrete dare alle vostre associazioni. (Quando Mazzini parla di associazioni, intende delle "Cooperative". Nella storia dell'Italia unita, fino al fascismo, la cooperazione rappresentò uno dei fenomeni sociali più significativi, sia come fattore essenziale di aggregazione di produttori, di lavoratori e di masse di consumatori, sia come forza di partecipazione democratica, tanto più rilevante quanto più ristretta era la base del consenso allo stato monarchico, sia come strumento di mobilità socioeconomica, attraverso forme peculiari di impresa e, in generale, di intervento sul mercato. La coopoerazione fu dunque figlia della modernità, e si venne configurando come originale forma di reperimento collettivo di beni e servizi altrimenti conseguibili a un costo economico e sociale più elevato. Nda)
Ciascuna di queste basi, quella segnatamente che riguarda la perpetuità del capitale collettivo, vincolo e pegno d'emancipazione tra voi e la generazione futura, meriterebbe un capitolo. Ma un lavoro speciale sulle associazioni operaie non entra nell'economia del presente scritto. Forse, se Dio mi presta ancora qualche anno di vita, io lo farò separatamente e con amore per voi. Intanto, abbiate certezza che l'indicazione di quelle norme è in me frutto d'esame meditato e severo e merita attenta considerazione da voi.
Ma il capitale ? Il capitale primo con il quale potrà iniziarsi l'associazione ? Da dove ritirarlo ?
E'grave questione; né io posso qui trattarla come vorrei. Ma vi accennerò sommariamente il dovere vostro e l'altrui.
La prima sorgente di quel capitale sta in voi, nelle vostre economie, nel vostro spirito di sacrificio. Io so la condizione dei più tra voi; pur non manca a taluni la possibilità, per ventura di lavoro non interrotto o meglio retribuito, di raccogliere, economizzando, fra diciotto o venti, la piccola somma che vi basterebbe a iniziare il lavoro per vostro conto. E dovrebbe sostenervi in questa economia la coscienza di compiere un solenne dovere e di meritare l'emancipazione invocata. Potrei citarvi associazioni industriali, ora potenti di mezzi, che si iniziarono qui in Inghilterra con il versamento di un soldo per giorno da un certo numero d'operai. Potrei ripetervi parecchie storie di sacrifici eroicamente durati in Francia ed altrove da nuclei d'operai, oggi possessori di capitali considerevoli, simili a quella stilla quale troverete alcuni particolari in calce a questo volumetto. Non v'è quasi difficoltà che una volontà ferma mantenuta dalla coscienza di fare il bene, non superi. Voi potete contribuire coi vostri risparmi e dare al piccolo fondo primitivo un aiuto in danaro o un po' di materiale o un qualche strumento da lavoro. Potete, grazie a una condotta che frutti stima, raccogliere piccoli prestiti da parenti o compagni, i quali diventerebbero semplicemente azionisti nell'associazione e non riceverebbero l'ammontare del loro prestito che sugli utili dell'impresa. Per molte delle vostre industrie, nelle quali il prezzo delle materie prime è tenue, il capitale richiesto per iniziare il lavoro indipendente è piccola cosa. Lo avrete, volendo. E sarà meglio per voi se la formazione di quel piccolo capitale sarà tutta vostra, frutto del sudore della vostra fronte o del credito che avrete, operando bene, acquistato. Come le Nazioni serbano meglio la libertà che conquistarono con il loro sangue, le vostre associazioni troveranno migliore e più prudente profitto dal capitale raccolto nella veglia e nell'economia che non da quello elargito d'altra sorgente. È legge di cose. Le Associazioni Operaie che, in Parigi, nel 1848, ebbero, al loro fondarsi, sovvenzioni governative, prosperarono assai meno di quelle che formarono il capitale primitivo con il personale sacrificio.
Ma perché io, amandovi davvero e non adulando servilmente a debolezze che sono o possono sorgere in voi, vi consiglio il sacrificio, non scema il dovere in altrui. Gli uomini che le circostanze hanno fornito di ricchezze, dovrebbero intenderlo: dovrebbero intendere che la vostra emancipazione è parte d'un disegno di Provvidenza, e che si compirà inevitabilmente o con essi o contro essi. Parecchi tra quelli uomini, e segnatamente gli uomini di fede repubblicana, intendono questo fin d'ora; e fra essi, se darete loro prove di volontà e d'onesto intelletto, troverete aiuti all' impresa. Essi potranno - e lo faranno appena s'avvedranno che la tendenza all'associazione è, non capriccio d'un'ora, ma fede di maggioranza tra voi - spianarvi le vie del credito sia con anticipazioni, sia fondando Banchi che accreditino il lavoro futuro, la forza collettiva degli operai, sia ammettendovi a partecipazione nei benefizi delle loro imprese, stadio intermedio fra il presente e l'avvenire, dal quale raccogliereste probabilmente il piccolo capitale che occorre all'associazione indipendente. Nel Belgio più che altrove esistono già, sotto nome di Banchi d'anticipazione o di Banchi del popolo, istituzioni siffatte.(In Italia nasceranno le Banche Popolari, quella Cattoliche, i Monti, ecc- Nda.). Nella Scozia è dato da parecchi Banchi credito a ogni uomo di nota probità che impegni l'onore e presenti mallevadore un altro individuo d'onestà egualmente specchiata. E l'ammissione degli operai alla partecipazione negli utili è norma adottata con singolare successo da parecchi imprenditori.
CONCLUSIONE
Ma lo Stato, il Governo - istituzione legittima soltanto quando è fondata sopra una missione di educazione e di progresso oggi ancora fraintesa - ha debito solenne verso voi che potrà facilmente compiere se sarà un giorno Governo Nazionale davvero, Governo di Popolo libero ed Uno. Una vasta serie di aiuti potrà scendere allora dal Governo al Popolo che risolverebbe il problema sociale senza spogliazioni, senza violenze, senza manomettere la ricchezza acquistata anteriormente dai cittadini, senza suscitare quell'antagonismo tra classe e classe che è ingiusto, immorale, fatale alla Nazione e che ritarda oggi visibilmente il progresso.
E aiuti potenti sarebbero:
* L' influenza morale esercitata a pro delle associazioni con l' approvazione manifestata pubblicamente dagli agenti governativi, con la frequente discussione sul loro principio fondamentale nell'Assemblea, con la legalizzazione data a tutte le Associazioni volontarie costituite sulle basi accennate più sopra;
* Miglioramenti nelle vie di comunicazione e abolizione di quanto inceppa ora il trasporto dei prodotti;
* Istituzione di magazzini o luoghi di deposito pubblici, dai quali, accertato il valore approssimativo delle merci consegnate, si rilascerebbe alle Associazioni un documento o buono simile a un biglietto bancario, ammesso alla circolazione e allo sconto, tanto da render capace l'associazione di poter continuare nei suoi lavori e di non essere strozzata dalla necessità di una vendita immediata e a ogni patto;
* Concessione dei lavori che bisognano allo Stato, data eguaglianza di patti, alle Associazioni;
* Semplificazione delle forme giudiziarie, oggi rovinose e spesso inaccessibili al povero;
* Facilità legislative date alla mobilizzazione della proprietà fondiaria;
* Mutamento radicale nel sistema dei tributi pubblici;
* Sostituzione di un solo tributo sul reddito all'attuale, complesso, dispendioso sistema di tributi diretti e indiretti; e sanzione data al principio che la vita è sacra - che, senza vita, non essendo possibile lavoro né progresso né compimento di doveri, il tributo non può cominciare che dove il reddito supera la cifra di danaro necessaria alla vita.
Ma vi è di più. L' incameramento o appropriazione dei possedimenti ecclesiastici - atto che ora non giova discutere ma che è inevitabile ogni qualvolta la Nazione si assuma una missione d'educazione e di progresso collettivo - porrà nelle mani dello Stato una somma di ricchezza più vasta che altri non pensa.
Or ponete che a questa s'aggiunga il valore rappresentato dalle terre, dissodabili e fertilissime, tuttavia incolte - il valore rappresentato dagli utili delle vie ferrate e d'altre pubbliche imprese la cui amministrazione dovrà concentrarsi nello Stato - il valore rappresentato dalle proprietà territoriali appartenenti ai Comuni (Quelle proprietà appartengono legalmente ai Comuni, moralmente ai bisognosi del Comune. Non si tratta di rapirle ai Comuni, ma di consacrarle ai poveri d'ogni Comune, facendo d'esse sotto l'alta direzione dei Consigli elettivi Comunali, il capitale inalienabile delle Associazioni agricole).- il valore rappresentato dalle successioni collaterali che al di là del quarto grado dovrebbero ricader nello Stato - ed altri, che è inutile enumerare. Ponete che di tutto questo immenso cumulo di ricchezza si formi un FONDO NAZIONALE, consacrato al progresso intellettuale ed economico di tutto quanto il paese. Perché una parte considerevole di quel fondo non si trasformerebbe, colle precauzioni richieste a impedirne lo sperpero, in un fondo di credito da distribuirsi, con un interesse dell' uno e mezzo o del due per cento, alle associazioni volontarie operaie, costituite sulle norme indicate più sopra e che porgerebbero sicurezza di moralità e di capacità Quel capitale dovrebbe esser sacro al lavoro dell'avvenire e non di una sola generazione. Ma la vasta scala delle operazioni assicurerebbe compenso alle perdite di tempo in tempo inevitabili.
La distribuzione di quel credito dovrebbe farsi, non dal Governo né da un Banco Nazionale Centrale; ma, invigilante il Potere Nazionale, da Banchi locali amministrati da Consigli Comunali elettivi.
Senza sottrarre alla ricchezza attuale delle varie classi, senza attribuire a una sola il ricavato dei tributi che, chiesti a tutti i cittadini, deve erogarsi a benefizio di tutti, l' insieme degli atti qui suggeriti, diffondendo il credito per ogni dove, accrescendo e migliorando la produzione, costringendo l'interesse del danaro a scemare gradatamente, affidando il progresso e la continuità del lavoro allo zelo e all'utilità di tutti i produttori, sostituirebbe a una cifra di ricchezza, concentrata in poche mani e imperfettamente diretta, la nazione ricca, maneggiatrice della propria produzione e del proprio consumo.
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Ed è questo, Operai Italiani, il vostro avvenire. Voi potete affrettarlo. Conquistate la Patria. Conquistatele un Governo popolare che ne rappresenti la vita collettiva, la missione, il concetto. Ordinatevi tra voi in una vasta universale Lega di Popolo, tanto che la vostra voce sia voce di milioni e non di pochi individui. Avete il Vero e la Giustizia per voi; la Nazione v'ascolterà.
Ma badate, e credete alla parola d'un uomo che studia da trenta anni l'andamento delle cose in Europa e ha veduto fallire a buon porto, per immoralità di uomini, le più sante ed utili imprese. Non riuscirete se non migliorando. Non conquisterete l'esercizio del vostro diritto se non meritandolo, con il sacrificio, con l'attività, con l'amore. Cercando in nome d'un dovere compiuto o da compiersi, otterrete: cercando in nome dell'egoismo, in nome di non so quale diritto al benessere che gli uomini del materialismo v' insegnano, non otterrete se non trionfi d'un'ora seguiti da delusioni tremende. Quei che vi parlano in nome del benessere della felicità materiale, vi tradiranno. Cercano essi pure il loro benessere: s'affratelleranno con voi, come con un elemento di forza, finché avranno ostacoli da superare per conquistarlo; appena, mercé vostra, l'avranno, vi abbandoneranno per godere tranquillamente della loro conquista. È la storia dell'ultimo secolo.
E il nome di questo mezzo secolo è materialismo.
Storia di dolore e di sangue. Io li ho veduti gli uomini che negavano Dio, religione, virtù di dovere e di sacrificio, e parlavano in nome del diritto alla felicità, al godimento, lottare audaci, con le parole di popolo e libertà sulle labbra, e frammischiarsi a noi uomini della nuova fede, che imprudenti li accoglievamo nelle nostre file. Quando si aprì ad essi, con una vittoria o con una transazione codarda, la via di godere, disertarono e ci furono nemici acerbi il dì dopo. Pochi anni di pericoli, di persecuzioni durate erano stati sufficienti a stancarli. Perché, senza coscienza di una Legge di dovere, senza fede in una missione imposta all'uomo da un Potere supremo su tutti, avrebbero essi persistito nel sacrificio sino all'ultimo della vita? E vidi, con più profondo dolore, i figli del popolo educati da quegli uomini, da quei filosofi, al materialismo, tradire la loro missione, tradire l'avvenire, tradire la loro Patria e se stessi, dietro alla stolta immorale speranza che troverebbero forse il benessere materiale nei capricci e negli interessi della tirannide.
Vidi gli operai di Francia rimanere spettatori indifferenti del 2 dicembre, perché tutte le questioni s'erano ridotte per essi a una questione di prosperità materiale e s'illudevano a credere che le promesse sparse ad arte fra loro, da chi aveva spento la libertà della patria, avrebbero forse potuto diventar fatti. Oggi lamentano perduta la libertà senza aver conquistato il benessere. No; senza Dio, senza coscienza di legge, senza moralità, senza potenza di sacrificio, perduti dietro a uomini che non hanno né fede, né culto del vero, né vita d'apostoli, né cosa alcuna fuorché la vanità dei loro sistemi, io lo dico con profondo convincimento, non riuscirete. Avrete sommosse, non la vera, la grande Rivoluzione che voi ed io invochiamo. Quella Rivoluzione, se non è una illusione d'egoisti spronati dalla vendetta, è un'opera religiosa.
Migliorate voi stessi ed altrui: è questo il primo intento ed è la suprema speranza di ogni riforma, di ogni mutamento sociale. Non si cambiano le sorti dell'uomo, rintonacando, abbellendo la casa ov'egli abita; dove non respira un'anima d'uomo ma un corpo di schiavo, tutte le riforme sono inutili; la casa riabbellita, addobbata con lusso è sepolcro imbiancato, e non altro. Voi non indurrete mai la Società alla quale appartenete a sostituire il sistema d'associazione a quello del salario, se non provandole che l'associazione sarà tra voi strumento di produzione migliorata e di prosperità collettiva. E non proverete questo, se non mostrandovi capaci di fondare e mantenere l'associazione con l'onestà di sacrificio, con l'affetto al lavoro. Per progredire, vi conviene mostrarvi capaci di progredire.
Tre cose sono sacre : la Tradizione, il Progresso, l'Associazione. " Io credo " - scrissi queste cose venti anni addietro - " nella immensa voce di Dio che i secoli mi rimandano attraverso la tradizione universale dell' Umanità; ed essa mi dice che la Famiglia, la Nazione, l'Umanità sono le tre sfere dentro le quali l'individuo umano deve lavorare al fine comune, al perfezionamento morale di se stesso e d'altrui, o meglio di se stesso attraverso gli altri e per gli altri: essa mi dice che la proprietà è destinata a manifestare l'attività materiale dell'individuo, la parte ch'egli ha nella trasformazione del mondo fisico, come il diritto di voto deve manifestare la parte ch'egli ha nell'amministrazione del mondo politico; essa mi dice che appunto dall'uso più o meno buono di questi diritti, in quelle sfere d'attività, dipende davanti a Dio e agli uomini il merito o demerito degli individui; essa mi dice che tutte queste cose, elementi della natura umana, si trasformarono, si modificarono continuamente ravvicinandosi all'ideale del quale abbiamo nell'anima il presentimento, ma non possono essere distrutte mai; e che i sogni di comunismo, d'abolizione, di confusione dell' individuo nell' insieme sociale, non furono mai che passeggeri accidenti nella vita del genere umano, visibili in ogni grande crisi intellettuale e morale, ma incapaci di realtà se non sopra una scala minima come i Conventi Cristiani. Credo nell' eterno progresso della vita nella creatura di Dio, nel progresso del Pensiero e dell'Azione, non solamente nell'uomo del passato ma nell'uomo dell'avvenire; credo che importi non tanto di determinare la forma del progresso futuro quanto di aprire, con una educazione veramente religiosa, le vie d'ogni progresso agli uomini e di renderli capaci di compierlo; e credo che non si fa l'uomo migliore, più autorevole, più nobile, più divino - ciò che è il nostro fine sulla terra - colmandolo di godimenti felici, proponendogli a scopo della vita quella ironia che ha nome "felicità". Credo nell'Associazione come nel solo mezzo che noi possediamo di compiere il Progresso, non solamente perché essa moltiplica l'azione delle forze produttrici, ma perché essa ravvicina tutte le diverse manifestazioni dell'anima umana e fa sì che la vita dell'individuo abbia comunione con la vita collettiva; e so che l'associazione non può essere feconda se non esistendo fra individui liberi, fra nazioni libere, capaci di coscienza della loro missione. Credo che l'uomo deve mangiare e vivere e non avere tutte le ore dell'esistenza assorbite da un lavoro materiale per aver campo di sviluppare le facoltà superiori che sono in lui; ma tendo l'orecchio con terrore alle voci che dicono agli uomini "nutrirsi è lo scopo vostro: godere è il vostro diritto", perché io so che quella parola non può creare se non egoisti, e fu in Francia, ed altrove, e comincia ad essere purtroppo in Italia, la condanna d'ogni nobile idea, d'ogni martirio, d'ogni pegno di futura grandezza. "Ciò che toglie in oggi vita all' Umanità è il difetto d'una fede comune, di un pensiero adottato da tutti che ricongiunga Terra e Cielo, Universo e Dio. Privo di fede siffatta, l'uomo si è prostrato davanti alla morta materia, e si è conservato adoratore dell' idolo "Interesse". E i primi sacerdoti di quel culto fatale furono i re, i principi e i tristi Governi dell'oggi. Essi inventarono l'orribile formula: "ciascuno per sé": sapevano che con essa, creerebbero l'egoismo: e sapevano che tra l'egoista e lo schiavo non c'è che un passo".
Operai italiani, fratelli miei, evitate quel passo. Nell'evitarlo, sta il vostro avvenire.
A voi spetta una solenne missione, provare che siamo noi tutti figli di Dio e fratelli in Lui. Voi non la compirete se non migliorandovi e soddisfacendo al Dovere.
Io vi ho additato, come meglio ho potuto, quale sia il Dovere per voi. E il principale, il più essenziale fra tutti, quello che avete verso la Patria. Costituirla è debito vostro ; ed è pure necessità. Gl'incoraggiamenti, i mezzi dei quali vi ho parlato, non possono venire che dalla Patria Una e Libera. Il miglioramento delle vostre condizioni sociali non può scendere che dal vostro partecipare nella vita politica della Nazione. Senza voto, non avrete mai rappresentanti veri delle vostre aspirazioni, dei vostri bisogni. Senza un Governo popolare che da Roma scriva e svolga il PATTO ITALIANO, fondato sul "consenso" e rivolto al "progresso di tutti" i cittadini dello Stato, non è per voi speranza di meglio.
Quel giorno in cui, seguendo l'esempio dei socialisti francesi, voi separereste la questione "sociale" dalla "politica" e direste: "noi possiamo emanciparci, qualunque sia la forma d' Istituzioni che regge la Patria"; segnereste voi stessi la perpetuità del vostro servaggio.
E vi additerò, nell'accomiatarmi da voi, un altro Dovere, non meno solenne di quello che ci stringe a fondare la Patria Libera ed Una.
La vostra emancipazione non può fondarsi che sul trionfo d'un Principio, l'unità della Famiglia Umana. Oggi, la metà della famiglia umana, la metà dalla quale noi cerchiamo ispirazione e conforti, la metà che ha in cura la prima educazione dei nostri figli, è, per singolare contraddizione, dichiarata civilmente, politicamente, socialmente ineguale, esclusa da quell'Unità.
A voi che cercate, in nome d'una verità religiosa, la vostra emancipazione, spetta di protestare in ogni modo, in ogni occasione, contro quella negazione dell'Unità.
L' emancipazione della donna dovrebbe essere continuamente accoppiata per voi con l'emancipazione dell'operaio e darà al vostro lavoro la consacrazione di una verità universale.
Addio. Abbiatemi ora e sempre vostro fratello
GIUSEPPE MAZZINI Aprile 23. 1860.
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